I libri di storia l’hanno tramandato come il giorno delle 95 tesi contro la dottrina delle indulgenze, affisse pubblicamente dal monaco agostiniano Lutero sulla porta della chiesa di Wittenberg. Era il 31 ottobre 1517 e a quella data e a quel gesto si fa risalire l’inizio della Riforma protestante. In realtà ci sono storici che fanno notare come l’unica fonte che racconta così l’evento sia uno scritto di Melantone, risalente a trent’anni dopo; e per questo ritengono più verosimile che quel giorno il monaco Lutero le sue tesi le abbia inviate per iscritto al proprio vescovo. Che abbiano ragione gli uni o gli altri, in fondo, poco conta: il dato di fatto è che l’evento più importante della storia moderna del cristianesimo in Occidente compirà nel 2017 cinquecento anni. E proprio in queste ore si sta aprendo un anno di celebrazioni che, un po’ a sorpresa, sarà segnato da una forte impronta ecumenica.
Per lunedì 31 ottobre, infatti, la Federazione Luterana Mondiale ha promosso insieme alla Chiesa cattolica una commemorazione comune della Riforma, con una giornata che vedrà papa Francesco fare tappa in Svezia per partecipare a un evento promosso dal mondo protestante. «Dal conflitto alla comunione: insieme nella speranza» è il tema scelto per la giornata che vivrà di due momenti: una preghiera comune nella storica cattedrale di Lund e poi un incontro con migliaia di fedeli nello stadio di Malmoe. A presiedere entrambi gli appuntamenti – insieme al papa – ci saranno il presidente della Federazione Luterana Mondiale, il vescovo arabo Munib Younan, e il segretario generale del medesimo organismo, il reverendo Martin Junge.
Perché proprio a Lund? Principalmente perché è in questa città della Svezia che nel 1947 è stata fondata la Federazione Luterana Mondiale, organismo che oggi raggruppa oltre 140 denominazioni, per un totale di circa 66 milioni di fedeli presenti in ben 78 Paesi. Dal momento che le celebrazioni del quinto centenario della Riforma vogliono essere un momento di unità per il mondo luterano, era logico – dunque – che iniziassero proprio da qui. Ma c’è anche un’altra ragione interessante: con la sua storia millenaria, la cattedrale di Lund è un luogo significativo anche per i cattolici; per ben quattro secoli, infatti, i vescovi che su questa cattedra hanno predicato e celebrato le loro liturgie erano in comunione con Roma. Quindi è un luogo che in qualche modo ricorda la radice comune.
Finiti i tempi delle contrapposizioni violente tra cattolici e riformati, in un contesto in cui tutte le chiese storiche in Europa si trovano a fare i conti con la sfida posta dalla secolarizzazione, può non sorprendere più di tanto la presenza di papa Francesco a un evento come quello di Lund. Ma si tratta di un’impressione sbagliata. A sottolinearlo, in un’intervista rilasciata qualche giorno fa al sito del quotidiano «La Stampa», è stato il professor Paolo Ricca, una delle voci più autorevoli del mondo evangelico italiano: «È la prima volta che un papa commemora la Riforma – ha commentato –. E questo costituisce un passo avanti rispetto ai traguardi pur significativi che si sono raggiunti con il Concilio Vaticano II. Partecipare alla commemorazione significa considerare la Riforma un evento positivo nella storia della chiesa, che ha fatto bene anche al cattolicesimo. La mia impressione è che lui, in un modo che non saprei definire, si senta parte anche di quella porzione di cristianità che è nata dalla Riforma».
Nel giugno scorso, del resto – nella conferenza stampa tenuta in aereo durante il viaggio di ritorno dall’Armenia – era stato proprio papa Francesco a esprimersi in questo senso: «Credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate» dichiarò in quell’occasione, sconcertando più di un tradizionalista. «Lutero era un riformatore. Forse alcuni metodi non erano giusti, ma in quel tempo, se leggiamo la storia, vediamo che la chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere...».
