Nordcoreani superstar

I Giochi della (dis)tensione – Molti a Seul criticano la disponibilità del governo di pagare per avere la Corea del Nord fra gli ospiti. Facendo così dimenticare l'atrocità del regime di Pyongyang
/ 19.02.2018
di Giulia Pompili

Lo storico viaggio in Corea del Sud di una delegazione nordcoreana di altissimo livello per celebrare le Olimpiadi invernali in corso a Pyeongchang è considerato da molti il capolavoro diplomatico di Moon Jae-in, presidente sudcoreano eletto lo scorso anno dopo una turbolenta stagione politica. Ma a più di una settimana dalla cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici, e da quella prima stretta di mano tra la sorella minore del dittatore Kim Jong-un e il presidente Moon, tra la gente, soprattutto tra i coreani del Sud, permane un po’ di scetticismo. La musica, la squadra di cheerleader, i sorrisi delle donne nordcoreane che hanno catalizzato l’attenzione dei media internazionali basteranno per mettere da parte la brutalità di un regime che da anni terrorizza il mondo con il suo arsenale nucleare?

Il leader nordcoreano, con la prima lettera della storia indirizzata direttamente al presidente sudcoreano, ha invitato Moon Jae-in a Pyongyang, per parlare degli ulteriori passi da compiere verso la pacificazione delle Coree. Ma Moon non ha ancora accettato l’invito. Sin dal 2007, l’anno dell’ultimo viaggio di stato di un presidente sudcoreano nella capitale del Nord, molte cose sono cambiate nella penisola: l’arsenale missilistico e nucleare di Kim Jong-un è cresciuto esponenzialmente, e da quando è stato eletto presidente americano, Donald Trump ha più volte detto di essere pronto a usare la forza contro il regime. Moon sta trattando la pace da solo, ed è accusato da Washington di ingenuità, perché la Corea del Nord ci ha spesso illusi firmando accordi che poi non ha rispettato.

Quel che è certo è che nessun membro della dinastia dei Kim era mai andato in visita ufficiale in Corea del Sud sin dal 1953, l’anno dell’armistizio tra le due Coree. Così, quando Kim Jong-un ha deciso di aggiungere ai nomi dei rappresentanti ufficiali quello di sua sorella, Kim Yo-jong, la delegazione nordcoreana ha assunto un ruolo diverso dalla semplice rappresentanza. Secondo le testimonianze di chi l’ha incontrata durante i suoi due giorni in Corea del Sud, la giovane Kim è sempre stata a suo agio, ha sorriso molto, e ha dato l’idea di essere una donna con una forte personalità, elegante anche con un semplice completo scuro e senza trucco. Il problema, hanno scritto diverse testate internazionali tra cui il «Guardian» e il «Washington Post», è piuttosto ciò che non sappiamo di lei, e di quello che decide in uno dei regimi più brutali del mondo.

Perfino sulla sua età ci sono discussioni tra esperti: dovrebbe avere più o meno una trentina d’anni, e come il fratello maggiore avrebbe studiato per qualche anno a Berna, in Svizzera, sotto falso nome. È l’ultima dei cinque figli del leader Kim Jong-il, morto nel dicembre del 2011, la sua «principessa», secondo quanto raccontato dal cuoco personale di Kim, Kenji Fujimoto. Non è un caso se la prima apparizione ufficiale della giovane Kim sia stata durante il funerale di Kim Jong-il: da allora il suo ruolo politico accanto al fratello maggiore è cresciuto, e negli ultimi mesi Kim Yo-jong ha assunto ruoli sempre più importanti all’interno della burocratica amministrazione dello stato nordcoreano. È vicedirettrice del Dipartimento della propaganda, e alla fine dello scorso anno è stata nominata membro non permanente del Politburo.

Il mistero che accompagna i membri della famiglia Kim serve a umanizzarli il meno possibile: sin dal suo arrivo alla guida del regime, nel 1948, Kim Il-sung ha costruito attorno alla sua immagine un culto della personalità che lo ha reso, nei decenni, simile a un dio, e così tutti i membri della famiglia. La dinastia dei Kim è quindi la linea di sangue del Monte Paektu, per definizione intoccabile, infallibile.

Il presidente Moon Jae-in ha accolto sorridente, venerdì scorso, la delegazione nordcoreana guidata dal novantenne Kim Yong-nam, che da vent’anni è il presidente del praesidium dell’Assemblea popolare suprema. Nonostante l’omonimia, Kim Yong-nam non è parente dei leader di Pyongyang, ed ha un ruolo di rappresentanza. È per questo che al loro arrivo all’aeroporto di Incheon, in Corea del sud, con un aereo privato, tutte le attenzioni si sono concentrate sulla giovane Kim Yo-jong, e su quella prima stretta di mano che si sono scambiati Moon e una rappresentante della linea di sangue dei Kim sul palco vip dello stadio olimpico, prima della cerimonia d’apertura. Il giorno dopo Kim Yong-nam e Kim Yo-jong hanno partecipato a uno storico pranzo presso la Casa Blu di Seul, il corrispettivo sudcoreano della Casa Bianca, a cui hanno preso parte esclusivamente i rappresentanti delle due Coree. Hanno firmato il libro degli ospiti, e per la prima volta gli analisti hanno potuto osservare la calligrafia di Kim Yo-jong, estremamente simile a quella del fratello maggiore.

Durante i due giorni di permanenza al Sud, la Corea del Nord ha mostrato al mondo il suo lato più amichevole, e non solo per via dei sorrisi della giovane Kim. C’è la squadra di hockey femminile, l’unica composta di atlete sia sudcoreane sia nordcoreane, che forse sarà proposta per il premio Nobel per la Pace dal Comitato olimpico internazionale. E si sono già tenuti alcuni dei concerti della Samjiyon band nordcoreana, l’orchestra di 137 elementi che fa parte dello strategico charme offensive di Kim Jong-un. La star della musica pop sudcoreana Seohyun si è unita alle cantanti del Nord, qualche sera fa, cantando Siamo una sola Corea. Le più fotografate sono però le cheerleader nordcoreane, che seguono i – pochi – atleti del Nord durante le performance a Pyeongchang. «È il loro modo di comunicare con la comunità internazionale», ha detto il ministro dell’Unificazione di Seul.

Ma in molti hanno criticato la disponibilità del governo sudcoreano di pagare per avere la Corea del Nord tra gli ospiti: se il Comitato olimpico si occuperà degli atleti, infatti, 2,6 milioni di dollari dei contribuenti sudcoreani saranno usati per alloggiare il resto della delegazione, quasi cinquecento persone tra artisti, membri della sicurezza, interpreti e giornalisti. E forse è il prezzo che Seul deve pagare per riaprire il dialogo con Pyongyang e lasciarsi, almeno per qualche settimana, la guerra alle spalle.