Che cosa farà il Consiglio federale nella trattativa con l’Unione europea sull’accordo istituzionale? Continuerà a negoziare o preferirà rinunciare visto che le posizioni delle due parti sono molto divergenti su più punti e che un compromesso appare molto lontano? È la questione centrale alla quale bisognerà dare una risposta in tempi brevi, dopo il fallito vertice di Bruxelles tra il presidente della Confederazione, Guy Parmelin, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Lo spazio lasciato all’ottimismo è ridotto ai minimi termini. Certo, subito dopo il vertice le due parti hanno dichiarato che la porta rimane aperta e che le due negoziatrici, la segretaria di stato Livia Leu e la vice capo di gabinetto della presidente della Commissione Stéphanie Riso rimangono in contatto, ma non è stata fissata nessuna data per un loro incontro. E le accuse, soprattutto da parte della Commissione europea, non sono mancate. Ursula von der Leyen ha accusato il Consiglio federale di non aver presentato nessuna proposta concreta per risolvere le tre principali divergenze, ossia la questione degli aiuti di Stato, che interessa in primo luogo i Cantoni, la protezione dei salari e la direttiva dell’UE sulla cittadinanza, che implicherebbe l’accesso di tutti i cittadini dell’UE al sistema di protezione sociale elvetico. La presidente della Commissione UE, attraverso i suoi collaboratori, ha lasciato trapelare anche l’informazione, secondo la quale la Svizzera vorrebbe escludere dall’accordo istituzionale i tre punti contestati. Grazie ad un documento riservato, preparato dal Dipartimento degli affari esteri all’attenzione dei membri delle commissioni di politica estera delle Camere federali e giunto nella redazione del «Tages Anzeiger», si sa che queste critiche non sono fondate. Durante i sei incontri bilaterali che Livia Leu ha avuto con Stéphanie Riso, la Svizzera ha presentato una serie di proposte concrete, ma l’UE le ha accolte soltanto su un punto, gli aiuti di Stato, ed ha chiesto che si rinunciasse alle richieste formulate sugli altri due punti.
Queste informazioni dimostrano in primo luogo che il clima tra le due parti non è certo dei migliori. E un’ulteriore prova la si è avuta già tre giorni dopo il vertice. A Bruxelles, una funzionaria dell’Unione ha dichiarato che il negoziato con la Svizzera per una partecipazione elvetica a «Horizon Europe», il programma quadro europeo per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2021-2027, potrà iniziare soltanto quando Berna avrà versato il secondo miliardo di franchi di coesione, destinato a finanziare progetti nei paesi più poveri dell’Unione. L’importo è stato concesso ma le Camere federali l’hanno bloccato in risposta al non riconoscimento da parte dell’UE della regolamentazione della Borsa svizzera.
E al clima si aggiunge ovviamente la sostanza. L’Unione europea convive senza entusiasmo con gli accordi bilaterali con la Svizzera, una soluzione unica, che non viene applicata ad altri paesi. All’inizio, questa soluzione è stata accettata, perché veniva vista come una soluzione transitoria in vista di una probabile adesione della Svizzera all’UE. Oggi vien assimilata in primo luogo al libero accesso al grande mercato unico europeo. Un accesso che per gli Stati membri è libero, ma che prevede anche il rispetto di una serie di regole. L’UE vorrebbe che queste norme fossero applicate a tutti i paesi che vogliono accedere al mercato unico, e quindi anche alla Svizzera. Per esempio le regole che riguardano la libera circolazione delle aziende e dei lavoratori, la possibilità di stabilirsi in un paese di propria scelta ed eventualmente anche di poter accedere alla protezione sociale prevista. Oppure le regole che garantiscono la libera concorrenza. L’UE, dunque, cerca di far rispettare la sua legislazione anche ai paesi che non sono membri dell’Unione, ma che hanno libero accesso al mercato unico, e non accetta volentieri soluzioni particolari, diverse, soprattutto quando queste possono entrare in conflitto con i principi fondatori dell’Unione.
La Svizzera pone come principale obiettivo la difesa degli Accordi bilaterali, nonché la possibilità di negoziarne e di sottoscriverne altri. Lo fa per più ragioni. Essenzialmente per motivi economici, poiché l’Unione europea è il nostro principale partner economico e più della metà delle nostre esportazioni finiscono nei paesi dell’Unione. Ma anche perché la geografia e la storia ci insegnano che siamo un piccolo paese sito nel centro delle Alpi, circondato da paesi più grandi che sono membri dell’Unione e con i quali è nostro interesse mantenere buoni rapporti e un buon livello di scambi umani ed economici. Per raggiungere questo obiettivo, la Svizzera non è però pronta ad accettare regole esterne che l’Unione europea vorrebbe imporre e che non sono in sintonia con quanto vien applicato sul territorio elvetico. Norme che, per esempio, potrebbero rendere più difficile la protezione del livello dei salari o mettere sotto pressione il sistema sociale. Non vuol rinunciare, insomma, ad una parte del suo potere decisionale in importanti settori economici e sociali.
Per poter definire i prossimi passi, il Consiglio federale ha intrapreso una procedura di consultazione che ha coinvolto le commissioni della politica estera del parlamento, i governi cantonali ed i partner sociali. La commissione del Nazionale l’ha invitato a proseguire le discussioni con Bruxelles, al fine di raggiungere un compromesso. La commissione degli Stati, invece, si è limitata a lasciare al governo la possibilità di scegliere il modo di procedere. Nessuna delle due commissioni ha chiesto al Consiglio federale di abbandonare il tavolo della trattativa. Dopo le commissioni è toccato ai Cantoni ed ai partner sociali. La conferenza dei governi cantonali ha chiesto un po’ di tempo per poter esaminare tutto il dossier dei rapporti della Svizzera con l’UE, nonché per poter raccogliere ulteriori informazioni, prima di emettere un giudizio politico. Il governo ha promesso di decidere quando la procedura di consultazione sarà terminata.
Sono già passati due anni e mezzo da quando l’accordo istituzionale è stato redatto nella sua forma attuale. Con un po’ più di buona volontà e con una maggiore determinazione si sarebbe potuto e dovuto procedere più rapidamente per ottenere le correzioni volute. Non è stato così. Oggi, la situazione appare ardua, difficile da affrontare ed eventuali concessioni, in particolare da parte dell’UE, risulterebbero probabilmente non sufficienti per far approvare l’accordo con un voto popolare e quindi per sconfiggere l’opposizione che si riscontra nell’UDC, in parte anche in altri partiti, in alcuni ambienti economici ed in piccoli gruppi d’interesse come «Autonomie Suisse» e «Kompass Europe».
L’ipotesi di un possibile compromesso rischia di svanire, mentre si avvicina la minaccia di una progressiva erosione degli accordi bilaterali e di un peggioramento dei rapporti con l’Unione europea. Soltanto un sussulto, una vera presa di coscienza dell’importanza della posta in gioco da parte delle personalità che hanno la responsabilità di questo dossier possono, forse, tener ancora lontana questa minaccia.
Nebbia fitta tra Berna e Bruxelles
Accordo istituzionale - Il vertice fra il presidente della Confederazione Guy Parmelin e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha reso evidenti le profonde divergenze in un negoziato che resta poco trasparente
/ 03.05.2021
di Marzio Rigonalli
di Marzio Rigonalli