A cinquant’anni dall’inizio del dialogo tra cattolici e luterani aperto dal Concilio Vaticano II la commemorazione di Lund può, dunque, segnare un punto di svolta per l’ecumenismo? È interessante notare che l’appuntamento arriva in un anno che è stato ricco di incontri tra Francesco e i lea-der delle altre confessioni cristiane. Quello più importante è stato il faccia a faccia tra il papa e il patriarca ortodosso russo Kirill, tenutosi in febbraio a Cuba; un passo da tempo cercato da Roma e che il successore di Pietro venuto «dalla fine del mondo» è riuscito a realizzare. Poi c’è stato il viaggio a Lesbo insieme al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo; ci sono stati i ripetuti incontri con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primate degli anglicani, con il quale appena pochi giorni fa Francesco ha sottoscritto una dichiarazione comune. E – pur con le intransigenze del clero locale, puntualmente emerse – lo stesso viaggio compiuto da Bergoglio il mese scorso in Georgia è stato un segnale importante, dal momento che Tbilisi è oggi una delle frontiere più calde all’interno del mondo ortodosso.
Ora tocca al dialogo con i luterani. Frontiera sulla quale papa Francesco può spendere la sua carta più forte dal punto di vista ecumenico: il modo in cui sta ridefinendo nei fatti i contorni del papato. Con il suo stile informale, con le sue picconate al potere ecclesiastico, con la sua disponibilità costante a farsi incontro a qualunque interlocutore, Bergoglio sta riscrivendo le regole del ministero petrino. Con gli altri leader cristiani si comporta da fratello, senza mettere davanti storia, teologia e tradizioni; questo non può evidentemente lasciare indifferente il mondo riformato.
Vuol dire che con Francesco cattolici e luterani possono davvero immaginare un futuro senza divisioni? Dipende da che cosa intendiamo col termine unità. Dal punto di vista teo-logico, ad esempio, nel 1999 c’è già stato un enorme passo in avanti con l’approvazione della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, testo che affronta la principale questione sull’interpretazione dei contenuti della fede cristiana che per secoli ha diviso Roma dal mondo luterano. Quel documento enunciava anche l’idea del «consenso differenziato», cioè la convinzione che visioni differenti su questioni specifiche non rendono impossibile uno sguardo comune sui fondamenti della fede cristiana.
Il vero nodo che resta irrisolto è piuttosto quello dei sacramenti: la Chiesa cattolica continua a non ammettere la pratica dell’«ospitalità eucaristica», cioè la possibilità di ricevere la comunione in una liturgia di un’altra confessione cristiana (né permette a chi non è cattolico di farlo durante un proprio rito). Alla fine, oggi, il segno più visibile della divisione tra i cristiani resta questo. Ed è un segno che – a differenza del dialogo teologico, avvertito come qualcosa di lontano, riservato agli addetti ai lavori – tocca nel profondo la quotidianità della vita dei fedeli (in particolare quella delle coppie interconfessionali, che si trovano paradossalmente divise proprio nel momento più alto della propria vita spirituale).
Nella giornata di Lund il papa e i vertici delle chiese luterane parleranno della riconciliazione tra i cristiani come segno di speranza per un mondo solcato dai conflitti. È atteso anche un gesto di solidarietà nei confronti delle popolazioni della Siria che vivono da troppo tempo in una situazione drammatica che da qualcuno è stata paragonata proprio alle guerre di religione che hanno insanguinato a lungo l’Europa. Ma la sfida vera resta andare oltre gli eventi e le dichiarazioni solenni per portare davvero l’ecumenismo nella vita quotidiana delle comunità locali. Ci sono ancora tanti pregiudizi reciproci da abbattere; pregiudizi figli soprattutto di una lettura superficiale della storia. Forse proprio su questo i 500 anni della Riforma, oggi, possono diventare un’occasione molto preziosa per i cristiani di ogni confessione.