Mosca rimpiange Obama

Usa-Russia – Il segretario di Stato americano Rex Tillerson porta al Cremlino un duro messaggio in cui si chiede la collaborazione russa nella crisi siriana
/ 18.04.2017
di Anna Zafesova

Sono bastati 59 Tomahawk a ribaltare gli equilibri tra i giocatori strategici in Medio Oriente, e a rompere definitivamente l’illusione di un «reset» tra Russia e Stati Uniti. Vladimir Putin sostiene che il livello delle relazioni, «soprattutto sotto l’aspetto militare non è migliorato, anzi, è degradato rispetto all’amministrazione Obama». Donald Trump poche ore dopo ha constatato che i rapporti con la Russia sono «al minimo storico» di fiducia, anche se ammette che sarebbe «fantastico» avere un buon rapporto con Mosca. Ma intanto la Russia è tornata un avversario, e il segretario di Stato Usa Rex Tillerson è volato a Mosca con un ultimatum: togliere il sostegno a Bashar Assad e allearsi con l’Occidente, oppure restare in compagnia della Siria, dell’Iran e degli Hezbollah, «una scelta che non corrisponde agli interessi a lungo termine dei russi».

Alle cinque ore di colloquio con il ministro degli Esteri russo Serghey Lavrov sono seguite due ore con Putin, un onore che dimostra che Tillerson si è presentato a Mosca non solo come capo della diplomazia americana, ma come emissario della Casa Bianca. Il risultato è stata la nomina di due rappresentanti speciali che faranno un inventario dei numerosi problemi nelle relazioni tra i due Paesi. Non molto, e il veto russo, poche ore dopo, alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che proponeva un’indagine sull’attacco chimico di Idlib – invocata dallo stesso Putin – dimostra che Mosca per il momento non ha nessuna intenzione di cedere su Damasco.

La situazione in realtà non è cambiata da quella del settembre 2015, quando Putin ha deciso di entrare in azione in Siria a fianco di Assad: da un lato un variegato fronte di occidentali e Paesi dell’area che chiedono l’uscita di scena del rais di Damasco, dall’altro la Russia con l’Iran che lo sostengono. Il raid missilistico ordinato da Trump il 7 aprile contro la base siriana di Al-Shayrat come rappresaglia per l’attacco chimico però ha mostrato un «rientro» degli Usa sul campo, con una determinazione mai vista, che ha fatto sperare a molti nella fine del periodo meno decisionista di Obama. Il presidente turco Tayyip Recep Erdogan – cosponsor, insieme a Russia e Iran, di una tregua in Siria – è immediatamente tornato a chiedere una dipartita di Assad, incrinando le già vaghe prospettive del deal trilaterale, che si proponeva come un’alternativa alla diplomazia americana nella regione. Ma soprattutto è la durezza del messaggio portato da Tillerson a mostrare un cambiamento dello scenario: «Il regime di Assad si sta avviando alla sua fine, e la Russia come suo alleato più stretto potrebbe aiutarlo a comprendere questo fatto», ha detto dopo l’incontro con Putin, sottolineando che la questione di una permanenza del rais al potere è fuori discussione.

In altre parole, a Mosca viene offerto di collaborare, o di venire considerata nemica, dopo che Trump ha già accusato i russi di aver tenuto al potere «l’animale» di Assad. Il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson ha chiesto nuove sanzioni per Mosca, e il suo collega alla Difesa Michael Faellon ha attribuito alla Russia «la responsabilità di ogni morte di civili» nell’attacco chimico. Mosca continua a negare che Assad sia in possesso di armi chimiche, e Putin ha quasi esplicitamente accusato gli americani di aver organizzato il massacro di Idlib come «provocazione». Ma è evidente che venire associati ai crimini di guerra in Siria, anche in assenza di un’esplicita incriminazione di complicità, rende la posizione di Mosca più fragile.

Il Cremlino aveva già tentato in passato di provare a «barattare» Assad in cambio di un maggiore ruolo internazionale, e soprattutto in cambio di un condono dell’Ucraina e dell’annessione alla Crimea. Ma se fino a qualche mese fa poteva essere la carta vincente calata da un player decisivo, con il possibile ritorno nel gioco di Washington, e il passaggio alle maniere forti di Tillerson, diventa il pedaggio da pagare per un salvacondotto. Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha annunciato di avere avuto dagli Usa garanzie che non ci sarebbe stato un «pacchetto» che barattava la soluzione siriana con concessioni sull’Ucraina. E Trump ha rivelato di non considerare più la Nato «obsoleta», un’altra speranza del Cremlino che va in frantumi, insieme all’idea che la nuova amministrazione sarebbe stata più incline all’isolazionismo, lasciando ai russi dei vuoti da riempire sullo scacchiere internazionale.

Una svolta difficile da spiegare anche sul fronte interno, dove fino a qualche giorno fa i talk show presentavano Tillerson come un «amico del Cremlino», Trump come un «filorusso» e la politica russa in Siria come un trionfo. Ora Putin rimpiange Obama, definito dalla propaganda russa fino a due giorni prima come il male assoluto, e l’editoriale di «Gazeta.ru» sottolinea che «la diplomazia ibrida, che dice una cosa, ne pensa un’altra e ne fa una terza, spacciando qualunque atto per una vittoria, ha mostrato i suoi limiti». Anche perché lo scandalo sulle «Russian connections» di Trump ha ridotto drasticamente lo spazio di compromesso che il presidente americano può concedersi nei confronti dei russi. Il capo della Casa Bianca ha usato la politica estera per far dimenticare i problemi interni, un trucco collaudato da anni anche dal Cremlino.

Ma in uno scontro diretto la Russia non ha molte carte da giocare, sia per la differenza del potenziale bellico ed economico rispetto agli Usa («La Russia è un Paese potente, noi un Paese molto, molto potente», per sintetizzarla con Trump), sia per il rischio che l’avventura siriana che dura ormai da un anno e mezzo incominci a pesare sui consensi, nell’anno che precede le elezioni presidenziali. Mosca probabilmente accetterebbe volentieri una exit strategy, che però dovrebbe offrirle la possibilità di non perdere la faccia, e resta da capire se Tillerson ha portato al Cremlino una controfferta che Putin possa prendere in considerazione.