L’ultimo dei giganti del nuovo Sudafrica

Scomparso a 90 anni l’arcivescovo e premio Nobel per la pace Desmond Tutu, instancabile avversario dell’apartheid e dei corrotti
/ 03.01.2022
di Piero Veronese

Sette giorni di lutto nazionale. Ognuno dei quali, alle dodici in punto, le campane della cattedrale di San Giorgio a Città del Capo hanno suonato a morto per dieci minuti. La salma esposta nella cattedrale 24 ore più del previsto, per smaltire la lunga coda e consentire a tutti di renderle omaggio. A sera, Table Mountain, la grande montagna che domina la città dal lato opposto al mare, illuminata di viola per ricordare l’abito vescovile del defunto. Bandiere a mezz’asta in tutto il Paese fino al giorno del funerale, sabato primo gennaio. Nessuno, da quando circa trent’anni fa il Sudafrica si liberò dal giogo della segregazione razziale, aveva ricevuto in morte onori paragonabili a quelli tributati all’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, spirato a 90 anni la mattina del 26 dicembre. Unica eccezione, nel 2013, Nelson Mandela, il padre della nuova patria sudafricana.

Ci sono molte buone ragioni per spiegare la coralità di questo lutto. In primo luogo, certamente, la grandezza del personaggio. Primo vescovo nero nella storia del Sudafrica, premio Nobel per la pace nel 1984, protagonista indiscusso della lotta contro il sistema di segregazione razziale chiamato apartheid, al quale si è sempre opposto senza ambiguità né timore. Dal pulpito lo ha condannato definendolo «immorale» e «malvagio», dando voce a milioni di neri privati di ogni diritto. Senza mai scendere direttamente nell’arena politica, ma mantenendo un’inscalfibile autorità morale.

Altro motivo del grande cordoglio collettivo che ha circondato la scomparsa di Desmond Tutu è l’animo pesante dei sudafricani in questi tempi di Covid. Il Paese è stato particolarmente colpito dalla pandemia: si contano 250’000 morti su una popolazione più o meno pari a quella dell’Italia, e gravissimi costi sanitari e sociali. La morte dell’arcivescovo ha offerto a tutti l’occasione di lasciarsi andare al pianto. Come osserva il comunicato delle due fondazioni che portano il suo nome, «questo diluvio d’amore compensa almeno in parte le restrizioni anti-Covid che impediscono di dare al nostro amatissimo arcivescovo l’addio che meriterebbe».

Vengono poi ragioni più profonde, che agiscono in maniera magari invisibile nell’inconscio collettivo della nazione sudafricana, la «nazione arcobaleno», come lo stesso Tutu l’aveva definita per sottolinearne la grande diversità etnica. Tra le straordinarie caratteristiche che hanno reso unica la storia del Sudafrica nella seconda metà del XX secolo, c’è sicuramente la statura dei suoi leader. Straordinaria non era soltanto l’ingiustizia del sistema dell’apartheid, in vigore dal 1948 al 1990, che riservava ogni privilegio alla minoranza bianca relegando tutti gli altri allo stato di manodopera di seconda classe. Anche coloro che con estremo coraggio personale affrontarono minacce, percosse, prigione, spesso la morte, per opporvisi, furono dei giganti. Primo fra tutti Nelson Mandela, l’uomo che dopo una detenzione durata 27 incredibili anni uscì alla luce del sole senza un rancore, anzi tendendo la mano ai suoi aguzzini per riconciliare il Paese e avviarlo senza traumi né vendette, ma con giustizia, su una nuova strada.

Poi, con il nuovo secolo, uno dopo l’altro i giganti se ne sono andati. I compagni di prigionia di Mandela a Robben Island, segnati da decenni di privazioni; i leader politici dell’esilio, che resistettero in miseria e in solitudine nelle capitali africane dove erano stati accolti; le loro mogli, vessate, confinate, perseguitate. Oggi quei grandi uomini e donne sono nomi di aeroporti, di università, di fondazioni benefiche. Desmond Tutu era rimasto più o meno l’ultimo: e lascia una nazione orfana, a sentirsi senza più padri, senza guida. In tempi difficili, con troppe promesse non mantenute e un ceto dirigente composto in eccessiva quantità di arricchiti, speculatori, profittatori indifferenti alle sorti della maggioranza. Così l’arcivescovo viene pianto come si piange un passato che si allontana sempre più.

Infine, i sudafricani sanno benissimo che Desmond Tutu è stato sì grande come i suoi pari, ma diverso da tutti gli altri. Se durante i lunghi decenni dell’apartheid non esitò mai a far sentire la sua voce per condannare quel mostruoso sistema di discriminazione, non ha taciuto nemmeno nei decenni successivi, ogni volta che ha ritenuto che i nuovi leader del Sudafrica stessero tradendo gli ideali che li avevano portati al potere. E le occasioni non sono mancate. Scandali, vergognosi esempi di nepotismo, clamorosi casi di corruzione, rinuncia a lottare contro la crescente disuguaglianza economica e sociale. La gente comune ha continuato a sentirlo come uno dei suoi; ma molti dei nuovi potenti gliel’hanno giurata. Specie quando nel 2013, sotto la nefasta presidenza di Jacob Zuma (oggi in prigione, travolto dagli scandali), dichiarò che non avrebbe più votato per l’African National Congress, il partito di Nelson Mandela, che aveva guidato la lotta contro l’apartheid e governa il Paese dall’avvento della democrazia nel 1994. Tra Tutu e Mandela, compagni di lotta e amici da una vita, si scavò un solco; Mandela morì quello stesso anno, e il solco rimase. Per non parlare degli insulti, dileggi, sarcasmi di cui l’arcivescovo fu bersagliato. È questa onestà d’animo e libertà di pensiero, questa forza e rettitudine morale, che probabilmente i sudafricani piangono mentre danno l’addio a The Arch, il diminutivo di Archbishop con cui viene familiarmente chiamato. Un uomo, come ha detto una donna interpellata dai giornalisti, «che è sempre stato dalla parte degli angeli».

Il presidente del Sudafrica è oggi Cyril Ramaphosa, che cerca come può di riconnettere il partito che guida al suo glorioso passato. La sua leadership non è screditata come quella di Zuma, ma il compito è immane, e la pandemia non lo sta aiutando. Per mettere le cose in chiaro, lo Stato è rimasto escluso dai preparativi funebri per le esequie dell’arcivescovo. Se ne occupano la Chiesa anglicana e le due fondazioni create da Tutu. Al funerale, il presidente e tutto il notabilato dell’African National Congress saranno soltanto ospiti.