Mosca-Kiev, alta tensione

Diplomazia – Lo scontro nello stretto di Kerch dimostra in realtà la debolezza di Putin che ha bisogno di questo nuovo «incidente» per recuperare consensi interni. E la reazione di Donald Trump mette il presidente russo ancora di più all’angolo dell’isolamento
/ 10.12.2018
di Anna Zafesova

«Il prezzo aumenterà»: il messaggio che arriva da un alto responsabile del dipartimento di Stato segnala una nuova fase della crisi diplomatica in cui è venuta a trovarsi la Russia dopo lo scontro con la marina ucraina nello stretto di Kerch. Al vertice del G20 in Argentina Vladimir Putin ha condiviso con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman – con il quale si sono scambiati un clamoroso saluto con il «batti il cinque», già diventato virale nei social media – la posizione del leader più evitato dai colleghi, dopo che Donald Trump ha cancellato all’ultimo momento l’incontro che doveva tenere con il presidente russo in ritorsione per l’incidente di Kerch. Uno smacco diplomatico cui il Cremlino ha cercato di reagire con indifferenza – il portavoce del presidente ha detto che «avrà due ore libere da impiegare più utilmente» al summit, e le agenzie governative hanno addirittura battuto commenti con titoli come «Trump si nasconde perché ha paura di Putin» – ma che è risultato comunque sensibile, in attesa di nuove misure contro la Russia promesse da Wasghinton e da Bruxelles.

Quello che è già entrato nel linguaggio della diplomazia internazionale come «l’incidente di Kerch» è avvenuto nello stretto tra la Crimea e il territorio russo, un passaggio di pochi chilometri che collega il Mar Nero con il Mare di Azov, un mare interno condiviso da Russia e Ucraina, sulle coste del quale si trovano importanti porti commerciali ucraini come Mariupol e Berdiansk. Dal 2003 un accordo bilaterale regola il passaggio delle navi dei due Paesi, ma dopo l’annessione della Crimea nel 2014 i russi hanno costruito sopra lo stretto un ponte che ha permesso di collegare la penisola sottratta all’Ucraina con la Russia, limitando il transito delle navi ucraine.

La precaria situazione di un territorio che Mosca considera suo nonostante l’annessione sia considerata illegale dalla comunità internazionale, si risolveva di volta in volta concordando gli ingressi e l’uscita dei vascelli ucraini, fino a che, il 25 novembre scorso, la Russia non ha bloccato con massiccio spiegamento di navi, aerei e elicotteri, due vedette e un rimorchiatore della marina militare di Kiev, accusandoli di aver «sconfinato» in acque territoriali russe. Nei video apparsi subito in Rete si vedono i marinai russi aprire il fuoco contro il ponte della vedetta «Berdyansk» e speronare il rimorchiatore. Lo stretto di Kerch è stato bloccato da una chiatta russa, e mentre le navi ucraine cercavano di riparare verso Odessa, sono state inseguite e bloccate dalla marina russa al largo della Crimea, in acque internazionali.

I vascelli sono stati sequestrati, e i 24 marinai ucraini – di cui 6 rimasti feriti nell’incidente – arrestati, portati a Mosca e incriminati per «sconfinamento illegale».

Kiev e Mosca si sono scambiati accuse di provocazione premeditata, e di inadempienze tecniche alla procedura di passaggio dello stretto. Secondo i russi, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha cercato lo scontro per compattare la nazione e reprimere l’opposizione in vista delle elezioni presidenziali di marzo, secondo molti osservatori ucraini e occidentali la Russia ha voluto alzare il livello dello scontro con i vicini per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai disagi economico-sociali, e riprodurre la magia ormai estinta dell’84% del sostegno a Putin dopo l’annessione della Crimea. 

