Non c’è onore in un delitto

In Italia non sono solo le donne di origine pakistana a venire uccise perché vogliono essere libere o rifiutano matrimoni combinati
/ 05.12.2022
di Francesca Marino

Avrebbe dovuto portare il suo nome, ovvero Saman, la legge che in Italia avrebbe aiutato le giovani come la ragazza di origine pakistana uccisa perché si era ribellata a un matrimonio combinato ad avere gli strumenti per essere libere. Ma la legge non è mai stata approvata in via definitiva. Il corpo di Saman è stato ritrovato di recente, un anno e mezzo dopo la sua sparizione, e suo padre, appena arrestato in Pakistan, probabilmente la passerà liscia perché nel suo Paese il cosiddetto «delitto d’onore» è culturalmente e legalmente ammesso. Quello di Saman è solo l’ultimo caso di una lunga e sanguinosa serie che vede ragazze di origine pakistana molestate e uccise nella vicina Penisola. Così lunga che, nel 2019, la legge n. 69/2019, il cosiddetto «Codice rosso», ha introdotto una fattispecie penale speciale per punire i matrimoni forzati.

La Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza ha recentemente pubblicato il primo Rapporto sulla Legge: dal 9 agosto 2019 – data della sua entrata in vigore – al 31 dicembre 2021 si è registrato un aumento dei matrimoni forzati. Il 59% delle vittime sono straniere, soprattutto pakistane. Che, in seguito al rifiuto di un matrimonio combinato, finiscono spesso vittima dei cosiddetti delitti d’onore. Delitti che però, è bene ricordarlo, non sono soltanto retaggio di culture «altre» o della Sharia. Il delitto d’onore, difatti, è stato eliminato in Italia dal Codice penale solo nel 1981. Prima, citando l’articolo 587 del famigerato Codice Rocco promulgato da Mussolini nel 1930: «Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui scopre l’illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La stessa pena si applica a chi, in queste circostanze, provoca la morte della persona che ha una relazione carnale illegittima con il coniuge, la figlia o la sorella». Mentre all’articolo 544 si prevedeva: «Per i delitti preveduti dal primo capo e dall’articolo 530, il matrimonio, che il reo contrae con la persona offesa, estingue il reato, anche nei confronti di chi ha partecipato al reato stesso; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali». Spiegazione: se venivi stuprata, rapita e il tuo stupratore ti chiedeva poi in sposa, non veniva punito.

Orrori appartenenti a un’altra epoca, ormai superati? Non proprio. Anche in Svizzera l’articolo 113 del Codice penale prevede ancora il «delitto passionale». Stabilendo: «Se il colpevole ha agito cedendo a una violenta commozione dell’animo, scusabile per le circostanze, o perché in stato di profonda prostrazione, la pena è una pena detentiva da uno a dieci anni». Mentre in Italia alcune recenti sentenze non hanno nulla da invidiare alla Sharia pakistana o afghana, per cui basta pagare il «prezzo del sangue» (una cifra in denaro) della vittima e si viene prosciolti. Secondo gli ultimi rapporti: «Il motivo principale del femminicidio è la gelosia e il senso di possesso (impropriamente definito dai giudici come amore passionale)». Gli stessi giudici spesso, parlando di femminicidi, affermano che l’omicida «soffriva di una folle gelosia» e deve quindi godere delle attenuanti del caso, e talvolta concedono le stesse attenuanti in un caso di stupro «perché la vittima indossava jeans attillati». E leggere i giornali ogni giorno è come leggere un bollettino di guerra. Abbiamo perfino dovuto inventare una parola per definire il fenomeno: «femminicidio» appunto.

Secondo gli ultimi dati disponibili, sono stati commessi in Italia nell’ultimo anno 104 femminicidi. Nel 58,8% dei casi l’omicidio si è verificato nell’ambito della relazione di coppia: il 45,4% delle donne è vittima del partner, il 13,4% di un ex partner. Fra i partner assassini, nel 77,8% dei casi si tratta del marito, mentre tra gli ex prevalgono ex conviventi ed ex fidanzati. Mentre in Svizzera in media ogni mese una donna perde la vita per mano del compagno o dell’ex (Statistica criminale di polizia 2020). Le donne continuano a morire, e non solo fisicamente. Le vittime, difatti, vengono ancora oggi spesso uccise due volte: prima dai loro aguzzini, poi dall’opinione pubblica, dai media e dai social. Dal rifiuto di molti poliziotti e di parecchi giudici di prendere sul serio le denunce per percosse, per stalking o per violenze domestiche. La cultura che sta dietro al delitto d’onore, la cultura che considera il corpo delle donne come campo di battaglia o come preda di guerra, è dura a morire. Ogni giorno leggiamo notizie di donne, anziane, giovani o appena uscite dall’infanzia, violentate, uccise, abusate. Ma l’oltraggio muore dopo un paio di giorni e i loro assassini, i loro abusatori, riescono sempre a sopravvivere e a essere liberi dopo un po’. Ogni giorno leggiamo notizie, ma ci indigniamo di più quando si parla di Iran, Afghanistan o Pakistan dove la violenza sulle donne è un fenomeno sociale che noi, la civilissima Europa, abbiamo lasciato nel passato. Non è così, purtroppo. E forse dovremmo ritornare in piazza, ogni giorno. Per ricordare che non c’è onore in un omicidio, mai. Che nemmeno la più grande passione giustifica gli abusi. E che il corollario dell’amore non è il possesso ma il rispetto e la libertà.