Dal punto di vista militare la guerra di questi giorni tra i gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza e lo Stato di Israele è allo stesso tempo incredibile e anche totalmente inutile. Incredibile perché mai prima d’ora le fazioni di Gaza, Hamas in testa, avevano scatenato questo volume di fuoco contro i centri abitati israeliani. Volate di centinaia di missili che coprono anche la distanza fino a Tel Aviv e a Gerusalemme, le due città più importanti nel centro del Paese a decine di chilometri dalle postazioni di lancio dei razzi, e costringono gli israeliani a correre nei rifugi a prova di bomba tra il suono delle sirene e le esplosioni delle intercettazioni in cielo.
Da qualche anno la Difesa aveva approntato un sistema di contromisure che in teoria dovrebbe riuscire a vedere e bloccare ogni missile, ma le salve sparate da Hamas sono così fitte che circa un 10 per cento degli ordigni finisce per andare a segno. Se si considera che nei primi due giorni i palestinesi hanno sparato più di 1’200 razzi, si capisce che c’è un rischio elevato. Infatti ci sono stati morti e feriti. I gruppi palestinesi sono così baldanzosi che ora sui loro canali Telegram annunciano in anticipo i lanci, in modo da creare un effetto attesa e aumentare la tensione. Le città israeliane più vicine alla Striscia, quelle che hanno un tempo di preavviso minore perché i razzi arrivano in poche decine di secondi come Sderot, Ashkelon e Ashdod, vivono come se fossero in uno stato di paralisi. Soltanto chi ha un rifugio a pochi passi riesce a uscire di casa. La reazione israeliana è molto dura, ma più o meno era attesa nei modi e nell’intensità con i quali è arrivata. Almeno 80 aerei impegnati a compiere raid a ciclo continuo sul territorio di Hamas, ma non c’è stata alcuna sorpresa, era scontato che succedesse.
E però, come detto, è anche una guerra inutile. Hamas è consapevole, come gli altri gruppi armati nella Striscia, che non guadagnerà nemmeno un metro di terreno da questo conflitto. Non conquisterà una postazione strategica, non un ponte, non una collina. Non si muoverà nulla. Di sicuro non aiuterà la situazione a Sheikh Jarrah, il quartiere conteso di Gerusalemme est dove la tensione è cresciuta in queste settimane fino a portare all’escalation (anche per la decisione di «sfratto» di diverse famiglie palestinesi). Hamas è separata da molte decine di chilometri di distanza e di barriere da quel quartiere, non può fare nulla. E allora perché si getta in questo scontro che, come è noto a tutti, è impari? Perché mettersi contro l’aviazione israeliana che può lanciare centinaia di missioni al giorno e può far saltare con le bombe le infrastrutture di Hamas? Perché il gruppo lotta per conquistare nuovo spazio nelle teste dei palestinesi. È lì che si combatte la battaglia tra il fronte dell’acquiescenza politica che vuole un futuro tranquillo e quello della lotta armata che rifiuta i compromessi. Hamas ha lanciato uno scontro gigantesco con Israele perché così può mettersi di nuovo al centro della scena e danneggiare i rivali palestinesi di al Fatah, che invece sono specialisti nella gestione dello status quo senza bombe.
Negli ultimi 4 anni il gruppo armato che controlla Gaza ha dovuto incassare tre sconfitte sul piano politico. Nel 2017 l’Amministrazione Usa di Donald Trump ha spostato l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, compiendo così un gesto fortemente simbolico. La capitale di Israele, era il messaggio implicito, per gli Stati uniti non è Tel Aviv ma Gerusalemme. Era un trasferimento che prima era considerato rischioso perché si temeva che la piazza araba sarebbe esplosa e invece non era successo nulla. Hamas aveva scoperto che il largo sostegno trasversale dei Paesi arabi per la causa si era svuotato, non era più potente come prima.
Poi nel 2020 sono arrivati gli Accordi di Abramo, vale a dire quelle alleanze politiche tra Stati arabi del Golfo e Israele che fino a pochi anni fa sembravano impossibili. Gli accordi fra gli Emirati e gli israeliani, per esempio, sono davvero robusti e interessano una quantità vastissima di campi, dalla scienza alle armi. Ma trascurano la causa palestinese, che era la ragione principale della mancanza di relazioni diplomatiche tra Israele e governi arabi. Anche in quell’occasione Hamas scoprì che la causa palestinese non contava più come prima. Nel 2021 infine, alcune settimane fa, al Fatah ha rinviato le elezioni a tempo indeterminato – il primo voto palestinese da 15 anni – per il timore che le vincesse Hamas. A suo modo era l’ennesima disfatta per la linea degli estremisti di Gaza. Senza più appoggio ed elezioni per salire al potere, il gruppo armato doveva fare qualcosa.
Si capisce perché appena Hamas ha intravisto una possibilità ha sfruttato la tensione per cominciare un conflitto che, con l’aiuto di gruppi armati minori e con il sostegno di Iran e Turchia, fa esplodere la questione palestinese e mette in difficoltà tutti gli altri. Anche le scene di guerriglia urbana fra bande di arabi e di ebrei nelle notti delle città israeliane sono un altra piccola vittoria per Hamas, che gode nell’estremizzazione del discorso politico. Più la situazione scivola indietro, verso gli anni della tensione permanente, e più la fazione della Striscia ha da guadagnare. Anche al prezzo di qualche momento di guerra ad alta intensità.
L’obiettivo di Hamas: le teste dei palestinesi
La guerra tra la Striscia di Gaza e Israele è incredibile e all’apparenza totalmente inutile. Non inciderà sul destino dei territori contesi. È piuttosto un tentativo del gruppo armato di riguadagnare sostegno
/ 17.05.2021
di Daniele Raineri
di Daniele Raineri