Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres (AFP)


L’onda (d’urto) dell'Ue

COP25 – Sul tema ambientale si è fatta avanti l’Europa con il discorso di investitura di Ursula von der Leyen, la nuova presidente della commissione europea, che parteciperà al vertice sul clima di Madrid
/ 09.12.2019
di Alfredo Venturi

L’umanità, dice Antonio Guterres, ha mosso guerra al pianeta. E ora il pianeta sta contrattaccando. Aprendo a Madrid la venticinquesima conferenza delle parti sul clima, il segretario generale delle Nazioni Unite sottolinea una volta ancora che siamo di fronte a un bivio: o invertiamo la tendenza riducendo drasticamente l’effetto serra e dunque neutralizzando i cambiamenti climatici in corso, o ci attende un catastrofico precipitare degli eventi. Siamo insomma vicini al punto di non ritorno, oltre il quale non ci sarà più nulla da fare. È un appello non nuovo, sostenuto dall’allarme documentato della comunità scientifica fin da ventisette anni or sono, da quella conferenza di Rio de Janeiro con cui l’Onu avviò nel 1992 la grande consultazione planetaria culminata nel 2015 con l’accordo di Parigi.

Cioè con il solenne impegno internazionale a ridurre in un ragionevole numero di anni a meno di due gradi centigradi, possibilmente non più di uno e mezzo, l’aumento della temperatura media planetaria rispetto ai valori che precedettero la rivoluzione industriale. Perché oltre i due gradi il deterioramento dell’assetto naturale sarebbe irreversibile. Finora qualcosa è stato fatto, ma la progressione del fenomeno è stata soltanto rallentata.

Nella capitale spagnola sono rappresentati 196 paesi oltre a organizzazioni multinazionali come l’Unione Europea. Nel loro insieme offrono al giudizio del mondo una inquietante realtà: molti dei partecipanti sono restii ad applicare l’accordo del 2015, a volte invocano le necessità dello sviluppo economico, altre volte si trincerano dietro il principio della sovranità nazionale. Alcuni, come gli Stati Uniti di Donald Trump, sono arrivati addirittura a sconfessare la storica intesa di Parigi, condivisa dalla precedente amministrazione Obama, e dunque a dichiarare che non intendono applicarla. Perché sarebbe fondata, questa la visione di Trump, su una sopravvalutazione dell’incidenza delle attività umane sui fenomeni naturali.

La venticinquesima conferenza si apre nel segno di due emergenze che hanno turbato profondamente l’opinione pubblica rivelando fino a che punto sono arrivati sia lo sconvolgimento degli equilibri naturali, sia il cinismo di chi non esita, per servire interessi puramente materiali, a infierire su una natura già così maltrattata. Da una parte Venezia sommersa dalle acque, la prospettiva di un incomparabile splendore urbano minacciato proprio da quel mare che la Serenissima storicamente ha dominato. Dall’altra la foresta amazzonica, uno dei vitali polmoni verdi della Terra, devastata da incendi incontrollati e troppo spesso di origine dolosa.

Fortunatamente sul tema ecologico si fa avanti l’Europa. Nel suo discorso d’investitura Ursula von der Leyen, la nuova presidente della Commissione europea che proprio alla conferenza di Madrid esordisce in questa veste, ha annunciato che l’Unione considera prioritaria la difesa dell’ambiente. Voglio che il nostro, ha detto, diventi il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Per arrivarci non è sufficiente l’obiettivo attuale, la riduzione delle emissioni del 40 per cento entro un decennio. Bisogna fare di più, molto di più. L’ex ministra tedesca della Difesa succeduta al lussemburghese Jean-Claude Juncker immagina l’Europa in un ruolo di guida nel salvataggio del pianeta, impegnata ben oltre i limiti fissati dalle intese fin qui raggiunte.

Vorrebbe che i Ventisette dimostrassero al mondo che l’evoluzione verso l’obiettivo indicato da Guterres, la neutralità carbonica cioè l’abbattimento dei fumi che ancora riversiamo nell’atmosfera, non è soltanto necessaria, è anche possibile. D’altra parte la presidente della Commissione deve fare i conti non soltanto con una platea internazionale non certo compatta sulla necessità di raggiungere ad ogni costo questo obiettivo, ma anche con forti resistenze interne all’Unione. A cominciare da quella del gruppo di Visegrad guidato non a caso dalla Polonia, un Paese in cui l’economia è tuttora basata su quel combustibile fossile per eccellenza che è il carbone, la più inquinante fra le fonti di energia.

Eppure si guarda con molte speranze, nonostante tutto, a questa venticinquesima conferenza che chiude il decennio più caldo della storia, almeno da quando sono a disposizione dati comparabili, cioè da metà Ottocento. Gli studi e le statistiche dovrebbero avere ormai spazzato via tutti i dubbi e le riserve che fin qui hanno accompagnato il grande allarme climatico. Si è arrivati addirittura a definire una bufala il surriscaldamento planetario, o almeno il contributo umano a questo fenomeno più che evidente. Difese d’ufficio e torbidi interessi tendono a minimizzare il problema, influenzando molti politici dall’orizzonte limitato, restii come sono a guardare oltre gli orticelli del consenso e della conservazione del potere.

Proprio mentre a Madrid si aprivano i lavori, Greta Thunberg sbarcava a Lisbona proveniente dal Cile, il Paese che avrebbe dovuto ospitare la conferenza ma ha dovuto rinunciare a causa dei gravi disordini interni. Esattamente come quando andò a New York per strigliare i rappresentanti delle Nazioni Unite, accusandoli di pensare a tutt’altro mentre il mondo va a rotoli, la giovanissima animatrice del movimento mondiale Fridays for Future ha viaggiato per mare su un catamarano sospinto dal vento, la più tradizionale fra le energie rinnovabili che la natura mette a nostra disposizione. Poi ha proseguito per Madrid, con l’intento non solo di partecipare alla conferenza ma anche di manifestare con i suoi ragazzi nelle piazze della capitale, chiedendo che i delegati facciano il loro dovere nell’interesse complessivo del pianeta e dell’umanità.

I lavori dureranno un paio di settimane e certamente non mancheranno gli sforzi perché si possano concludere con un bilancio positivo, o almeno accettabile. Ma non sarà facile, pesano molto le prese di distanza degli Stati Uniti, del Brasile e di altri paesi fra i più inquinanti, che non vogliono saperne di subordinare le loro economie ai costosi vincoli ambientali. Cercherà di contrastare queste reticenze l’Unione Europea con la linea d’urto annunciata dalla presidente Von der Leyen. Due sono i compiti principali dei negoziatori riuniti a Madrid. Prima di tutto bisogna completare le regole per l’applicazione dell’accordo di Parigi, già in buona parte concordate un anno fa alla ventiquattresima conferenza riunita a Katowice in Polonia.

Ancora più importante la seconda missione: si tratta d’imprimere una decisa accelerazione al processo che contrasta il deterioramento climatico, cercando di convincere tutti della necessità di obiettivi più alti in fatto di contenimento delle emissioni di gas a effetto serra. L’alternativa è chiarissima: o questo o la resa, dice il segretario Guterres. Il clima rischia ormai di diventare un puro e semplice problema di sopravvivenza per molte specie, inclusa la nostra.