L’ombra di Pechino sulla rotta del greggio

Mar Cinese Meridionale – 3. parte Xi Jinping ha deciso da tempo che tutta quella regione marittima dovrà essere solo cinese
/ 28.05.2018
di Beniamino Natale

Nelle ultime settimane, il governo di Pechino ha intrapreso nel Mar della Cina Meridionale due iniziative di grande importanza, che sono in grado di cambiare per sempre i termini delle dispute territoriali che coinvolgono, oltre alla Cina, Vietnam, Filippine, Malaysia, Indonesia, Brunei e Taiwan. Via di passaggio del 90 per cento del commercio mondiale e di collegamento tra America, Asia ed Europa, ricca di gas naturale e di pesce, quella porzione di oceano, nella quale si trovano le isole Spratly e Paracelso, è anche quella dalla quale passa gran parte del petrolio che dal Medio Oriente viene esportato nell’Asia orientale.

All’inizio di maggio, la rete televisiva americana CNBC ha affermato che per la prima volta Pechino ha installato dei missili Cruise terra-aria su Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef, tre delle scogliere che si trovano nell’arcipelago delle Spratly. I missili, ha specificato l’emittente, sono del modello YJ-12B che hanno una portata di 295 miglia nautiche (una miglia nautica equivale a circa 1,8 chilometri), e del modello HQ-9B, con una portata di 160 miglia; in altre parole sono in grado di minacciare numerosi paesi rivieraschi e tutte o quasi le navi che navigano nello specchio d’acqua conteso.

La trasformazione di scogli e isolette in basi militari navali dotate di piste d’atterraggio rappresenta lo strumento per far diventare irreversibile la «cinesizzazione» del Mar Cinese Meridionale

«Prima di questo, se tu eri uno degli altri paesi con rivendicazioni territoriali sapevi che la Cina stava controllando tutte le tue mosse. Ora tu sai che ti stai muovendo all’interno della portata dei missili cinesi. È una minaccia implicita, ma piuttosto forte» ha dichiarato all’agenzia Reuters Greg Poling, un esperto del Mar della Cina Meridionale del Center for Strategic and International Studies di Washington. L’ammiraglio Philip Davidson, capo per il Pacifico della flotta statunitense, ha sottolineato che ora la Cina «può estendere la sua influenza per migliaia di miglia verso sud e proiettare il suo potere in profondità nell’Oceania».

Poco più di due settimane dopo sono stati i media cinesi ad annunciare che, anche in questo caso per la prima volta, alcuni bombardieri H-6K sono atterrati e ripartiti dalle piste costruite negli anni scorsi dagli ingegneri cinesi su una serie di isolotti tra cui Woody Island, che fa parte dell’arcipelago delle Paracelso. Da qui, i bombardieri possono rapidamente raggiungere qualsiasi paese del sudest asiatico.

Con queste due mosse, quella che gli statunitensi hanno chiamato la «militarizzazione» del Mar della Cina Meridionale è completa. In corso da almeno una decina d’anni, l’opera di conquista dello strategico specchio d’acqua da parte di Pechino è di fatto completata. Prima la Cina ha ingrandito artificialmente alcune delle minuscole scogliere che fanno parte dei due arcipelaghi; poi ha incominciato a costruirci sopra edifici di vario tipo, a portarci elettricità e strumenti per la comunicazione; infine, a renderle praticabili dalla sua aviazione e dalla sua marina militare, che nei programmi degli strateghi cinesi dovrebbero essere nei prossimi anni in grado di sfidare la supremazia americana nella regione.

Pechino rivendica tutto o quasi il Mar della Cina Meridionale basandosi sulla cosiddetta «Nine-Dash Line», la linea dei nove trattini, diffusa nel 1947 dall’allora governo cinese del Guomindang, il Partito Nazionalista del «generalissimo» Chiang Kai-shek. In origine i «trattini» erano undici ma due furono tolti dalla mappa in seguito alle obiezioni sollevate dal Vietnam negli anni Settanta, quando era un alleato della Cina in guerra con gli Stati Uniti.

