Tutti alla «Davos nel deserto», a celebrare con i reali sauditi la Future Investment Initiative e tanti saluti all’indignazione per un omicidio di Stato che soltanto un anno fa era riuscito a ridimensionare l’evento saudita 2018. Al Ritz-Carlton di Riad, dove il Principe ereditario Mohammed bin Salman per mesi ha tenuto imprigionati centinaia di familiari e leader imprenditoriali del Paese per consolidare il suo potere, il vertice finanziario globale del 23-25 ottobre si svolgerà regolarmente, con la presenza anche di Jared Kushner, genero di Donald Trump e incaricato dal presidente di seguire i dossier mediorientali.
L’anniversario dell’uccisione del giornalista del «Washington Post» Jamal Khashoggi non ha smosso nessuna coscienza, al contrario di quanto era successo l’anno scorso. Eppure avrebbe dovuto.
Nei giorni in cui la Festa del cinema di Roma assegna un premio alla carriera a Viola Davis, la protagonista della serie How to get away with murder, in italiano Le regole per il delitto perfetto, il mondo libero non dovrebbe dimenticare l’anniversario dell’assassinio del giornalista Khashoggi, catturato, torturato, ucciso, fatto letteralmente a pezzi e bruciato nel giardino del consolato saudita di Istanbul. Il problema è che il mondo libero è ogni giorno meno libero e soprattutto privo di una guida politica e morale, con il tradizionale leader, il presidente americano, inaffidabile e accusato di intelligenza con il nemico.
L’omicidio di Khashoggi non è un dettaglio della storia; un tipino che non si turba facilmente, come abbiamo avuto conferma in questi giorni, ovvero il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, ha definito l’assassinio di Khashoggi come «l’evento più influente del ventunesimo secolo, dopo le stragi dell’11 settembre 2001». Erdogan magari esagera e usa il delitto a fini politici interni, ma la questione è seria.
Gli undici responsabili materiali di quell’assassinio sono formalmente sotto processo, a Riad, anche se del procedimento non si sa nulla, nemmeno se sia davvero iniziato, se non che, in caso di condanna, si concluderà con la pena di morte degli imputati. E figuriamoci se da quelle parti rinunciano a tagliare qualche altra testa.
La cosa certa è che il principe ereditario del Regno, Mohammed bin Salman detto MBS, ha negato di aver ordinato l’omicidio, nonostante le inchieste giornalistiche e un rapporto dell’Onu sostengano il contrario e non siano mai state smentite dai fatti. MBS sembra però aver seguito tutte le regole del diritto perfetto, compreso un magnanimo risarcimento milionario ai figli della vittima, come da insegnamenti della penalista Viola Davis nella serie tv.
L’Amministrazione Trump non si è occupata del giornalista ucciso, come se l’omicidio di un editorialista del quotidiano della capitale organizzato da un capo di Stato straniero non la riguardasse. I trumpiani si sono limitati a ripetere la versione dell’alleato saudita.
Il rapporto tra Trump e i Saud è più solido che mai, ben oltre la storica e tradizionale alleanza tra americani e sauditi, una conseguenza (a non pensare male) dalla decisione di riallineare su Riad l’asse geostrategico che Barack Obama aveva cercato di spostare verso l’Iran, ma anche della personale amicizia tra Kushner e lo stesso MBS.
Kushner e MBS si incontreranno alla «Davos nel deserto» che si tiene in un’Arabia Saudita che, in queste settimane, ha condotto sui giornali occidentali una campagna globale di marketing per raccontare una fantomatica apertura delle rotte turistiche nel Golfo, ma che in realtà è servita soltanto a comprare influenza.
Un anno fa, pochi giorni dopo l’omicidio del giornalista, le grandi corporation e i grandi fondi americani avevano boicottato del tutto la conferenza nel deserto, senza mai smettere ovviamente di fare business con i sauditi. Quest’anno, invece, ci sono state meno rinunce, come se dodici mesi fa nel consolato di Istanbul non fosse successo niente.
La scommessa di MBS è andata a buon fine, e non poteva andare diversamente visti gli interessi in gioco: il leader saudita sapeva perfettamente che Trump non avrebbe mosso un dito contro di lui, nemmeno per sbaglio e nonostante l’efferato omicidio di un fastidioso giornalista che svelava al mondo la realtà fittizia del suo programma riformatore pubblicizzato a suon di petrodollari. Kashoggi è stato assassinato, Trump imbarazza il suo Paese e meriterebbe l’impeachment anche per questo, mentre Mohammed bin Salman è riuscito a farla franca, getting away with murder. Noi non possiamo fare altro che ricordarlo.