Luna di miele all’insegna degli affari

La storica visita del presidente Xi Jinping rafforza i legami fra la Svizzera e la Cina e sfocia in nuovi accordi commerciali, culturali, sull’ambiente e sul turismo - La salvaguardia dei diritti umani discussa solo in privato
/ 23.01.2017
di Marzio Rigonalli

La settimana scorsa il presidente cinese Xi Jinping ha trascorso ben quattro giorni in Svizzera. La durata del soggiorno merita di essere sottolineata, perché forse è un fatto più unico che raro, che il numero uno di una potenza come è la Cina, che ha grande influenza nel mondo, trascorra così tanto tempo sul suolo elvetico. Il viaggio è stato diviso in due parti. La prima è stata dedicata alle relazioni bilaterali, la seconda ha avuto una dimensione prevalentemente internazionale, con il discorso di Xi Jinping al Forum di Davos e la sua visita al Comitato olimpico internazionale a Losanna ed alle istituzioni dell’ONU a Ginevra.

Gli incontri tra il presidente cinese ed il Consiglio federale, presente quasi sempre al completo, e le dichiarazioni che sono state rilasciate, hanno mostrato una forte volontà reciproca di consolidare e, possibilmente, di migliorare i rapporti economici esistenti, nonché di estendere la collaborazione ad altri settori, come l’ecologia, la cultura ed il turismo. I due paesi vantano un rapporto di cooperazione che risale alla metà del secolo scorso. La Svizzera è stata uno dei primi paesi occidentali a riconoscere la Repubblica popolare cinese, fondata da Mao Tse-Tung, e ad allacciare con lei relazioni diplomatiche. Era il gennaio del 1950 e quell’anno il presidente della Confederazione era Max Petitpierre. All’inizio i contatti bilaterali non furono molto intensi, ma a partire dal 1979, anno in cui Deng Xiaoping lanciò la politica di apertura e di riforme, si svilupparono progressivamente. La volontà reciproca di cooperare sfociò nell’accordo di libero scambio, firmato nel 2013 ed entrato in vigore il 1. luglio 2014. La Svizzera è stato il primo paese europeo ad aver concluso un trattato con Pechino, destinato ad eliminare gli ostacoli al commercio. L’accordo è oggi il principale pilastro su cui si poggiano i rapporti bilaterali. In questi pochi anni di esistenza ha consentito una forte crescita del commercio tra i due paesi. La Cina è diventata  il principale partner commerciale della Svizzera in Asia, ed a livello mondiale è il nostro terzo partner commerciale, dopo l’Unione europea e gli Stati Uniti. 

I due giorni di colloqui sono sfociati nella firma di una decina di accordi e di dichiarazioni d’intenti che toccano diversi settori. Innanzitutto, si è cercato di migliorare l’accordo di libero scambio, che attualmente copre il 95% delle esportazioni svizzere verso la Cina, di accelerare i tempi necessari per ridurre le tariffe doganali e di dare una spinta agli investimenti reciproci. Poi, sono state raggiunte intese nei settori finanziario, energetico, del turismo, dell’innovazione e della proprietà intellettuale. Infine, si è trovato un avvicinamento in ambiti meno legati all’economia, come quello degli scambi culturali, con la futura apertura di un centro cinese a Berna, o quello dello sport. 

