Molta grazia, poca riconoscenza

Questione catalana - Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha concesso l’indulto ai nove leader indipendentisti, sperando di normalizzare le relazioni tra Barcellona e Madrid. Una decisione coraggiosa che apre alla riconciliazione ma che però lascia una parte del secessionismo ancora insoddisfatto
/ 28.06.2021
di Gabriele Lurati

Era il segreto di Pulcinella. In Spagna tutti sapevano che prima o poi questo momento sarebbe arrivato ed alla fine il governo di Pedro Sánchez ha preso la decisione più difficile del suo mandato, quella di dare l’indulto ai nove leader indipendentisti catalani, liberi da mercoledì scorso dopo quasi quattro anni di carcere. Una decisione che Sánchez stava preparando da mesi, sapendo che avrebbe generato enormi polemiche nella società spagnola (prevalentemente contraria a questa misura) e nel mondo politico. Per l’opposizione, formata dalle destre del Partito popolare, Ciudadanos e dai neofranchisti di Vox, si è trattato di un «attacco alla democrazia» e hanno subito chiesto le dimissioni del premier. Per gli indipendentisti, invece, questa misura non è considerata sufficiente in quanto auspicano un’amnistia per tutti (sono migliaia le persone sotto inchiesta per cause giudiziarie legate al procés) e un referendum di autodeterminazione concordato con lo Stato spagnolo.

Quest’ultima è la vera novità politica nelle relazioni tra Barcellona e Madrid. Per la prima volta Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), il primo partito indipendentista per numero di voti alle ultime elezioni regionali di febbraio, non ha parlato chiaramente di secessione. Attraverso una lettera scritta ad inizio giugno dal carcere, il leader di ERC Oriol Junqueras aveva già fatto una certa autocritica, rinunciando alla via unilaterale verso l’indipendenza, preferendo un referendum concertato con lo Stato spagnolo, sul modello di quanto avvenuto in Scozia.

Forte di questa apertura fatta da Junqueras e della «benedizione» verso gli indulti venuta dalla Chiesa (i vescovi catalani) e dal mondo dell’economia (il presidente degli imprenditori spagnoli e i sindacatati si sono espressi favorevolmente), Sánchez ha scelto il momento più adatto per cercare di normalizzare lo scontro politico tra Madrid e Barcellona che dura dal 2006 (anno in cui il Pp presentò un ricorso contro il nuovo Statuto catalano) e che è esploso con gli eventi dell’autunno del 2017. Nel suo discorso il premier ha giustificato questa misura di grazia basandosi sul concetto di «utilità pubblica», affermando che vuole aprire una nuova tappa di dialogo con la Catalogna e ritenendola la miglior soluzione sia per i catalani che per la Spagna per poter vivere in armonia e concordia. Anticipando le possibili critiche degli ambienti nazionalisti spagnoli, il primo ministro Pedro Sánchez ha sottolineato che l’indulto è solo parziale (viene condonata infatti solo la parte rimanente della pena da scontare), è reversibile (qualora le persone indultate dovessero commettere gravi reati) ma, soprattutto, prevede l’interdizione da tutte le cariche pubbliche per un lungo tempo per i nove alti dirigenti (ad esempio lo stesso Oriol Junqueras non potrà ripresentarsi come candidato alla Generalitat prima del 2031).

