Non è passato che un anno e mezzo dalla firma solenne del Trattato del Quirinale nel palazzo omonimo, pegno di amicizia e collaborazione speciale fra Italia e Francia. Tempo sufficiente a confermare che fra cugini transalpini lo spirito di rivalsa prevale su ogni volenteroso tentativo di conciliazione. Ultimo caso, il nuovo scontro sui migranti, in cui il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin e il capo del partito macronista Renaissance, Stéphane Séjourné, si sono segnalati tra gli altri per acide proteste contro la carenza di controlli italiani alla frontiera tra Ventimiglia e Mentone. Roma, accusata di favorire l’emigrazione clandestina verso l’Esagono, risponde piccata per bocca della sua premier Giorgia Meloni. La questione migratoria è solo uno dei terreni di scontro fra Italia e Francia. Ma per il suo carattere strutturale, e per le conseguenze in campo umanitario e nella sfera simbolica, merita speciale attenzione. Sono infatti anni che i due Governi si accusano di scorrettezze. Fra tregue e riprese di fiamma del conflitto fortunatamente verbale, ma giocato sulla pelle dei migranti, non si riesce a intravederne la fine. Anzi, avvicinandosi la stagione estiva, possiamo star certi che le polemiche si moltiplicheranno.
Il fenomeno migratorio non è mai percepito in modo simmetrico. Nel caso franco-italiano meno che mai. Si tratta certo di questione sentita dall’opinione pubblica e sulla quale i politici dei due Paesi credono di dover insistere per guadagnare o non perdere voti. Supponendo che sui due lati della frontiera prevalga la paura dello straniero, Roma e Parigi hanno progressivamente stretto i bulloni dei controlli. Ma mentre per l’Italia il tema è importante, in Francia è percepito come vitale. Tanto che il Governo sta per varare una legislazione ancora più restrittiva. L’asimmetria non potrebbe essere più pronunciata. Dal punto di vista francese, in questione sono identità e coesione sociale della Nazione. Forte della sua tradizione assimilazionista, per cui il citoyen, indipendentemente dalle sue origini, aderisce al canone culturale e geopolitico della Grande Nation, le élite francesi considerano che la barca sia piena. Al punto di rischiare il naufragio.
Quando Macron denuncia il «separatismo» non si riferisce, come alcuni suoi antichi predecessori, alla questione alsaziano-lorenese, ma alla separazione di quartieri e territori metropolitani dal corpo della Nazione. Riferimento alle periferie, ma ormai anche ai centri di alcune città in cui diversi gruppi etnici, soprattutto di origine maghrebina e di cultura islamica, si sono stabiliti come fosse casa propria. E dove la polizia sembra aver rinunciato a entrare. Perdita intollerabile di sovranità. E alimentazione del jihadismo, gestito da potenze islamiche avverse – fra cui la formalmente alleata Turchia – che attraverso i loro predicatori stanno sovvertendo i paradigmi dell’identità francese. Si può star certi che questo sarà il centro dello scontro nelle future elezioni presidenziali, in cui la destra di Marine Le Pen sarebbe favorita proprio per l’incapacità macroniana di gestire questo dossier.
L’Italia non ha (ancora?) il problema delle banlieues. Non ha un fardello coloniale pesante come quello transalpino. Vive una fase di declino demografico senza precedenti nella storia moderna, con forte parallelo invecchiamento della popolazione. Ha bisogno di manodopera a buon mercato. Gli industriali del Nord sono a caccia di lavoratori abili e non sindacalizzabili. I flussi migratori da sud, illegali perché la legislazione corrente esclude di fatto l’immigrazione legale, sono economicamente benvenuti quanto socialmente divisivi. Roma si barcamena, con un occhio speciale agli effetti dell’«invasione» sull’elettorato. Lo scontro fra Italia e Francia si materializza da anni lungo la frontiera alpina e sul fronte marittimo, fra Ventimiglia e Mentone. Gli italiani tendono a chiudere gli occhi di fronte ai giovani migranti in caccia di Francia, i poliziotti francesi si impegnano a respingerli con le buone o con le cattive. Talvolta penetrando in territorio italiano, anche di parecchi chilometri.
Particolarmente drammatico il caso dei minori non accompagnati. Ragazzini talvolta impuberi, provenienti dall’Africa ex francese – come per esempio la Costa d’Avorio – sbarcati in Sicilia via Tunisia e poi tentati dall’avventura nordica, magari alla ricerca di parenti francesizzati da generazioni. In questi casi i migranti non possono teoricamente essere respinti, giacché minorenni. Accade spesso che la polizia francese li blocchi però alla frontiere rimandandoli indietro. Spingendosi fino a falsificare i loro documenti, trasformando i minorenni in maggiorenni, dunque sottoposti agli accordi di Dublino, per cui i migranti devono restare nel Paese da cui entrano nel territorio dell’Unione Europea fino a quando la loro richiesta di asilo non sia accolta o respinta. La disputa migratoria rischia di avvelenare i rapporti fra Italia e Francia proprio mentre si avvicina la battaglia finale sulla revisione del patto di stabilità e crescita, su cui i due Paesi si trovano sul medesimo fronte, in contrasto con la Germania diversamente austera. Un armistizio sarebbe necessario. Ma improbabile.
Migranti, il pomo della discordia
Italia e Francia di nuovo ai ferri corti mentre si avvicina la battaglia finale sulla revisione del patto di stabilità e crescita
/ 15.05.2023
di Lucio Caracciolo
di Lucio Caracciolo