Né gli americani né i russi vogliono morire per Kiev. Ecco il senso del vertice virtuale che si è svolto il 7 dicembre fra Joe Biden e Vladimir Putin. Di norma tali incontri, specie se non in presenza fisica, lasciano abbastanza il tempo che trovano. Non è stato così in quel caso. Fino all’appuntamento in teleconferenza battevano in Russia e in America i tamburi dell’Apocalisse. Sembrava che i russi stessero ammassando truppe al confine per scagliarsi all’assalto dell’Ucraina già amputata della Crimea e incapace di riprendersi il Donbas. E che gli americani e i loro soci europei dell’est e del nord, oltre agli immancabili britannici, fossero disposti a scattare in difesa di Kiev. Non è così. Nessuno può escluderlo in un futuro non prossimo, ma se qualcosa è filtrato chiaro da quel dialogo a distanza è che nessuno dei protagonisti ha voglia di menar le mani in una regione del mondo così fragile e contestata, attraversata da una informale ma effettiva cortina di ferro. A poche centinaia di chilometri da Mosca. Perché uno scontro potrebbe trasformarvisi in guerra nucleare, fuori tutto.
Osserviamo la situazione sul terreno. La Nato è ormai penetrata nello spazio già sovietico. Si è costituita una avanguardia di Paesi che premono direttamente su Mosca. Insieme di nemici storici della Russia, dalla Svezia (non di nome, ma di fatto atlantica) alla Romania, con perno in Polonia e nei Paesi baltici che le fanno corona e stringono la morsa sulla exclave russa di Kaliningrad. Fra l’impero europeo dell’America e le mura del Cremlino due soli Paesi. La Bielorussia, indocile alleata della Federazione russa, con l’imprevedibile quanto infragilito dittatore Lukashenko che spesso fa di testa sua, come quando durante la crisi dei migranti con la Polonia minaccia di tagliare i rifornimenti di gas russo a Varsavia e all’Unione europea, e viene perciò redarguito da Putin. E l’Ucraina, con il Governo centrale e una maggioranza della popolazione schierati con l’Occidente, e diverse aree invece orientate verso Mosca.
L’Ucraina è oggi il classico Stato cuscinetto. Terra di nessuno fra due potenze rivali. Più cuscinetto che Stato, visto il grado di frammentazione territoriale, di malessere sociale e di crisi istituzionale che percorre quello spazio storicamente di frontiera. Per la Russia l’imperativo è impedire che Kiev scivoli nel campo americano, aderendo alla Nato. Una tale prospettiva è vissuta al Cremlino come minaccia esistenziale. E non solo perché missili lanciati da basi ucraine potrebbero colpire Mosca in meno di dieci minuti di volo. Soprattutto perché all’interno la pressione sul regime, a quel punto svelatosi incapace di proteggere le sue frontiere più intime, si farebbe pericolosa.
Due gli sbocchi pensabili: l’avvento di una dittatura militare o una «rivoluzione colorata» in stile Kiev 2014 che installi una leadership filo-occidentale. In entrambi i casi le reazioni a catena nell’immenso spazio della Federazione russa, e nell’area postsovietica, sarebbero enormi. Destabilizzando l’intera massa eurasiatica. Dal punto di vista russo, insomma, la questione ucraina è di vita o di morte. Tanto che Putin ha provocatoriamente preteso di fissare per trattato l’impossibilità della Nato di espandersi ulteriormente verso est.
Per gli Stati uniti la priorità è impedire che Mosca si riaffacci nell’Ucraina appena riorientata verso il campo atlantico. Biden non ha urgenza di portare Kiev nella Nato, ma vuole lasciarsi aperta tale prospettiva. Né può farsi dettare da Putin e codificare per via legale quali debbano essere i limiti del suo impero europeo. Per Washington però non si tratta dell’ultima spiaggia. Non è in gioco l’esistenza stessa della patria, come nel caso russo. All’ammassamento di truppe russe alle frontiere occidentali il Pentagono oppone quindi il riarmo dell’Ucraina, per rendere molto costosa un’eventuale aggressione russa. Ma il segnale che viene da Washington, dopo il vertice Putin-Biden, è che non ci si intende impegnare in una guerra con la Russia mentre la pressione sulla Cina è la priorità assoluta.
Emerge così la contraddizione strategica che mina la postura degli Stati uniti. Mentre si concentrano sulla sfida a Pechino, gli Usa hanno di fatto favorito la formazione di un’intesa fra Russia e Cina, cui Putin è stato costretto dopo aver perso l’Ucraina e così verificato l’impossibilità di una relazione positiva con l’Occidente. Non sarà facile, ma è chiaro interesse americano correggere questo errore, che rafforza l’avversario principale e assegna alla Russia un ruolo decisivo nello scontro fra Stati uniti e Cina. Il 7 dicembre 2021 ci apparirà forse un giorno come l’avvio di un processo di lento riavvicinamento fra Mosca e Washington. A meno che, sull’infido terreno ucraino, qualcosa sfugga di mano ad entrambi e scateni la guerra che entrambi rifiutano.
Nessuno vuole morire per Kiev
Cosa rappresenta l’Ucraina per la Russia e gli Stati uniti? E perché la guerra, almeno per ora, è un’eventualità remota
/ 13.12.2021
di Lucio Caracciolo
di Lucio Caracciolo