Gli incontri bilaterali sono stati preceduti e accompagnati da numerose dichiarazioni di amicizia e di rispetto reciproco, nonché, da parte cinese, da lodi per il ruolo che la Svizzera sta svolgendo sul piano internazionale e per gli svizzeri giudicati coraggiosi, intelligenti e lavoratori. Un clima disteso in una cornice quasi idillica che, però, ha lasciato l’amaro in bocca a tutti coloro che si battono per la difesa dei diritti umani e che vorrebbero vedere la Svizzera sempre in prima linea in questa difficile battaglia. Per due ragioni. Dapprima perché la questione della salvaguardia dei diritti umani in Cina, in particolare dei diritti delle minoranze tibetana e uigura, e degli oppositori al potere del partito comunista, non ha trovato spazio nelle dichiarazioni pubbliche. I consiglieri federali Doris Leuthard e Didier Burkhalter hanno detto che la questione è stata affrontata nei colloqui, ma nessuna informazione è trapelata sulla reazione cinese. Anche in questo caso, come è già successo più volte in passato, i responsabili della nostra politica estera hanno lasciato intendere che gli interventi dietro le quinte producono più risultati che le dichiarazioni pubbliche. In secondo luogo, perché la libertà di opinione e di manifestare è stata ristretta in maniera esagerata dalle autorità elvetiche. Per evitare di essere confrontati con incidenti simili a quelli avvenuti nel 1999, durante la visita dell’allora presidente Jang Zemin, e con le parole di sdegno che Zemin rivolse alla presidente della Confederazione Ruth Dreifuss, dopo gli incidenti, il Consiglio federale ha disposto un servizio di sicurezza severissimo. I permessi per manifestare sono stati rilasciati con cautela e sono stati accompagnati da significative restrizioni. Le manifestazioni dei tibetani e dei loro sostenitori sono avvenute in strade lontane da Palazzo federale ed in certi casi la polizia si è spinta fino a chiedere a privati cittadini di togliere dalle loro finestre la bandiera tibetana. Inoltre, durante le dichiarazioni rilasciate alla stampa, ai giornalisti presenti non è stato permesso di porre domande al presidente cinese, come avviene di solito quando un leader politico straniero viene in visita in Svizzera. Tutto è stato predisposto per non urtare la sensibilità dell’ospite cinese. È risaputo che una visita ufficiale deve poter avvenire in tutta sicurezza. Per raggiungere questo obiettivo, ci vogliono anche misure che spesso implicano la restrizione delle libertà dei cittadini. Restringere non significa però soffocare o cancellare. Significa trovare un equilibrio tra quelle che sono le esigenze del momento ed il valore attribuito alle libertà fondamentali. 

Alla fine, la visita di Xi Jinping si è svolta senza incidenti e darà sicuramente un ulteriore impulso allo sviluppo delle relazioni bilaterali. Una domanda, però, resta in sospeso: al di là dei vantaggi economici che può trarre, perché la Cina, paese con 1 miliardo e 400 milioni di abitanti, mostra un così grande interesse per la Svizzera, piccolo Stato di 8 milioni di abitanti? Forse perché i rapporti con la Svizzera potrebbero diventare un esempio da proporre ad altri paesi europei? Forse perché la Svizzera costituisce una possibile apertura per meglio entrare nell’Unione europea? La risposta non è evidente e, probabilmente, va cercata nei piani strategici che Pechino intende seguire.

La dimensione internazionale della visita del presidente cinese, invece, ha raggiunto il suo apice nel discorso che Xi Jinping ha tenuto all’apertura dell’annuale Forum economico di Davos. La difesa della globalizzazione economica, l’utilità di un’economia mondiale aperta,  i danni che il protezionismo può provocare, l’orrore di una guerra commerciale dalla quale nessuno può uscire vincitore, la via reale della cooperazione internazionale fra gli Stati e il rispetto degli accordi internazionali, come quello di Parigi sul clima, approvato dalla COP 21, sono stati i punti forti del discorso. Xi Jinping ha dimostrato di avere una visione del mondo completamente diversa, opposta a quella sostenuta dal nuovo presidente americano Donald Trump, dal primo ministro britannico Theresa May e da tutte le forze populiste. È una visione che s’iscrive nella continuità di quanto è stato realizzato sul piano internazionale dopo la fine della seconda guerra mondiale, e che consente all’Europa di sentirsi un po’ meno sola. È una visione che trova spazio anche nei rapporti bilaterali con il nostro paese e che, quindi, non è in contraddizione con la politica estera della Svizzera.