Milan l’è semper un gran Milan

Singolarità italiane – Nella città meneghina da venticinque anni è al comando la stessa classe dirigente: ha attraversato la sua caduta legata alle inchieste giudiziarie e in seguito la rinascita grazie all’Expo
/ 25.12.2017
di Alfio Caruso

Non è arrivata l’Agenzia europea del farmaco, con la sua ricca dote annuale di 1700 milioni, tuttavia dagli Stati Uniti è giunto per Milano l’ennesimo riconoscimento. Cush-man&Wakefield, la più importante società privata del mercato immobiliare (gestisce oltre 400 milioni di metri quadrati, effettua transazioni per 191 miliardi di dollari, un 7 per cento appartiene alla famiglia Agnelli), ha appena stabilito che via Montenapoleone ha superato gli Champs Elysées nel volume di affari e nelle quotazioni al metro quadro. Adesso è alle spalle di New Bond Street a Londra, di Causeway a Hong Kong, di Fifth Avenue a New York. 5,6 miliardi di euro in beni di lusso spesi nell’ultimo anno, in gran parte dentro il piccolo, elegantissimo, agognato quadrilatero di viuzze, che hanno in Montenapoleone il sogno di ogni brand. Settecento metri di consolidata tradizione e d’impronta neoclassica: all’ultimo evento, la «Vendemmia» di ottobre, straripavano di gaudenti estimatori, forse su di giri per i troppi cin cin, ma ormai pronti ad accorrere a qualsiasi richiamo. Si va per vedere ed esser visti, per assaporare il gusto di un elitarismo contraddetto proprio dall’eccesso di partecipazione, ma solleticato dai maghi delle pubbliche relazioni.

Le boutique trasformate in showroom, in salotti per aperitivi serali, in location di presentazioni, mostre, première: così si spiega l’incremento del 12,5 per cento a metro quadro degli affitti. Quasi un paradosso dinanzi alla crescita esponenziale degli acquisti sul web degli articoli legati a moda e lusso. Con l’eccezione di Chanel, l’unica grande firma che si ostina a non vendere online. Un fenomeno capace poi di allargarsi al resto del centro ormai spostatosi dal Duomo-Scala verso i bastioni di Porta Nuova. Impressionano le code dinanzi alla Rinascente, aumento degli ingressi e delle vendite (più 4 e 6 per cento), dinanzi al megastore di Feltrinelli, le lunghe file anche da Eataly, il tempio dell’alimentazione a caro prezzo, sempre puntuale nel suscitare la curiosità dei suoi estimatori. Anche se l’ultimo pienone era figlio di un annuncio notturno, via internet, di sconti e scontissimi.

In una decina d’anni, grazie all’Expo, Milano è stata assai brava nel reinventarsi, nell’attrarre le migliori intelligenze d’Italia, nel consegnare al mondo un’immagine scintillante fatta di sciccheria, di cibo (corso Garibaldi esibisce 50 locali in cinquecento metri), di raffinatezza, di opportunità lavorative. Persino le sue dimensioni mignon, le vie della movida sono contenute in dieci chilometri quadrati, hanno favorito la rivoluzione da città degli affari, che chiudeva alle 7 di sera, a città degli appuntamenti e dei convegni aperta ventiquattr’ore su ventiquattro. Sono cambiati scenari, metodologie, mentalità, non sono cambiati i padroni del vapore. C’erano ai tempi della famosa indagine giudiziaria «Mani Pulite», che nel 1992 stravolse la politica e gli affari dell’intera Penisola (l’immagine simbolo è la tribuna d’onore dello stadio San Siro svuotata da una domenica all’altra). Ci sono ancora oggi che vengono progettati il nuovo Polo sanitario, la nuova cittadella universitaria, le due nuove linee del metro per collegare finalmente anche l’aeroporto di Linate. Inamovibili e inattaccabili, anzi spesso invocati quali cavalieri bianchi o risolutori di missioni impossibili.

Banche, finanza e «Corriere della Sera» continuano a dipendere dalle scelte di un avvocato bresciano e di un avvocato comasco, benché Nanni Bazoli (85 anni) e Giuseppe Guzzetti (83 anni) la professione l’abbiano esercitata per hobby, molto più attratti dalla gestione della cosa pubblica, che in mano loro ha spesso assunto caratteristiche personali. Entrambi cattolici, entrambi democristiani con venature progressiste rappresentano l’intangibilità di un potere inossidabile, resistente a ogni inchiesta giudiziaria, trasferitosi dalla prima alla seconda repubblica e pronto a entrare in un eventuale terza repubblica.

Bazoli, con una figlia fidanzata del sindaco di Milano, Sala, ufficialmente lontano da ogni incarico di comando rimane il lord protettore d’Intesa Sanpaolo, la banca di sistema per eccellenza, nonché il supervisore e mentore di Ubi Banca, quarto polo nazionale del settore. Guzzetti, ex presidente della Regione, è l’eterno numero uno della Fondazione Cariplo, l’ente più importante del Paese e del mercato nazionale nonché nume tutelare dell’Acri, l’associazione di categoria. Nulla si muove che loro non sappiano e su cui, anzi, non abbiano inciso: dalla legge di riforma del sistema delle banche popolari al via libera al fondo Atlante servito per salvare banche in dissesto come la Popolare Vicenza e Veneto Banca.

E per Bazoli conta anche l’appoggio determinante fornito a Urbano Cairo, ex assistente personale di Berlusconi, nella battaglia per impadronirsi della Rcs, che significa in buona sostanza «Corriere della Sera», ancor oggi il principale giornale della Penisola. Cairo ha sconfitto la cordata sostenuta dal proprietario della Tods, Della Valle, da sempre avversario di Bazoli, ma costretto a ripiegare sulle scarpe di casa. Un’operazione condotta con pochissimo esborso di denaro, attraverso la quale il presidente del Torino calcio è asceso a più importante tycoon dell’informazione (i settimanali della Cairo editore, La7, Rcs).

In posizione molto più defilata, ma con ottimi agganci nelle stanze dove ci s’intende muovendo le ciglia, l’ottantenne Francesco Micheli. Amante del pianoforte, del mare, delle barche a vela, impegnatissimo a far tornare i difficili conti economici della Scala, Micheli viene ancora considerato uno dei più efficaci manovratori della Borsa: trent’anni addietro un paio di sue operazioni ne sconvolsero gli assetti e gli equilibri. Appena più giovane il notaio Piergaetano Marchetti, gran maestro delle relazioni altolocate, custode da quasi mezzo secolo di segreti e d’intese sotterranee. È l’ascoltato consigliere delle grandi famiglie, la sua unica passione la prefazione dei libretti stampati dalla Fondazione Corriere della Sera, che presiede dopo aver presieduto la Rcs.

È rientrato a Milano Paolo Scaroni, vicentino, classe 1946, già a capo dei colossi di stato Enel ed Eni: l’hanno nominato vicepresidente della banca d’affari Rothschild e poi uomo di fiducia del fondo Elliott nel consiglio d’amministrazione del Milan cinese. Da qualche mese si è insediato sotto la Madonnina un altro veterano di rilevante spessore, il settantacinquenne Fabrizio Saccomanni, ex ministro ed ex direttore generale della Banca d’Italia. È stato nominato presidente di Unicredit per esplicito volere del nuovo amministratore delegato, il francese Jean Pierre Mustier. Proprio a lui molti hanno guardato come possibile successore dei prossimi pensionati Bazoli e Guzzetti, invece l’interessato ha fatto sapere di pensare esclusivamente ai conti dell’istituto e a un futuro in chiave europea, magari a Parigi o a Francoforte. Identica la posizione del suo omologo di Intesa, ovvero Carlo Messina.

Superate le difficoltà e le riserve, legate al fallito tentativo di scalare le Generali, il cinquantacinquenne romano ha occhi e cuori soltanto per i bilanci e per i dividendi da distribuire agli azionisti. Per due che sembrano disinteressati, uno che a quel ruolo ambirebbe è il cinquantaduenne Alberto Nagel. Entrato in Mediobanca quando ancora imperava Enrico Cuccia, il «padrone» del sistema bancario per quasi sessant’anni, Nagel ne è dal 2004 l’amministratore delegato. Rispetto al passato si è dovuto accontentare di un ruolo più modesto: ha perso la presa sul «Corriere» e sulle Generali, il coinvolgimento nelle vicissitudini del costruttore Ligresti e dei figli ne ha scalfito le ambizioni di ascesa. E lui per dimostrare di avere altro in testa ha comprato di recente casa a Londra.

Non traballa il trono del piacentino Giorgio Armani (83 anni) icona internazionale della moda, sempre più attento al rapporto con la città tra beneficienza occulta e sponsorizzazione della famosissima squadra di basket, che però dieci anni addietro sarebbe fallita senza il suo intervento. Armani rappresenta il volto e il prestigio della moda, che del fenomeno Milano incarna l’immagine più scintillante e più remunerativa. Accanto a lui la coppia di ferro Miuccia Prada, sessantanovenne terza donna più ricca d’Italia, e Patrizio Bertelli, settantunenne, nono uomo più ricco d’Italia. L’estro creativo dell’una e l’intuito affaristico dell’altro sono stati sin qui sinonimo di crescita ininterrotta. Ora vogliono riprovarci con la coppa America di vela e rimettere in cantiere l’ultima versione di Luna Rossa. Non nutrono aspirazioni legate allo sport Domenico Dolce e Stefano Gabbana: sono tuttora considerati gli enfant terribili delle passerelle, però veleggiano verso i sessanta. Per fortuna rimangono giovani le loro invenzioni ricche di colori.

In disparte, ma incombente il «rieccolo» per eccellenza, Silvio Berlusconi alla terza resurrezione politica e alla decima imprenditoriale. Liquido come mai: ha messo assieme un miliardo fra il risarcimento di De Benedetti e i proventi della vendita del Milan e per di più senza dover versare un milione e mezzo al mese all’ex moglie Veronica Lario. Alle soglie degli ottantadue anni si è lanciato in una campagna elettorale piena delle stesse promesse formulate nel 1994. E gli credono.