Macron, la vie non è più en rose

Francia – A un anno dall’elezione precipita la fiducia e l’indice di gradimento dei francesi e dei media per il presidente
/ 16.07.2018
di Lucio Caracciolo

È passato poco più di un anno dal suo avvento all’Eliseo, ma già Emmanuel Macron sembra aver imboccato una parabola discendente. Solo un francese su tre gli conferma fiducia. I media che fino a qualche mese fa lo coccolavano, proteggevano, spesso idealizzavano, prendono le loro distanze critiche. Le opposizioni, per quanto fragili e incapaci di costruire anche solo la prospettiva di un’alternativa che impedisca a Macron di essere rieletto fra meno di quattro anni, lo mettono sotto tiro di sbarramento. Per diverse ragioni ma soprattutto per la sua alterigia neobonapartista che lo spinse, tempo fa, a paragonarsi a Giove. Nel suo stesso partito/movimento – La France en Marche – si alzano frequenti voci dubbiose o apertamente critiche, specie per quanto riguarda le politiche sociali ed economiche del presidente, considerate troppo liberiste e antisociali da molti suoi sostenitori.

Anche per questo lo scorso lunedì 9 luglio il presidente della Repubblica Francese ha voluto inscenare uno di quei colpi di teatro che tanto lo attraggono: ha convocato a Versailles il Congresso – ovvero le due Camere riunite in seduta comune – al quale ha inflitto un discorso di un’ora e mezza. Senza possibilità di replica, anche se ha promesso che dall’anno prossimo (la convocazione del Congresso è prevista a cadenza annuale, a imitazione del discorso sullo Stato dell’Unione tenuto dal presidente degli Stati Uniti d’America) sarà possibile per i parlamentari interloquire, argomentare, dibattere. Tanto per dare un senso a un’istituzione, quella parlamentare, che già costituzionalmente vale poco e che Macron ha ulteriormente ridotto nel suo status, facendone mera cassa di risonanza dell’Eliseo. E colpendo, insieme, il rango del primo ministro, di norma il primo interlocutore del Parlamento.

Macron ama decidere da solo, al massimo avendo ascoltato qualche raro consigliere ammesso a corte. Di qui le accuse di «deriva monarchica» che mettono alla berlina il suo autocompiaciuto stile regale. E di qui lo sforzo, non spontaneo, di modestia, compiuto il 9 luglio, affermando: «C’è una cosa che ogni presidente della Repubblica sa: sa di non poter tutto, sa che non riuscirà in tutto, e io ve lo confermo, so che non posso tutto, so che non mi riesce tutto». Salvo insistere: «Ogni presidente della Repubblica conosce il dubbio e io non faccio eccezione alla regola». E quanto alle accuse di neoliberismo spinto, Macron assicura di «non essere il presidente dei ricchi», di «non amare le caste, né le rendite, né i privilegiati». Le facilitazioni fiscali alle imprese avrebbero un fondo sociale, sarebbero insomma orientate ad attrarre gli investimenti stranieri e a ridurre la disoccupazione. Fatto è che la Francia cresce poco e la disoccupazione non diminuisce.

Macron si era presentato alla Francia, all’Europa e al mondo al suono dell’Inno alla Gioia, risuonato nello spiazzo maestoso del Louvre al momento della sua intronizzazione. Per precisare di essere un «sovranista europeista». Ossimoro magico, che ciascuno ha interpretato a suo modo. In particolare gli europeisti, o presunti tali, ne hanno tratto la convinzione che Macron avrebbe rilanciato il cosiddetto processo di integrazione. Nulla di tutto ciò. Il processo di disintegrazione continua, anzi si accelera, con sempre più paesi convinti che la difesa dei propri immediati interessi nazionali prevalga sulla ricerca del compromesso con gli altrui, come prevedrebbe la regola d’oro dell’Unione Europea.

Soprattutto, Macron non può contare, come aveva sperato, sulla sponda tedesca. La crisi di autorità di Angela Merkel, le divergenze interne alla sua maggioranza e al suo partito specie quanto alle politiche migratorie, l’incapacità del cosiddetto «motore franco-tedesco» di allestire un pur vago piano a medio termine di riforma delle istituzioni e delle regole comunitarie, specie dentro l’Eurozona – tutto contribuisce ad addensare cupe nuvole all’orizzonte del Vecchio Continente.

Macron è certamente persona intelligente, energica e astuta, ma ha forse letto troppa letteratura francese. A tratti sembra incarnarne gli eroi, come Julien Sorel. Spesso conferma un detto stendahliano: «La parola è stata data all’uomo per celare il suo pensiero» (Il Rosso e il Nero). Altre volte filosofeggia, ricordando i suoi antichi studi al riguardo. Meno spesso rievoca i recenti tempi da banchiere. Insomma, Macron è un personaggio interessante, che forse un giorno darà luogo a una serie televisiva: «Il giovane presidente», sul modello del «giovane papa» di Paolo Sorrentino. Ma di essere un buon presidente della Repubblica, questo lo deve ancora dimostrare.

Certo, dopo le maniere istrioniche di Nicolas Sarkozy o il commovente anonimato di François Hollande, che pure di Macron è stato il mentore, salvo esserne tradito e dimenticato, il presidente in carica ha almeno la capacità di attrarre l’attenzione, talvolta l’ammirazione, di chi crede nel ruolo della personalità nella storia. Ma il presidente non è un attore di cinema o di teatro. Deve dimostrare efficacia e costanza. Deve produrre risultati, soprattutto sul fronte economico e sociale. Macron ha ancora tre anni di tempo per farlo, prima di lanciarsi nella nuova campagna elettorale. Sempre che dal grigio panorama politico francese emerga uno sfidante degno di questo nome.