Lunga vita alla Signora

Notre-Dame – Patrimonio dell’umanità dalla storia travagliata
/ 22.04.2019
di Alfredo Venturi

Chissà se qualcuno, fra le migliaia di parigini e turisti che assistevano attoniti al rogo della maestosa cattedrale gotica, avrà immaginato fra le torri avvolte dal fuoco la sagoma deforme di Quasimodo, il leggendario campanaro che anima Notre-Dame de Paris, il popolarissimo romanzo di Victor Hugo. In quell’inferno di fiamme e di fumo, poteva immaginarlo mentre assiste all’esecuzione di Esmeralda, la bellissima ballerina gitana che ama senza speranza, lui mostruosamente gobbo, zoppo e sordo, e che ha tentato invano di salvare offrendole asilo nella chiesa. O mentre scaraventa nel vuoto Claude Frollo, il perverso arcidiacono che ha voluto la morte di lei non potendone avere l’amore. Mentre l’incendio scoperchiava la cattedrale divorandone il tetto e facendone crollare la grande guglia, altre reminiscenze letterarie possono avere attraversato la memoria di quel pubblico esterrefatto, per esempio alcuni romanzi della Comédie humaine di Honoré de Balzac ambientati in quella parte di Parigi, sotto la grande mole.

Altri avranno pensato che Notre-Dame ne ha passati tanti, di guai, nel corso dei suoi otto secoli e mezzo di vita. Lo avranno pensato anche a rogo ormai domato, quando il presidente Emmanuel Macron ha palato di ricostruzione, del dovere nazionale di restituire a Parigi il suo simbolo e il suo monumento di maggiore richiamo. Anche Hugo, nel dare alle stampe la tragica storia di Esmeralda e Quasimodo, pensava alla necessità della ricostruzione. Correva l’anno 1831 e la cattedrale portava ancora i segni delle devastazioni subite durante la grande rivoluzione. Considerandoli simboli dell’odiata monarchia, i sans-culottes distrussero le statue della facciata, che in realtà rappresentavano i tre di Giudea, niente a che vedere con la dinastia francese, e abbatterono la guglia.

Addirittura Henri de Saint-Simon progettava di acquistare la struttura per raderla al suolo. Anche senza arrivare a tanto, era davvero male in arnese l’edificio che da chiesa cattolica fu tramutato in tempio della Ragione, tanto è vero che qualche anno più tardi, quando nella cattedrale nuovamente consacrata Napoleone sarà incoronato imperatore, non essendo sufficiente il restauro frettolosamente realizzato per restituirlo al culto sarà stato necessario mascherarne la facciata con una costruzione provvisoria.

Proprio lo stato di degrado della cattedrale, ulteriormente aggravato dalle insurrezioni dei primissimi anni Trenta contro la monarchia ristabilita dalla Restaurazione, indusse Hugo a cercare l’ispirazione per il suo romanzo. Voleva che i parigini e i francesi si rendessero conto che quel monumento così carico di significato andava restituito all’antico splendore. Lo scrittore centrò perfettamente il suo obiettivo e con il favore dell’opinione pubblica, stimolato da altri intellettuali come De Vigny, Ingres e Merimée, il governo affidò i lavori di restauro a un gruppo di architetti guidato da Jean-Baptiste Lassus e successivamente da Eugène Viollet-le-Duc.

Fu proprio Viollet-le-Duc, fautore del ritorno alle forme del gotico, a progettare e costruire la grande guglia che proiettava verso il cielo per altri quarantacinque metri la verticalità gotica dell’edificio. Quella stessa guglia che quel lunedì di fuoco gli spettatori increduli del disastro hanno visto piegarsi e crollare sulle strutture fiammeggianti del tetto. Il restauro ottocentesco riguardò anche l’interno dell’edificio, a cominciare da quelle pareti così malandate negli anni di Napoleone che con un abile stratagemma si provvide a ricoprirle con le bandiere strappate ai molti nemici della Francia in quei tempi di guerre quasi ininterrotte. Quelle bandiere si trovano ora nella chiesa di Saint-Louis-des-Invalides, dove è anche la tomba del primo imperatore francese.

In pieno Ottocento, con sette secoli alle spalle, Notre-Dame era dunque risorta a nuova vita, in un intreccio di gotico e neogotico che ne ha salvato l’essenza figurativa. Ora, dopo il disastroso incendio del 15 aprile, bisogna ricominciare. Secondo Macron e i tecnici che hanno valutato il da farsi con un pizzico, forse, di comprensibile ottimismo, basteranno cinque anni per completare i lavori di restauro. Un’inezia rispetto alla storia secolare dell’edificio. Si era deciso di costruirlo nel 1160 e fu consacrato ventidue anni più tardi. Sorge su una vasta area nella parte orientale dell’Ile de la Cité, la maggiore delle due isole nella Senna al centro di Parigi, che quando in epoca romana il luogo si chiamava ancora Lutetia, la città della palude, era occupata da un tempio dedicato a Giove. Per guadagnare spazio al nuovo edificio si distrussero alcuni precedenti edifici religiosi.

Gli architetti incaricati della costruzione scelsero lo stesso stile gotico che proprio in Francia era nato e già si era imposto con la realizzazione di un capolavoro, la vicina basilica di Saint-Denis. Il nuovo stile rifletteva perfettamente lo spirito dei tempi nuovi seguiti ai secoli bui dell’alto Medioevo e al catastrofismo millenarista. Al posto delle spesse mura romaniche, che parevano ideate per proteggere i fedeli dalla paura di un mondo ostile, di un tempo destinato alla fine, ecco gli archi a sesto acuto che permettono di trasferire il peso dell’edificio dalle pareti ai pilastri, aprendo fra di essi larghi spazi. Da quegli spazi la luce irrompe finalmente nell’interno della chiesa, una luce resa policroma dalle grandi vetrate multicolori, mentre lo slancio verso l’alto degli archi e delle guglie testimonia una nuova spiritualità che si sente libera di lanciarsi in direzione del cielo.

Notre-Dame rispecchia fedelmente questo modello, con i suoi archi rampanti e le due massicce torri campanarie alte una settantina di metri che sovrastano la facciata e ne fanno parte. Sono rivolte a occidente, e questo fa sì che certi tipici tramonti parigini ne facciano un miracolo di luce e di colore che sembra anticipare di alcuni secoli un’altra forma d’arte nata da quelle parti, la pittura impressionista. La cattedrale condivide con una costruzione di natura completamente diversa concepita in tempi diversissimi, la Tour Eiffel, la funzione di simbolo della capitale francese. È di fatto il monumento parigino più visitato, il più contemplato soprattutto dall’esterno, per esempio dalle sponde della rive gauche dove i bouquinistes allineano le loro mostre di libri usati, e dove è possibile ammirare la perfetta geometria dell’abside con i suoi archi rampanti.

Oggi quella esperienza è turbata dalle vistose conseguenze dell’incendio, che al tempo stesso sono da un certo punto di vista rassicuranti e tracciano un vincolo ideale fra la realizzazione di tanto tempo fa e le necessità dell’oggi. Infatti il fuoco ha inflitto danni gravissimi, ma marginali: si è temuto per lunghe interminabili ore il collasso della struttura indebolita dalle fiamme ma questo non è avvenuto. La qualità dell’impianto lo ha salvato offrendo una solidissima base al lavoro che attende i restauratori. Insomma i costruttori del Medioevo ci sapevano fare.