Mosca e Ankara sulla scena libica

Radici di una crisi – Le ragioni dell’interesse per il tormentato territorio nordafricano
/ 13.01.2020
di Alfredo Venturi

L’attivismo di Turchia e Russia sullo scacchiere libico ha radici lontane che affondano nella storia dei due imperi, ottomano e zarista. Costantinopoli fu padrona fin dal Cinquecento delle province di Tripolitania e Cirenaica, alle quali dovette rinunciare il 18 ottobre 1912, quando la firma di un trattato pose fine alla guerra italo-turca che si trascinava da un anno. Era il primo trattato di Losanna, da non confondersi con il secondo, che undici anni più tardi regolerà i rapporti fra le potenze vittoriose dell’Intesa e la nuova Turchia democratica uscita dalla sconfitta nella Prima guerra mondiale e dal disfacimento dell’impero.

I turchi dovettero rassegnarsi anche alla perdita del Dodecanneso, l’arcipelago egeo strategicamente collocato nei pressi dei Dardanelli, il mitico Ellesponto caro alle memorie classiche. L’Italia aveva occupato quelle isole per esercitare un’ulteriore pressione, impegnandosi a restituirle se fosse cessata la resistenza libica all’occupazione militare, di cui Roma addossava proprio ai turchi la responsabilità. Poiché la resistenza continuò (fu soffocata soltanto con la brutale campagna condotta fra il 1930 e il ’31 dal generale Rodolfo Graziani contro i ribelli guidati dall’eroe nazionale Omar al-Mukhtar) il Dodecanneso rimase parte integrante del bottino coloniale.

Un sola concessione fu fatta alla Turchia sconfitta, il riconoscimento di una convenzionale autorità religiosa in Tripolitania e Cirenaica offerto come segno di rispetto per la tradizione islamica di quei territori, con il trasparente obiettivo di disinnescare una potenziale motivazione della resistenza. Le due province libiche, che erano ben distinte per retaggio storico, etnico e culturale, furono unificate proprio durante l’occupazione italiana. Fu allora che nacque la Libia come entità territoriale compatta, che dopo la fine del periodo coloniale si trasformò successivamente nel Regno di Libia, nella Jamahiria del colonnello Gheddafi, fino all’attuale Stato di Libia sprofondato in una caotica guerra civile.

Nella quale è tuttora visibile in controluce l’antico dualismo fra le storiche province turche. Non a caso i due maggiori poteri attualmente in lotta per il predominio territoriale e il controllo dei giacimenti e degli impianti petroliferi, quello riconosciuto dalle Nazioni Unite di Fayez el-Sarraj e quello di Abdullah al-Thani, l’uomo che ordinò al generale Khalifa Haftar di «liberare» la capitale, hanno sede rispettivamente a Tripoli e a Tobruk, cioè appunto in Tripolitania e in Cirenaica.

Sono meno evidenti, ma non meno significative, le radici storiche dell’interesse di Mosca nei confronti di questo tormentato Paese. Nel gennaio del 1946, mentre si discuteva sul destino delle ex-colonie italiane, in una conferenza ministeriale a Londra si fece avanti il rappresentante dell’Unione Sovietica, chiedendo che all’Urss venisse affidata l’amministrazione fiduciaria della Tripolitania e di un’altra ex-colonia, l’Eritrea. L’amministrazione fiduciaria, o trusteeship, era il sistema che nell’Organizzazione delle Nazioni Unite aveva sostituito il mandato della Società delle Nazioni con cui nel precedente dopoguerra erano state gestite dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dal Belgio le colonie strappate alla Germania sconfitta. Il trusteeship prevedeva la gestione diretta del territorio da parte di una potenza amministratrice scelta dalle Nazioni Unite e sotto il loro controllo, con la missione di preparare il paese all’indipendenza entro un termine concordato.

La richiesta sovietica suscitò perplessità e sorpresa. Era difficile immaginare che l’Urss, avversa alle pratiche colonialistiche delle potenze occidentali, potesse essere interessata ad assumere una funzione di questo tipo. In realtà c’era una forte motivazione in proposito, che aveva la sua origine nella storica ossessione russa dell’accesso ai mari caldi attraverso il Bosforo e i Dardanelli, gli stretti sotto controllo turco che collegando il Mar Nero al Mediterraneo sono sempre stati fonte di attriti fra Mosca e Costantinopoli.

Nel confuso Dopoguerra e nel nuovo clima di contrapposizione ideologica, questa auspicata proiezione verso l’occidente mediterraneo era rafforzata dall’opportunità di completare, con le consolidate posizioni nell’Europa orientale conquistata dall’Armata rossa, l’accerchiamento del «nemico di classe». L’Unione Sovietica insistette nella richiesta anche dopo avere rinunciato a ogni pretesa sull’Eritrea. Si parlò addirittura di baratto Trieste-Tripoli: nei segreti meandri della diplomazia, Mosca si dichiarò infatti pronta, pur di ottenere il sospirato posto al sole sulla costa nordafricana, a esercitare pressioni sulla Jugoslavia del maresciallo Tito, che ancora non aveva messo in discussione l’ortodossia filo-sovietica, perché rinunciasse alle sue aspirazioni sulla città adriatica.

Per insediarsi a Tripoli il Cremlino era dunque disposto a cedere all’Occidente non più alleato ma avversario una posizione chiave a ridosso della cortina di ferro. Ma le cose andarono diversamente. Trieste tornò all’Italia dopo un periodo di amministrazione militare alleata. Quanto alla Tripolitania, fu nuovamente unita alla Cirenaica, che Londra aveva rivendicato sulla base del fatto che proprio da lì era stato lanciato l’attacco italo-tedesco alle forze britanniche in Egitto, e ottenne l’immediata indipendenza. Il neonato Regno di Libia fu affidato al sovrano senussita Idris, che sarà detronizzato nel 1969 dall’allora capitano Gheddafi.

Dopo la fine di quest’ultimo e il caos che ne è seguito ora sono Turchia e Russia, l’una e l’altra visibilmente tentate da ambizioni neo-imperiali, gli attori principali sull’accidentato territorio libico. Mosca sostiene Haftar nella sua offensiva verso Tripoli, Ankara si è schierata al fianco di el-Sarraj. Sapremo presto se si tratta di reale confronto o di spartizione concordata, magari lungo la linea tradizionale del dualismo Cirenaica-Tripolitania.