C’è un filo sotterraneo, o meglio una rete, che lega l’Africa alla Russia. Una rete di legami che ha come prima motivazione la ricerca di sicurezza di alcuni degli Stati più fragili del Continente e che è parsa rafforzarsi nei lunghi mesi della guerra combattuta dalla Russia in Ucraina. Come se l’Africa fosse una retrovia lontana ma importante di quel conflitto europeo. L’interesse russo nel perseguire relazioni sempre più intense appare duplice. Il primo è quello di assicurarsi un retroterra di simpatie, consensi e compiacenze che può tornare utile sul fronte diplomatico. Come si è visto in occasione della votazione dell’Assemblea generale dell’Onu all’indomani dell’aggressione dell’Ucraina. La mozione di condanna della Russia ottenne una vasta maggioranza. Tra i soli 5 voti contrari (uno dei quali della stessa Federazione russa) c’era, inaspettatamente, quello di un paese africano, l’Eritrea. E nel nutrito pacchetto composto dagli astenuti e da coloro che si erano allontanati dall’aula al momento della votazione, l’Africa era il Continente più rappresentato.
In secondo luogo, la presenza russa sembra avere l’obiettivo di condurre anche in Africa una campagna anti-occidentale e in particolare anti-europea (il Cremlino e la sua propaganda dipingono la guerra in Ucraina come uno scontro tra i valori della Russia e quelli dell’Occidente). Da questo punto di vista, la penetrazione russa appare fin qui coronata dal successo, perché in almeno due Paesi, il Mali e la Repubblica Centrafricana, è riuscita a sostituirsi alla storica egemonia militare, diplomatica ed economica francese. A questi potrebbe essersi aggiunto adesso il Burkina Faso.
I tre Paesi in questione, tutti ex colonie francesi, hanno storie, contesti, composizione etnica e sociale assai diversi tra di loro. Tuttavia, con tempi e dinamiche anch’essi molto differenziati, hanno dovuto affrontare negli ultimi anni l’analogo problema di una crescente presenza armata di matrice islamista, che è riuscita a destabilizzarli, creando una situazione di guerra civile, di diffuse e incontrollate violenze ed enormi sofferenze per la popolazione. Sia in Mali che in Centrafrica, con il consenso internazionale o addirittura in stretta collaborazione con contingenti di altri paesi, la Francia è intervenuta militarmente in difesa dei legittimi governi. Il sostanziale fallimento di queste operazioni militari, e in Mali un paio di successivi colpi di Stato, hanno però finito per guastare i rapporti con Parigi. I militari al potere a Bamako e il presidente in carica a Bangui si sono rivolti al Gruppo Wagner, l’assai discusso esercito privato russo che ha forti legami con il Cremlino, ottenendone immediata disponibilità. Centinaia di combattenti e istruttori militari russi sono subito affluiti nei due Paesi.
I mercenari del Gruppo Wagner, impegnati in prima linea anche in Ucraina, non devono rispondere a un governo democraticamente eletto né a un Parlamento. Hanno sostanzialmente carta bianca nel condurre le loro operazioni militari. Per questo sono sospettati e spesso accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Il che non ha impedito loro di sostituirsi in tutto e per tutto ai francesi. Parigi ha chiuso le operazioni in Mali e mantiene a stento relazioni diplomatiche con una giunta militare decisamente ostile. Quanto alla Repubblica Centrafricana, dove erano presenti fino a 1600 suoi militari pesantemente equipaggiati, ne restano ora appena 130, destinati a partire entro la fine dell’anno. Dal punto di vista geopolitico, è una vistosa ritirata per la Francia e un altrettanto rilevante successo per la Russia.
In divenire, ma a quanto pare avviata nella stessa direzione, è la situazione in Burkina Faso. A inizio ottobre c’è stato un nuovo colpo di stato a Ouagadougou, la capitale, otto mesi dopo il precedente. Si è trattato per la verità di un «colpo di stato nel colpo di stato», in cui una fazione ne ha sostituita un’altra. All’origine dell’instabilità politica c’è anche qui la penetrazione armata di formazioni jihadiste che mettono a ferro e fuoco le poverissime campagne e terrorizzano, costringendoli alla fuga, gli abitanti dei villaggi. Ogni nuovo regime accusa il precedente di incapacità nel fare fronte a questa minaccia mortale, mentre il numero delle vittime non fa che crescere. Nelle prime ore dell’ultimo colpo di stato, quando il suo esito appariva ancora incerto, centinaia di manifestanti hanno preso d’assalto i luoghi simbolo della presenza francese, dall’ambasciata al centro culturale, alla scuola francese, alla caserma che ospita le forze speciali di Parigi impegnate nelle operazioni anti-terrorismo. Molti di loro, come si è visto nelle immagini, portavano in corteo bandiere russe.
Gli osservatori francesi vedono dietro questi episodi un’attiva regia occulta, in particolare sistematiche campagne propagandistiche sui social network locali. Qui si apre un capitolo importante e misconosciuto, perché pochissimo sappiamo della disinformazione e propagazione di fake news sui social africani, i cui utenti sono molto meno attrezzati di noi a vagliare criticamente queste fonti. È presto per dire se quest’ultimo sommovimento politico in Burkina Faso provocherà anche qui un allontanamento francese e l’avvento di una presenza militare russa. Resta il fatto che il Cremlino di Vladimir Putin continua a piantare bandierine sul continente africano: difficile non vedere una strategia all’opera dietro il succedersi di questi accadimenti.