È oramai assodato: l’eccessiva produzione di CO2, ossia di anidride carbonica, nota anche come diossido di carbonio, è la causa unanimemente riconosciuta del surriscaldamento del nostro pianeta. Sebbene i quasi 8 miliardi di persone del mondo, solo respirando, emettano sempre più anidride carbonica, sono le attività umane, in particolare dalla rivoluzione industriale a oggi, ad aver sconvolto le emissioni, con enormi concentrazioni di CO2. Vi hanno contribuito in primis le emissioni dei riscaldamenti a gasolio, quelle della combustione di cherosene e di carburante del traffico motorizzato.
Eppure, il CO2 è essenziale nei processi vitali di piante, animali e dell’uomo, ma la presenza di questa sostanza nell’atmosfera dev’essere equilibrata: se ce n’è troppa – come ora – la Terra si surriscalda a causa dell’effetto serra; se è troppo poca, le piante non possono più usare la fotosintesi per produrre ossigeno, rendendo il pianeta inabitabile. Occorre dunque ristabilire questo equilibrio e regolare la temperatura della Terra, anche per arrestare lo scioglimento dei ghiacciai e mitigare i cambiamenti climatici che sempre più frequentemente danno adito a persistenti periodi di canicola e di siccità, a uragani, piene e inondazioni.
Si tratta di un’impresa titanica che va sostenuta da tutti e a livello planetario, anche se i quantitativi di anidride carbonica non sono dappertutto uguali. In termini assoluti, la Cina fa la parte del leone, con oltre il 27% delle emissioni mondiali (USA 11% e UE 6,4%). Le emissioni della Svizzera sono solo lo 0,1%. Per quanto riguarda l’essere umano, tutto dipende dalla regione in cui è cresciuto e ha vissuto. Secondo uno studio della Banca mondiale, uno svedese di 60 anni, ipotetico parente di Greta Thunberg (la giovane attivista ecologista), ha prodotto emissioni totali di anidride carbonica 2,5 volte superiori del coetaneo cinese e 9 volte di più di quello indiano.
Consiglio federale e Parlamento, consapevoli che la legge sul CO2 attualmente in vigore non basterà a dimezzare, entro il 2030, le emissioni di gas a effetto serra rispetto al 1990 (fino al 2018 erano inferiori solo del 14% a quelle dell’anno di riferimento), hanno varato una revisione totale della legge sul CO2 più severa. Essa è conforme agli obiettivi climatici sui quali si sono accordati 189 Stati e l’Unione europea, sottoscrivendo l’Accordo di Parigi, ratificato dalla Svizzera nel 2017. A causa del referendum, riuscito lo scorso gennaio, la riforma sarà sottoposta al popolo il 13 giugno prossimo, con la raccomandazione di accettarla.
Il referendum è stato lanciato da un comitato economico sostenuto dal settore petrolifero e automobilistico, come pure dall’USAM, dal Centre patronal e da GastroSuisse. Va segnalato che è appoggiato anche da un secondo comitato, ma di sinistra, denominato «Per un’ecologia sociale». Ne fanno parte certi gruppi regionali, soprattutto romandi, del movimento Sciopero per il clima. Essi sono convinti che gli obiettivi climatici non saranno raggiunti e che la legge sul CO2 è insufficiente, anche perché si concentra sulle compensazioni e non sulle riduzioni.
Le Camere federali hanno faticato più di tre anni per trovare un compromesso su questa revisione. Nel dicembre del 2018, il Nazionale ha affossato la legge messa a punto dal Consiglio federale un anno prima. Il progetto era stato sostenuto solo dal PPD e dal PLR, ma non aveva convito né l’UDC, né i socialisti, né i Verdi, né i Verdi liberali. Nel settembre del 2019, il Consiglio degli Stati ha dovuto ripartire da zero. Ma nel frattempo la situazione era cambiata: i giovani erano scesi in piazza e promosso lo sciopero per il clima. Inoltre, dopo una consultazione interna, il PLR ha deciso di impegnarsi maggiormente per il clima e l’ambiente.
Secondo il Consiglio federale, il riscaldamento del pianeta interessa la Svizzera in modo particolare, visto che dal 1864 la temperatura media da noi è aumentata di 2 gradi, ossia il doppio rispetto a quella mondiale. Per i fautori del progetto, la nuova legge sul CO2 permetterà di ridurre le emissioni e, di conseguenza, la temperatura. Per il Comitato economico «NO alla legge sul CO2», questo progetto peserà sul portamonete delle economie domestiche e delle imprese e non è di alcuna utilità per il clima, visto che l’impatto delle emissioni svizzere è appena dello 0,1%. Inoltre, è iniquo perché colpisce soprattutto le fasce di reddito medio-basse, proprio in un momento di grave crisi economica dovuta al Coronavirus.
Difesa da tutti i partiti, ma non dall’UDC, la nuova legge sul CO2 è sostenuta dai cantoni, dall’Unione delle città svizzere e dall’Associazione dei comuni svizzeri, come pure da numerosi partiti, organizzazioni ambientaliste, dal Touring Club Svizzero, dall’Associazione traffico e ambiente e da molte associazioni economiche. Essa fissa una serie di incentivi finanziari, compensazioni, investimenti e nuove tecnologie.
Dal 2008, la Confederazione già preleva una tassa sul CO2 che colpisce i combustibili fossili quali nafta, gas naturale e carbone. Orbene, questa tassa rincarerà, salendo dall’attuale massimo di 120 a 210 franchi per tonnellata di CO2. Ciò rappresenta 50 centesimi per litro di gasolio, al posto di 30, e 4,2 centesimi per kWh di gas naturale, al posto di 2,4. Se gli immobili nuovi non devono più produrre CO2, quelli esistenti potranno continuare a emettere gas a effetto serra, ma in caso di sostituzione del riscaldamento le emissioni dovranno rientrare entro limiti severi. I due terzi del gettito della tassa saranno ridistribuiti alla popolazione e all’economia. Il resto sarà versato in un Fondo per il clima e servirà a promuovere investimenti ecocompatibili e a sostenere le imprese innovative.