Non è escluso che l’incidente sia stato più banalmente un eccesso di zelo di qualche comandante russo in loco, ma se si è trattato di un piano più complesso, non ha funzionato molto per nessuna delle due parti. Poroshenko, da tempo incalzato da fazioni più radicali, ha visto il suo rating scendere ulteriormente, e quello della sua principale rivale Yulia Timoshenko salire. È stato contestato dal parlamento, al quale si è presentato per chiedere l’introduzione della legge marziale nelle legioni confinanti con la Russia o con sbocco sul mare, riducendo la durata della misura da 60 a 30 giorni per non incidere sulla campagna elettorale.

Per la Russia la mini-battaglia navale nello stretto di Kerch ha avuto un prezzo altrettante alto. Nonostante la macchina propagandistica fosse partita a pieno regime, la reazione dell’opinione pubblica è stata molto pacata, anche perché il filmato dello speronamento di un rimorchiatore ucraino accompagnato dal turpiloquio dei militari russi (e dalla collisione, nel corso delle manovre, anche con un’altra nave russa) non aveva i contorni eroici di uno scontro con l’invasore. Vladimir Putin ha difeso i suoi marinai, sostenendo che «se non avessero agito come hanno agito sarebbero stati da processare in tribunale militare». Il sequestro delle navi e degli equipaggi ucraini però ha impedito di archiviare lo scontro come un incidente di percorso: le autorità russe si rifiutano di considerare i 24 marinai ucraini come prigionieri di guerra e li vogliono processare come criminali comuni, nonostante i governi occidentali ne avessero chiesto l’immediato rilascio.

L’ambasciatore russo ha lasciato la seduta del Consiglio di Sicurezza dell’Onu convocata sull’incidente, dopo non essere riuscito a imporre la linea della «violazione dei confini russi», e la comunità internazionale ha ricordato in più sedi alla Russia di continuare a considerare la Crimea un territorio occupato illegalmente. Poroshenko ha chiamato l’Occidente a «passare all’azione», varando un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca, e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – sensibile alle sorti dei correligionari tartari della Crimea, ai ferri corti con i russi – ha minacciato di chiudere alle navi militari russe l’accesso al Bosforo e quindi al Mediterraneo.

Ma la levata di scudi più imponente è venuta dagli Stati Uniti, con Donald Trump che ha negato a Putin l’appuntamento al G20. I media russi hanno trascorso 24 ore a inseguire ogni gesto dei due presidenti, fino a che Putin non è riuscito a incrociare Trump, «solo in piedi», si è giustificato», per esporgli la sua visione del problema di Kerch: «Ma lui è rimasto sulle sue posizioni», ha aggiunto. La tattica del capo della Casa Bianca sembra essere risultata molto sensibile per il Cremlino, che negli ultimi anni si era abituato, al contrario, ad alzare i toni proprio per ottenere l’attenzione internazionale, interpretata nella retorica della propaganda come un incremento del peso russo sulla scena mondiale. I sondaggi continuano a registrare un calo dei consensi sia a Putin che al suo governo e al suo partito Russia Unita, con quattro elezioni locali perse in tre mesi, mentre il numero dei russi disposti a scendere in piazza per proteste di carattere sia economico che politico negli ultimi sei mesi è triplicato, a causa soprattutto dell’aumento dell’età della pensione e dei tagli alla spesa sociale.

Un incontro al vertice con Trump, anche senza un accordo, nella visione del Cremlino sarebbe vitale, ma Washington pare aver scelto la linea dura. Dopo il G20, gli Usa hanno inviato alla Russia due messaggi in rapida successione. Il primo è stata la promessa di «un prezzo da pagare» fino a che non libererà i 24 marinai ucraini catturati a Kerch. Il secondo è arrivato dal segretario di Stato Mike Pompeo, che ha annunciato il conto alla rovescia per la sospensione, da parte degli Usa, del trattato sul bando dei missili a corto e medio raggio: alla Russia vengono concessi 60 giorni per dimostrare di non violarlo, altrimenti la Casa Bianca si considererà libera dall’impegno sul disarmo preso più di 30 anni fa da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov.