Natale senza «Che»

Revolución monetaria– È la fine di un’era, un taglio netto con il passato. Dal 1. gennaio sparisce la doppia moneta. Doveva servire a proteggere l’economia, ma non ha funzionato
/ 21.12.2020
di Angela Nocioni

La banconota da tre pesos con la faccia del «Che» Guevara e il biglietto con stampate le palme rosse dei pesos convertibili in dollari, i Cuc.

Questo sarà l’ultimo Natale per entrambi, l’ultimo Natale a doppia valuta a Cuba. I vecchi pesos socialisti, in realtà, non li vuole più nessuno da molto tempo. Soltanto i turisti come souvenir. Servono a prendere l’autobus e ad entrare al teatro di quartiere. Tutti vogliono da molti anni null’altro che «los verdes», «la moneda del enemigo», gli amatissimi dollari americani o il loro equivalente in Cuc, i «pesos» convertibili che non hanno corso legale fuori dall’isola.

I due biglietti, simbolo dell’economia socialista di facciata l’uno e del mercato reale l’altro, hanno finora amorevolmente convissuto nelle tasche dei cubani.
Dal primo gennaio, sessantaduesimo anniversario dell’ingresso trionfante all’Avana di Fidel Castro, Camilo Cienfuegos ed Ernesto Guevara vittoriosi sull’esercito del dittatore Fulgencio Batista, entrerà in circolazione una moneta unica, unificazione delle due, il cui valore sarà equiparato a quello di quella più alta.

Per l’ultima volta il rum di qualità che bagna le feste natalizie, non più proibite da quando la visita di Giovanni Paolo II liberò il culto cattolico dell’isola, potrà essere acquistato con gli attuali Cuc, insieme ai cartocci di mais in pesos nazionali. Dal primo gennaio anche il rum pessimo delle rivendite clandestine sotto i portici dell’Avana vecchia potrà essere comprato solo con moneta convertibile.

Annunciata come ennesimo provvedimento rivoluzionario, la misura porta con sé la prima svalutazione dall’inizio della Rivoluzione, con annesso impatto sul potere d’acquisto.
Si tratta di uno dei passi più difficili del lento e gradualissimo processo d’apertura economica avviato dal regime nel 2003. Allora, diciassette anni fa, aprire l’isola al turismo di massa e legalizzare alcuni lavoretti in proprio, decisione fortemente voluta da Raul Castro che la considerava (a ragione, s’è visto col senno del poi) l’unico modo per mantenere in piedi il socialismo politico tropicale, rese inevitabile la coesistenza delle due monete, con buona pace degli economisti socialisti ortodossi. Era impossibile aprire l’ingresso alle monete forti e impedirne l’utilizzo ai cubani. Da qui nasce l’invenzione dei Cuc, il peso convertibile.

Che ormai, a isola spalancata e economia dollarizzata, è l’unica moneta realmente usata.
Dal 2021 i cubani avranno un’unica moneta di scambio al valore di 24 pesos cubani per dollaro. I prodotti alimentari moltiplicheranno per venti il loro valore. Per attutire l’impatto della novità e renderla sostenibile, i salari e le pensioni saranno aumentati rispettivamente del 450% e del 500%. Il che servirà a pochissimo perché le entrate in dollari delle singole persone, essendo affidate al mercato reale, rimarranno invariate.
Dice Reina Valdes dal telefono della vicina di appartamento perché lei un telefono non ce l’ha: «Per la notte di Natale la festa chiede rum, verdura, yuca fritta e dolci. Compro tutto in dollari, solo il riso trovo in pesos cubani e non posso permettermi la cena del 24 già quest’anno, come farò il prossimo?».

Reina è una maestra in pensione del Centro Habana, ex comunista delusa ma non rabbiosa, dice che i soldi statali le servono solo per le offerte «a los santos»: «Spero che mio figlio da Miami mi raddoppi le rimesse sennò non so con cosa comprare il poco che mi permetto ora». Lei non è cattolica, da afrocubana militante è devotissima di Yemanja, la dea dell’acqua della santeria nella religione sincretica dell’isola, ma il Natale lo festeggia lo stesso insieme alla famiglia del suo nuovo marito, Jaime, che nell’Avana del 2020 si definisce «cattolico progressista di sinistra».

Dice Jaime: «il Natale per noi qui è stato una sfida così per lungo tempo, che anche ora, nonostante il divieto sia stato cancellato, celebrarlo regala un sapore d’orgoglio per essere finalmente usciti dal buio, come diciamo noi, dal closet».

Il progressismo cattolico di sinistra è fatto all’Avana da piccole élites. «La Chiesa ufficiale qui è rimasta quella del periodo coloniale» dice lui. Nel secolo XIX entrano gli evangelici e rispondono alla ricerca di una religione meno autoritaria rispetto a una Chiesa che appoggiava il regime coloniale. Ora gli evangelici hanno una partecipazione al culto domenicale che supera quella cattolica, anche i pentecostali e i carismatici hanno avuto una grande crescita. Molti sospettano che il regime abbia aiutato silenziosamente gli evangelici per usarli come contrappeso. Ciò nonostante i Castro hanno sempre mantenuto un doppio passo nel rapporto con la Chiesa cattolica. Mentre vietavano di festeggiare il Natale, coltivavano relazioni diplomatiche ad altissimo livello con il Vaticano. Il governo cubano rivoluzionario e il Vaticano hanno mantenuto rapporti sempre. Anche durante l’era dell’ateismo di Stato Cuba ha avuto fitte relazioni diplomatiche con il Vaticano.

Con l’implosione dell’impero sovietico, all’Avana hanno deciso che era saggio, per evitare un’esplosione sociale, allentare la morsa dei divieti e riconoscere le religioni nella loro pluralità.
Prima del ’59 i battezzati erano il 90%, ora sono tra il 35% e il 40%. La Chiesa cattolica cubana è tradizionalmente una delle più conservatrici e delle più romane al mondo. È anche per questo che la chiesa cattolica sta perdendo terreno sull’isola rispetto alle chiese protestanti ed evangeliche. La presenza a messa è sempre stata bassa, anche prima della rivoluzione lo era, solo donne e vecchi, a parte i collegi religiosi dove era obbligatoria.

La religiosità è sopravvissuta alla campagna di formazione ateista diventata molto forte dopo il primo congresso del Pcc nel ’75 in cui l’ateismo divenne la posizione ufficiale. Si davano lezioni di ateismo. Il manuale era sovietico, la docente che formava i dirigenti cubani pure. C’erano corsi universitari ai quali i credenti non erano ammessi, non si potevano abbracciare carriere letterarie, nemmeno psicologia. Filosofia poi, nemmeno a parlarne. I credenti erano obbligati a materie scientifiche e non potevano insegnare, furono esclusi dall’area di educazione, tranne poche eccezioni, fino agli anni Novanta. Con l’inizio del «periodo especial», ossia di emergenza economica, si ammette che persone con credo religioso possano entrare nel partito comunista.

Racconta Marta Calvos, studiosa di santeria locale: «Quando sono usciti allo scoperto i cattolici insieme alla possibilità di non rintanarsi più per festeggiare il Natale, siamo stati felici anche noi che crediamo alla santeria, perché serviva a tutti uno sdoganamento ulteriore della libertà religiosa, non bastava la tolleranza di fatto. Negli anni Settanta e Ottanta non si poteva essere militare e religioso, ma poiché molti nelle forze armate sono neri e meticci, moltissimi militari praticavano la santeria. Si consacravano, andavano al tempio in orari in cui teoricamente la gente non avrebbe potuto vederli: le famose consulte dell’alba. Il babalawo (il sacerdote della santeria, n.d.r.) li esonerava dal vestirsi di bianco, come richiede la religione nel primo anno ai nuovi devoti. Loro andavano a consacrarsi e poi uscivano in divisa verde oliva, con l’arma alla cintura. La religione afrocubana è abituata a che il sacerdote faciliti l’ingresso e la permanenza dei fedeli. Gli orishash, le nostre divinità, giustificavano e chiudevano un occhio sulla doppia morale».