Ci sarà pure un rincaro del carburante. Gli importatori di diesel e benzina dovranno investire di più nella protezione del clima in Svizzera e all’estero. Per compensare i loro costi aggiuntivi potranno applicare, come finora, un supplemento sul prezzo alla pompa, che salirà nel 2025 dagli attuali 5 a 12 centesimi al litro. Per ridurre le emissioni di CO2 generate dal traffico motorizzato, la legge inasprisce le condizioni per l’importazione di veicoli. Le automobili nuove importate dovranno essere più «pulite». I valori indicati di CO2 sono attualmente di 95 grammi per chilometro. Dal 2025 saranno ridotti del 15% e dal 2030 del 37,5%.
Il progetto di legge prevede anche una tassa sui biglietti aerei riscossa per i voli in partenza dalla Svizzera che varia da 30 a 120 franchi. Anche i voli d’affari e quelli privati saranno sottoposti a una tassa tra i 500 e i 3000 franchi per volo, in funzione della distanza percorsa e della grandezza dell’aereo. La Confederazione preleverà la tassa direttamente presso le compagnie aeree, attualmente già confrontate con grosse difficoltà economiche dovute al COVID 19. Anche in questo caso la metà degli introiti sarà ridistribuita alla popolazione e all’economia. Il resto sarà versato nel Fondo per il clima.
La direttrice del Dipartimento dell’ambiente Simonetta Sommaruga ricorda che le tasse saranno in gran parte rimborsate alla popolazione, attraverso una deduzione dai premi della cassa malati, sebbene non si veda un nesso tra quest’ultimi e la riduzione di CO2. A sostegno del progetto e per sdrammatizzare le argomentazioni dei fautori del referendum, la consigliera federale ha sottolineato che il costo della riforma è tutto sommato modesto. Le spese annue lieviteranno solo di 100 franchi per una famiglia di quattro persone che prende l’aereo una volta all’anno per recarsi in un paese europeo, che ha un consumo medio di gasolio e che utilizza l’automobile regolarmente. Ma non è tutto: se la stessa famiglia opta per un’auto elettrica, il citato maggior costo si dimezza. Se poi non va in vacanza con l’aereo o sceglie un sistema di riscaldamento che non produce CO2, riceverà addirittura un rimborso.
Le tasse d’incentivazione confluiranno nel citato Fondo per il clima, alimentato nella misura di un terzo (ma al massimo 450 milioni di franchi all’anno) dalla tassa sul CO2, e per almeno la metà da quella sui biglietti aerei (da 30 a 120 franchi, a seconda della distanza del volo). Questi introiti serviranno a promuovere progetti come la costruzione di stazioni di ricarica elettrica per autoveicoli, l’acquisto di autobus elettrici, il risanamento di immobili e il finanziamento di reti di teleriscaldamento.
Questa strategia fatta di incentivazioni (tasse), restituzioni e compensazioni, dettati da una voluminosa legge di ben 87 articoli di non facile applicazione e che introduce nuova burocrazia, non convince per nulla gli oppositori, che contestano le ottimistiche previsioni del Consiglio federale. Per loro, il progetto in votazione è soltanto una questione di soldi e di divieti, quando la politica climatica svizzera è esemplare, visto che le emissioni di CO2 sono diminuite del 24% pro capite negli ultimi 10 anni. Per l’UDC – contraria – la riveduta legge sul CO2 costerà alla collettività e all’economia, nei prossimi anni, da 30 a 40 miliardi di franchi. L’onere supplementare per una famiglia di quattro persone sarà di almeno 1500 franchi all’anno, ossia molto di più dei modesti 100 franchi difesi da Simonetta Sommaruga.
Il prezzo al litro di benzina e diesel aumenterà di 12 centesimi. Ne faranno le spese gli abitanti delle regioni rurali e delle zone periferiche o di montagna che dipendono ogni giorno dalla loro vettura per recarsi al lavoro. Da questo profilo – sottolineano gli oppositori – la legge è antisociale e ingiusta. Inoltre, la tassa sulla nafta e sul gas sarà più che raddoppiata, con costi supplementari che graveranno non poco sui redditi deboli e medi. Un esempio: 1000 litri di gasolio costeranno circa 300 franchi in più. Chi vuole evitare questo balzello, può passare a un riscaldamento a energia rinnovabile, sempre che possa permetterselo. La tassa aggiuntiva sui biglietti aerei peserà sulle famiglie, ma anche su quei giovani che chiedono a gran voce in piazza la protezione del clima, ma che non esitano a prendere l’aereo, che produce CO2.
Il progetto sembrerebbe godere dei favori di una maggioranza dell’elettorato. Se fosse respinto – sottolinea il Consiglio federale – la Svizzera non potrà ridurre efficacemente le proprie emissioni di gas a effetto serra. Ma spillando più soldi ai cittadini per fare il pieno, per prendere l’aereo e per il riscaldamento, con un complesso meccanismo di tasse, incentivi e promesse di restituzione/compensazione da provocare il mal di testa al cittadino chiamato a decidere, si riuscirà a centrare l’obiettivo voluto, ossia ridurre le immissioni di CO2? Chi deve spostarsi in macchina, in aereo e riscaldare la casa dovrà farlo a prescindere. Risultato: inquinerà come prima, ma avrà meno soldi in tasca, oltretutto in un momento di crisi economica. Dunque, il quesito di fondo rimane: se pago di più, inquino veramente di meno?