Maduro teme il golpe

Venezuela – Il presidente Maduro offre favori e promozioni alla forze armate fra le quali serpeggiano malcontento e aria di ribellione. Anche per edulcorare la sparizione del militare più amato, il generale ribelle Baduel
/ 21.08.2017
di Angela Nocioni

L’infornata di 139 generali e ammiragli nuovi di zecca, promossi in gran fretta per tener buone le forze armate, non basta a scacciare dalla mente del presidente venezuelano Nicolás Maduro la paura di un golpe. C’è scontento nell’aviazione, cresce il malanimo nella marina.

Per ora sta buono l’esercito, che a Caracas è quel che conta davvero per scongiurare un colpo di Stato. Ma anche lì comincia a serpeggiare malcontento. S’è visto da come tra i militari di basso rango è corsa la notizia, diffusa il 14 agosto, del trasferimento in luogo segreto del generale (detenuto) Raul Isaias Baduel, il dissidente più chavista di tutti, l’ex grande amico del defunto presidente Hugo Chávez, l’uomo che gli salvò la vita durante il golpe del 2002, colui che lo riportò sano e salvo tra due ali di folla festante al palazzo del Planalto cacciandone i golpisti.

È sparito dal carcere di Ramo Verde il generalissimo Baduel, la carta più preziosa delle forze armate contrarie al regime instaurato da Nicolas Maduro. Spopola l’hashtag #dondeestaelgeneralbaduel.

È stato trasferito altrove, si suppone, ma né il governo né le autorità carcerarie fanno sapere alla famiglia dove sia stato portato il militare più amato dall’esercito venezuelano, quello che fu l’alter ego di Hugo Chávez finché, dieci anni fa, non si oppose all’idea di trasformare la Costituzione chavista in una Costituzione socialista, chiamò il popolo a votare «No» al referendum, il popolo gli diede retta, il progetto socialista fu bloccato e lui diventò il più temuto dissidente, tanto pericoloso per Chávez in quanto militare di carriera dal pedigree rivoluzionario immacolato.

Alla vigilia del referendum del dicembre 2007 per trasformare in senso socialista la Carta chavista, Baduel disse che quella riforma equivaleva «a un golpe». E la riforma non passò. Chávez non glielo perdonò mai.

«Le forze armate sono al servizio della nazione. Non possono essere al servizio di parti politiche, di qualsiasi parte si tratti» disse allora il generale Baduel. «È questo il mandato previsto dalla Costituzione bolivariana. Disciplina, obbedienza e subordinazione sono vincolate alla difesa della nazione, non a quella di un progetto politico, né di una persona. Quando ho fatto sapere di non aver mai ricevuto un ordine relativo all’introduzione del saluto “patria socialismo o muerte”, Chávez ha detto di non aver mai dato ordine che questa espressione venisse introdotta nelle forze armate. Poi però ho ascoltato generali usare quest’espressione. Nessuno può dire che Raul Isaias Baduel abbia mai salutato qualcuno così. Ci sono decisioni che vengono prese, cambiamenti importanti che aleggiano, senza essere formulati con chiarezza. Per esempio il progetto di una sorta di federazione cubanovenezuelana di cui ogni tanto si parla. Il vicepresidente cubano, Carlos Lage, è sembrato farvi accenno. Ma l’espressione “un unico Stato con due presidenti” non ha nessun senso. L’autoderminazione popolare e la sovranità sono princìpi inviolabili» furono le sue prime parole da dissidente.

Da allora la sua vita diventò un inferno. Ostracismo, sospetti velenosi, finché fu accusato senza prove di aver rubato soldi statali, arrestato, poi messo ai domiciliari.

Nel gennaio scorso Maduro diede l’ordine di rispedirlo in cella. Troppo pericoloso un Baduel ai domiciliari mentre tra i militari si teme la diffusione di un sentimento di ribellione verso quella che molti chavisti graduati ritengono sia una rivoluzione tradita.

Il regime si difende come sa, come ha sempre fatto, distribuendo soldi e privilegi ai più alti in grado.

Mette militari a gestire il greggio venezuelano, militari al comando della produzione di energia elettrica, militari a trafficare con le miniere d’oro. Il modello è quello cubano: ovunque circoli dollaro cash, il portafogli dev’essere delle forze armate. Piazzare ammiragli e ufficiali vari, a capo dell’enorme mercato delle risorse naturali.

La lezione appresa da Chávez, Maduro la applica alla lettera, con la solerzia dell’apprendista che, avendo avuto origine politica nel sindacato della metropolitana di Caracas, deve farsi in quattro per accreditarsi presso l’Olimpo militare. Ambasciatori, amministratori di imprese pubbliche, onnipotenti direttori delle commissioni che vigilano sui prestiti statali di valuta straniera, tutte nomine rigorosamente riservate da Maduro alle forze armate. Sono militari i responsabili dei servizi di intelligence, ma anche i principali diplomatici in carica all’estero e la maggior parte dei governatori.

È in nome di Simon Bolìvar, l’eroe dell’indipendenza, che il regime promuove il «patto civico-militare», formula pomposa con cui è stato confezionato il piano di inserimento capillare dei militari nell’amministrazione dello Stato. L’articolo 328 della Costituzione, approvata in referendum nel 1999, quella che ora Maduro si appresta a modificare per afferrarsi al potere, definisce i compiti delle forze armate: difesa del territorio, mantenimento dell’ordine pubblico, partecipazione allo sviluppo del Paese.

Nell’estensiva interpretazione che il governo chavista ha sempre dato alla norma, questo significa che l’esercito può essere usato per piazzare nei posti chiave del Paese ufficiali amici a cui affidare i piani considerati delicati. Il regime non si fida dei tecnici, molto spesso legati all’opposizione, anche per questo ricorre ai militari che spera gli siano fedeli.

In Petroleo de Venezuela (Pdvsa), l’impresa pubblica del petrolio, i militari sono entrati in massa dopo la lunga paralisi della produzione che mise in ginocchio il Paese tra il dicembre 2002 e il gennaio 2003.

Regnano nelle società statali di importazione, dove fluiscono milioni di soldi pubblici. Sono a capo delle società di importazione. E sono loro a dirigere di fatto Cemex, la impresa con sede formale a Panama che si occupa della triangolazione commerciale con l’Avana.

Ma non è detto che tutto ciò basti a tenerli buoni. Le forze armate venezuelane sono un esercito di estrazione popolare, di formazione fortemente nazionalistica, ma non antidemocratica. Non è facile che si prestino a sparare sul popolo in piazza, per esempio. Maduro lo sa e infatti a reprimere le manifestazioni di protesta finora ha mandato la polizia, non l’esercito.