Pedro Sánchez ha scelto quindi di affrontare la questione catalana con le armi della politica e non più solo attraverso la via giudiziaria, opzione preferita da tutta l’opposizione. Nelle intenzioni del premier socialista solo con l’uscita dal carcere di questi leader, si può avanzare sulla via del dialogo. Il clima dovrebbe diventare in futuro meno incandescente tra il governo e gli indipendentisti, tant’è che già questa settimana si svolgerà un incontro istituzionale alla Moncloa, sede del governo spagnolo, tra il premier e il nuovo presidente della Generalitat Pere Aragonès. Quest’ultimo è un esponente di ERC, il partito della sinistra repubblicana il cui appoggio esterno in Parlamento è di fondamentale importanza per Sánchez per poter governare. Invece l’altro grande partito separatista, i borghesi di Junts per Catalunya (JxCat), non hanno mai dato l’appoggio parlamentare a Sánchez e sono sempre stati molto più critici nei confronti del premier. Il partito dell’ex presidente Puigdemont si è sempre dimostrato massimalista nelle sue richieste e molto meno pragmatico di ERC. Ad esempio, subito dopo l’annuncio del conferimento degli indulti, JxCat non si è accontentato e ha chiesto non solo di applicare l’amnistia per tutti gli implicati nel procés, ma anche di ritirare la richiesta di estradizione per il loro leader Carles Puigdemont. Ma Sánchez ha subito chiarito che la sentenza del Tribunale Supremo spagnolo del 2019 non è in discussione, e la grazia è solo per chi si è preso la responsabilità delle proprie azioni, quindi non per chi è fuggito all’estero come Puigdemont e altri quattro politici catalani. Junts ha sempre puntato molto sull’internazionalizzazione della crisi catalana, basandosi sul fatto che la fattispecie di reato contestata ai leader indipendentisti (la sedizione) non è contemplata in molti degli ordinamenti giuridici europei (ad esempio in Belgio, Regno Unito e in Svizzera dove risiedono gli «esuli») e che le pene comminate dalla magistratura spagnola fossero sproporzionate (parere peraltro condiviso da eminenti giuristi europei). Secondo il partito di Puigdemont, la giustizia europea (nello specifico la Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo presso la quale JxCat ha presentato ricorso) cancellerà la sentenza del Tribunale Supremo spagnolo. Confortante per gli uomini di Puigdemont è il fatto che un’organizzazione internazionale come il Consiglio d’Europa abbia approvato proprio in questi giorni un rapporto in cui si critica duramente la magistratura spagnola per come ha gestito il processo agli indipendentisti.

Tuttavia gli avversari di Sánchez non si trovano solo sul fronte indipendentista ma includono anche tutti i partiti dell’opposizione, i liberali di Ciudadanos, la destra dei popolari fino all’estrema destra di Vox. Questi partiti si sono mobilitati invano contro la concessione della grazia. Nelle settimane precedenti l’indulto, forti dell’opinione popolare maggioritariamente contraria alla grazia, avevano organizzato delle manifestazioni nelle principali città spagnole in cui chiedevano di non liberare i protagonisti della tentata secessione, considerata come «un golpe contro la democrazia e la Costituzione». Il numero dei manifestanti però non è stato così imponente come quello di due anni fa e anche la raccolta di firme contro gli indulti è stata un mezzo fallimento. Tutti i tre partiti dell’opposizione hanno comunque dichiarato che faranno ricorso contro questo indulto ma le possibilità che questa decisione governativa possa essere annullata sono scarse.

Sanchez si trova quindi in mezzo a due fuochi: quelli dell’opposizione e quelli provenienti dai separatisti (Junts in particolare). La sua decisione di concedere la grazia ai leader catalani comporta notevoli rischi politici ma si è basata su una certa Realpolitik. È stata presa infatti nel momento a lui più favorevole, dato che il governo di Madrid si appresta a ricevere gli ingenti finanziamenti del Recovery Fund (che dovrebbero favorire la ripartenza economica del Paese). Inoltre mancano più di due anni alla fine della legislatura, un tempo sufficiente per riguadagnarsi le simpatie degli spagnoli, visto che gli attuali sondaggi lo danno in calo. Il destino di Sánchez e della Catalogna sono sempre più interconnessi ed entrambe la parti possono trarne un beneficio politico ed economico nel medio termine. Esquerra Republicana e il mondo imprenditoriale catalano (e spagnolo) l’hanno capito, Junts per Catalunya sembra di no.