Maduro semina terrore a sinistra

Venezuela – Secondo il NYT il presidente si prepara a vincere le elezioni di dicembre perseguitando chi osa criticarlo
/ 30.11.2020
di Angela Nocioni

Meticolosa persecuzione degli ex sostenitori di estrema sinistra diventati pericolosamente critici e repulisti nelle forze di polizia di quegli agenti che non denunciano i colleghi sospettati di poco entusiasmo nella militanza a sostegno del regime.

Queste sono le due principali armi con cui il governo militarizzato del Venezuela si prepara alle elezioni parlamentari del 6 dicembre, elezioni alle quali l’opposizione, sempre litigiosissima al suo interno, non ha ancora deciso se parteciperà o se preferirà boicottarle.

Marciando a passo serrato verso un totalitarismo a partito unico e resistendo comodamente alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti grazie a un collaudato sistema di corruzione che ne annulla l’efficacia, il presidente venezuelano Nicolas Maduro è al momento preoccupato di contenere le proteste sociali che, dopo aver scosso le grandi città venezuelane, dal mese di settembre scoppiano qua e là in provincia, anche in territori tradizionalmente considerati roccaforte del regime e che ora, estenuati dalla assenza di cibo e di benzina (in un Paese che galleggia sulle riserve di gas e petrolio più abbondanti del pianeta) aggravata dalla emergenza sanitaria da epidemia di Covid-19, si ribellano per disperazione.

I funzionari dello Stato che denunciano i corrotti sono accusati di sabotaggio e finiscono in galera. Gli ex militanti chavisti che decidono di candidarsi come indipendenti sono perseguitati dalla polizia e accusati di delitti comuni.

I partitini e i movimenti di estrema sinistra che hanno costituito negli ultimi vent’anni la rete necessaria a fare del chavismo un fenomeno con un sostegno popolare – prima spontaneo e poi comunque mantenuto dalla capillarità della presenza di numerosissimi attivisti sul territorio – quando manifestano perplessità sullo stato penoso del Paese vengono decapitati con l’accusa di essere finanziati dall’estero o di coprire fenomeni di delinquenza comune. È successo al partitino dei Tupamaros, è successo ai capi del vecchio Partito comunista venezuelano e succede costantemente agli ex movimenti di base del chavismo: da quelli che organizzano le occupazioni di case in città a quelli che organizzano l’occupazione di terre incolte in campagna.

In agosto i giudici del Tribunale supremo, totalmente in mano al regime, hanno imposto alla direzione dei Tupamaros e di altri tre piccoli partiti dissidenti delle persone fedelissime al governo. Il capo dei Tupamaros, Josè Pinto, è stato incarcerato con accuse non dimostrate di omicidio.

In questa nuova fase della repressione, gli agenti vestiti di nero delle forze speciali della polizia non si occupano solo di silenziare i funzionari o i militari vagamente critici, ma anche quelli che non fanno la spia e non denunciano i colleghi. Il 16 ottobre scorso il temibile Icap, l’ufficio di ispezione del controllo sul comportamento della polizia, ha convocato al Centro di operazioni poliziesche, con sede a Caracas, 30 funzionari appartenenti alle alte gerarchie della polizia bolivariana, il corpo più fedele tra le tante polizie di un Paese interamente militarizzato. Tutti oggetto di una investigazione interna. Tutti partecipanti a una chat di WhatsApp chiamata «corso 63». Si tratta di una chat che raggruppa alcuni diplomati nell’anno 2000 della scuola di formazione di agenti polizia.

Da questa chat il regime sospetta siano state filtrate all’esterno informazioni su funzionari corrotti. L’indagine è stata svolta dall’ufficio creato due anni fa dalla polizia nazionale al suo interno per fare un monitoraggio costante delle reti sociali con l’obiettivo di vigilare non solo i giornalisti, ma le loro fonti di informazioni.Secondo un una denuncia dei corrispondenti locali del «New York Times», oltre 200 persone sono state arrestate per aver partecipato alle proteste di settembre, un manifestante è stato ucciso durante un corteo e centinaia sono i casi di sparizione nel nulla di persone prelevate dalle proprie abitazioni da funzionari delle forze speciali, alcune delle quali mai più rientrate a casa.

Questa è la sorte toccata a un popolarissimo presentatore radiofonico, Josè Carmelo Bislick, socialista da sempre, uno di quelli che ha garantito un appoggio incondizionato a regime anche mentre affamava le classi popolari, e che ha cominciato a criticare il chavismo quando l’assenza di benzina nei distributori ha del tutto paralizzato il suo piccolo paesino di pescatori sulla costa. A quel punto sono iniziate nella sua trasmissione radiofonica denunce puntuali di corruzione di funzionari locali. Persone incappucciate l’hanno prelevato una sera a casa sua. I familiari hanno invano cercato l’aiuto dei funzionari locali socialisti per rintracciarlo quella notte. Il suo cadavere è stato trovato prima dell’alba vestito con la sua T-shirt preferita con la faccia di Che Guevara.