A che serve la Nato? Questa domanda, inconsueta fino a pochi anni fa, ricorre nelle cancellerie e nelle élite atlantiche. È uno degli effetti più interessanti della disfatta subita in Afghanistan. Ma è anche un rivelatore della crisi strategica in cui versiamo, chi più chi meno, noi tutti occidentali. Conviene ripartire dalla risposta che a questa domanda dettero i fondatori del Patto atlantico. Ovvero i Paesi europei occidentali, i britannici e il Nordamerica (Usa e Canada). Allora (aprile 1949) la carta geopolitica del mondo appariva disegnata con notevole chiarezza. Da una parte i sovietici, che stavano inglobando i Paesi satelliti conquistati durante la guerra contro i tedeschi, e che sei anni più tardi avrebbero dato vita al Patto di Varsavia, organizzazione militare sotto guida moscovita. Dall’altra la sfera d’influenza americana e in parte britannica, compresi Francia e Italia. Il primo Paese formalmente vittorioso, anche se traumatizzato dal disastro del 1940, dotato di un’idea di sé non corrispondente ai dati di realtà ma tale da immaginarsi «allié, pas aligné». Il secondo Paese ultrasconfitto, ma ammesso nel patto a guida americana per evitare che scadesse a neutrale, dunque infiltrabile dai sovietici. Con in più l’invidiabile collocazione geopolitica al centro del Mediterraneo.
Così fino al biennio 1989-91: crollo del Muro di Berlino, unificazione delle due Germanie (annessione della Ddr da parte della Brd), suicidio dell’Urss. Conclusa vittoriosamente la guerra fredda, in teoria la Nato avrebbe potuto celebrare il trionfo, con orgoglio e pathos, e subito dopo sciogliersi. In pratica è successo il contrario. L’Alleanza non si è affatto congedata dal mondo, anzi si è allargata e continua a farlo. Ha stabilito che la Russia resta un nemico pericoloso e quindi afferma suo primo compito proteggere dalle grinfie dell’Orso i suoi soci, a cominciare dagli ex satelliti di Mosca, che considerano la Nato vitale per la propria sopravvivenza.
Al di là e al di sotto delle apparenze, la Nato è viva perché serve al suo socio fondatore e capocordata – gli Stati uniti d’America – per controllare la facciata europea e mediterranea dell’Eurasia. Senza pericolo russo – cui s’aggiunge oggi il cinese – la presenza americana in Europa sarebbe difficile da motivare. E d’altronde gli stessi europei traggono vantaggio dal partecipare di un’alleanza che abbatte i costi economici ed eleva il valore militare e strategico delle loro Forze armate.
Non scontato è quindi che oggi su entrambi i fronti, l’americano e l’europeo, si alzino voci che mettono in questione il senso dell’Alleanza. Prima Trump, che se l’è presa con noi europei perché viaggeremmo a sbafo sulla corazzata a stelle e strisce. Poi Macron ha stabilito la «morte cerebrale» della Nato. Infine nelle ultime settimane è tutto un rimbalzare di critiche sollecitate dal caso afghano ma evidentemente sedimentate da tempo. Gli europei reinventano l’utopica «difesa europea», però legata alla Nato. Doppia contraddizione: non può esserci un esercito senza Stato, a meno che non si tratti di soldati di ventura; e non può comunque esserci «difesa europea» se legata, dunque subordinata, all’Alleanza a guida americana. Molto più significativo il dibattito d’Oltreoceano. Gli americani hanno inventato la Nato e loro la scioglieranno, quando utile. Nella cultura strategica americana l’alleanza è valida finché sono gli americani a decidere. Ma se alla prova dei fatti ogni volta che devono combattere, dalla Jugoslavia all’Afghanistan, gli atlantici si mettono a litigare fra loro e procedono secondo il principio «ciascuno per sé nessuno per tutti», il dubbio sulla utilità della Nato per Washington è lecito. In parole povere, alla Casa Bianca e al Pentagono si teme che la Nato traligni in caotico strumento di influenze altrui negli affari propri. Così rovesciando il principio a stelle e strisce per cui è la missione che fa la coalizione, non il contrario.
Si aggiunga lo slittamento del baricentro degli interessi americani verso l’Indo-Pacifico e l’Estremo Oriente, in funzione del contenimento della Cina, ed ecco che il valore del Patto di Washington scende nettamente. Il fatto che non appaia un’alternativa visibile, utile a nordamericani ed europei, conferma che l’allineamento semiautomatico degli interessi vitali su entrambe le sponde dell’Atlantico è paradigma trascorso.
Ciononostante, è probabile che gli anni della Nato siano ancora lunghi. Per la forza coesiva che tiene insieme le istituzioni, specie le più grandi: l’inerzia. Disfare l’esistente è operazione ardua e anche sentimentalmente oneroso. Un congedo non è un abbraccio. Resta che un abbraccio non spontaneo rischia di produrre danni irreversibili. Per questo immaginare una alternativa più o meno accettabile da tutti i soci – almeno di quelli che contano – è compito che le élite strategiche europee ed atlantiche hanno messo all’ordine del giorno. Nei fori interni.
Lunga vita alla Nato ma per inerzia
Washington comincia a mettere in dubbio l’utilità dell’Alleanza atlantica
/ 20.09.2021
di Lucio Caracciolo
di Lucio Caracciolo