A fine giugno, il Consiglio federale ha pubblicato i dati dell’ultima analisi sugli effetti della libera circolazione delle persone sul mercato svizzero del lavoro. A livello politico si è subito notata la tempistica di questa operazione, mettendola in rapporto con il voto popolare del prossimo 27 settembre. UDC e ASNI hanno, infatti, lanciato con successo un’iniziativa che chiede la denuncia del trattato con l’UE sulla libera circolazione.
Casualmente anche le conseguenze dell’epidemia di Covid-19 contribuiscono a fomentare le paure che da tempo circolano a proposito del lavoro e dei salari in Svizzera, che sarebbero messi in pericolo da questo trattato. Nel frattempo, però i rapporti annuali della Confederazione sulla libera circolazione di lavoratori dell’UE, dovrebbero contribuire a ridurre i timori dei lavoratori in Svizzera.
Il rapporto di quest’anno conferma intanto che, dopo lo choc del franco svizzero nel 2015, il trend delle immigrazioni dall’UE è in costante diminuzione. Durante l’attuale crisi dovuta al Covid-19 il saldo migratorio mostra perfino un’eccedenza di emigrati dalla Svizzera rispetto agli immigrati. Nel periodo da marzo a maggio, il saldo è di 1’900 emigrati in più degli immigrati. Al momento della discussione alle Camere federali dell’iniziativa, l’immigrazione raggiungeva cifre record, portando a 90’000 il saldo migratorio netto, di cui 68’000 immigrati provenienti dallo spazio UE/AELS. Da allora, però, l’immigrazione è costantemente diminuita, raggiungendo, nel 2010, un calo del 40%, mentre la diminuzione dell’immigrazione netta dalla sola UE è stata di circa la metà.
È chiaro che la causa principale di questa diminuzione è il peggioramento relativo della congiuntura economica in Svizzera rispetto all’UE, dovuto in maniera preponderante alla forte rivalutazione del franco rispetto alle altre valute principali. Questo a dimostrazione – ancora una volta – che il movimento migratorio è dovuto in modo preponderante alla situazione economica sia del paese di immigrazione, sia dei paesi di emigrazione. Quest’anno la pandemia del Covid-19 ha provocato un ulteriore choc. Secondo le ultime statistiche della Confederazione, come detto, la Svizzera, da paese di immigrazione, è diventata un paese di emigrazione, considerando i tassi di crescita del movimento migratorio.
Evidentemente una delle preoccupazioni maggiori – per altro anche rafforzata dalle misure per combattere l’epidemia – è quella del mercato del lavoro. In particolare vengono evidenziati due elementi: la sostituzione di lavoratori indigeni con lavoratori immigrati e la pressione sui salari in Svizzera. Gli studi regolarmente pubblicati da Berna – e anche altre analisi indipendenti – constatano che non vi sono tendenze alla sostituzione di lavoratori indigeni con immigrati e nemmeno un fenomeno generalizzato di pressione al ribasso sui salari svizzeri. Questo non significa però che vi siano regioni o settori particolari in cui questi effetti possono essere più evidenti, come per esempio nel canton Ticino.
Lo studio citato analizza queste situazioni e constata che, in media annuale, circa un terzo dei lavoratori in Svizzera sono stranieri, tuttavia, secondo i dati a disposizione, questi stranieri non hanno sostituito lavoratori svizzeri, ma hanno occupato posti di lavoro a disposizione. Tant’è vero che, fin dal 2010, e anche dopo l’introduzione della libera circolazione, l’occupazione di mano d’opera residente è aumentata. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile e questo nonostante la forte immigrazione netta ogni anno. Fenomeno registrato, con forti oscillazioni, anche in Ticino.
Nel frattempo, anche i salari sono aumentati. Secondo l’Ufficio federale di statistica, l’indice dei salari reali nel 2019 è aumentato dello 0,8% in media annua. Anche in Ticino, dove il divario salariale rispetto alla media svizzera rimane, si è registrato un aumento dello 0,4%. In Ticino si sente l’influsso della mano d’opera frontaliera. Il salario basso (meno dei due terzi del salario mediano) è percepito dal 7,5% della mano d’opera residente, ma dal 25% dei frontalieri. Tuttavia, nel periodo considerato, l’aumento percentuale del salario dei frontalieri è stato superiore a quello dei residenti. Anche questo rapporto constata però che la libera circolazione ha frenato l’aumento dei salari della mano d’opera molto qualificata. Così il salario nominale medio del personale con diploma universitario, tra il 2008 e il 2018, non è aumentato, contrariamente a quello del personale non qualificato.
Probabilmente la ricerca di personale molto qualificato fuori dalla Svizzera ha frenato l’aumento dei salari in questo settore. In ogni caso, lo studio conferma che la libera circolazione non ha avuto un effetto sostitutivo del personale svizzero e non ha contribuito a rallentare il livello salariale in Svizzera.