La «Nine-Dash Line» è una grande «U» che parte dalle coste cinesi nei pressi del confine tra Cina e Vietnam. Dopo essere passata dall’isola cinese di Hainan, si sviluppa poi su tutto lo specchio d’acqua e in alcuni punti passa a poche miglia marine dalle coste degli altri paesi rivieraschi. Con la guerra civile cinese e la vittoria dei comunisti (1949) e la guerra di Corea (1950-53), la «linea» era finita nel dimenticatoio. Pechino l’ha rispolverata nel 2009, consegnando alle Nazioni Unite una mappa del Mar della Cina Meridionale sulla quale la «Nine-Dash line» è indicata come base delle sue rivendicazioni. La sovranità della Cina su questa parte del Pacifico, sostiene Pechino, è «indiscutibile» ed esiste «da tempo immemorabile». La Cina non ha però, finora, tradotto l’uso della «Nine-Dash line» in una rivendicazione esplicita di sovranità su tutto lo specchio d’acqua.

L’importanza che Pechino attribuisce alla sua «proiezione strategica» in tutto il Mar della Cina Meridionale emerge chiaramente se si considera che negli ultimi anni numerosi dirigenti cinesi hanno affermato che si tratta di una delle aree di core interest (interesse fondamentale) del Paese, un’espressione che in precedenza era stata usata solo in riferimento al Tibet e a Taiwan: questioni sulle quali Pechino non è disposta non solo a transigere, ma neanche a discutere. Come ha affermato in passato il Ministero della difesa di Pechino, gli arcipelaghi in questione «sono sempre stati parte del territorio della Cina»; ne consegue che «la Cina ha il diritto legittimo e legale di schierare strumenti di difesa all’interno del suo territorio». Non sorprende quindi che Pechino abbia ignorato la sentenza con la quale la Corte Internazionale di Arbitrato dell’Aja, interpellata dal governo delle Filippine guidato da Benigno Aquino III, ha affermato che le pretese cinesi «non hanno alcuna base». La Cina ritiene che il modo migliore per risolvere le varie dispute in corso sia quello delle trattative bilaterali, nelle quali può far valere la sua crescente importanza in tutta la regione. Finora la politica delle trattative bilaterali sostenuta dalla forza economica della Cina e dalla sua presenza militare nel Pacifico, ha dato buoni risultati, in particolare con le Filippine che, sotto la guida di Rodrigo Duterte, il successore di Aquino, hanno deciso di ignorare la sentenza a loro favorevole del tribunale dell’Aja.

Dopo aver incautamente annunciato l’uscita degli Stati Uniti dalla Trans-Pacific Partnership (TPP), l’organismo regionale creato dall’amministrazione Obama proprio per contenere la forte spinta cinese all’espansione, il presidente americano Donald Trump è corso ai riparti creando la «Quadrilater», vale a dire un’alleanza che comprende Usa, India, Giappone ed Australia, che prontamente è stata ribattezzata QUAD dai media americani. La prima riunione del QUAD ha coinciso con il lancio da parte dello stesso Trump del concetto di «Indo-Pacifico». In poche parole l’attuale amministrazione americana ha esteso il concetto di «Asia-Pacifico» fino a comprendere l’India, un’aspirante potenza regionale che confina con la Cina e che, a differenza della Cina, è governata con un solido sistema democratico. È da vedere se il QUAD riuscirà a coprire il vuoto lasciato dall’abbandono del TPP – sul quale pare sia in corso un ripensamento all’interno dell’amministrazione Trump.

Gli altri paesi che avevano aderito all’iniziativa di Barack Obama – Canada, Messico, Perù e Cile in America, Giappone, Singapore, Brunei, Malaysia e Vietnam in Asia, Australia e Nuova Zelanda in Oceania – hanno deciso di andare avanti col progetto. Giappone e Australia sono membri di entrambi gli organismi e altri paesi potrebbero seguirli nel prossimo futuro.