Quando Daria Serenko, artista e attivista femminista, ha organizzato a San Valentino una catena di solidarietà con Yulia Navalnaya (moglie del nemico numero uno di Vladimir Putin, Alexey Navalny) e le detenute politiche, la sua idea era quella di importare in Russia un modello di protesta già collaudato in Bielorussia. Quello delle donne che sfidano l’autoritarismo e la repressione. Non si aspettava quell’ondata di odio e violenza che la perseguita da allora, con centinaia di minacce irriferibili inviate dai seguaci del movimento di ultradestra «Stato dei maschi». Questi ultimi non si sono limitati a fare gli «odiatori» da tastiera, pubblicando sui social l’indirizzo e le immagini della casa di Serenko, obbligandola a vivere protetta da una agenzia di sicurezza privata.
Lo «Stato dei maschi» si era già distinto qualche mese prima in una campagna di intimidazione contro la «Marcia delle sorelle», un’iniziativa di solidarietà nei confronti delle tre sorelle Arutiunian che per difendersi avevano ucciso il padre Mikhail Khachaturyan. Krestina, Angelina e Maria – di 19, 18 e 17 anni all’epoca del delitto – vivevano segregate in casa e per anni sono state umiliate, picchiate, abusate e torturate dal padre padrone. Il processo contro le due sorelle maggiori – Maria è stata dichiarata incapace di intendere e volere – dura ormai da 3 anni. La campagna per liberarle, che ha visto la partecipazione di attivisti, star dello spettacolo e Ong, per ora non è riuscita a ribaltare la pressione di una cospicua fetta dell’opinione pubblica che le considera bugiarde e ribelli. L’incaricata per i diritti dei minori presso il Cremlino, Anna Kuznetsova, ha definito il caso delle sorelle Arutiunian una montatura mediatica e il comune di Mosca non ha autorizzato la marcia per sostenerle.
In una Russia che sta vivendo una svolta repressiva contro l’opposizione, si verifica anche un giro di vite reazionario nella società civile che, in nome del «ritorno ai valori tradizionali», ha già reso Mosca la Mecca di vecchie e nuove Destre di Europa e America. E la politica di repressione contro le donne ne è una componente importante, proprio nel Paese che è stato il primo al mondo a proclamare la parità dei diritti tra i sessi.
Il divorzio e l’aborto, introdotti dai bolscevichi, sono da un secolo tra i più «facili» al mondo, e l’occupazione femminile, un altro retaggio del comunismo, è quasi totale. Ma il sogno di un revival patriarcale, nella politica come nei valori, sta rendendo la Russia un posto poco confortevole per le donne.
Il Paese è scosso dall’omicidio di Vera Pekhteleva, uccisa nel 2020 a botte dal fidanzato che voleva lasciare. I vicini avevano chiamato più volte la polizia, e nelle registrazioni delle telefonate si sentono le urla disperate della ragazza, però gli agenti non si sono mai presentati. Un’indifferenza che non è soltanto un caso isolato, ma una linea consapevole e promossa dai vertici dello Stato (in questo il femminicidio nel Paese si distingue da quelli perpetrati alle nostre latitudini): la Russia è l’unico dei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa a non possedere una legislazione specifica sulla violenza domestica.
Una battaglia che dura da molti anni, e che per ora ha visto prevalere l’offensiva conservatrice delle forze politiche più tradizionaliste e del patriarcato di Mosca. Nel 2017 un voto della Duma ha praticamente depenalizzato la prima denuncia di violenza tra le mure domestiche. In assenza di gravi lesioni che comportano un ricovero, l’episodio viene archiviato come semplice litigio.
La Chiesa ortodossa ha avuto un ruolo importante in questa svolta «patriarcale»: una commissione di gerarchi altolocati guidata dall’arciprete Dmitry Smirnov ha bocciato ogni proposta di combattere la violenza domestica, ritenuta «in forme moderate» uno «strumento imprescindibile di educazione». Smirnov ha esplicitamente accusato i difensori dei diritti delle donne di essere «al soldo dell’Occidente» e di volere «distruggere la famiglia, come è già stata distrutta in Europa», chiamando a ripristinare il principio di autorità gerarchica nelle famiglie come nella società.
Un’ideologia che contribuisce all’incremento vertiginoso della violenza contro le donne in Russia. Secondo il consorzio delle Ong femminili, delle 8’300 russe uccise nel 2018 5 mila sono rimaste vittime di mariti, compagni, padri o altri parenti. Una media di 13 vittime al giorno, una ogni due ore, senza contare quelle picchiate, deturpate, terrorizzate. La testimonianza del chirurgo facciale Ruslan Mellin, che ha disegnato i ritratti di molte sue pazienti e raccontato le loro storie alla testata online «Meduza» rivela un mondo sommerso che non finisce né nelle statistiche poliziesche, né nelle reti di soccorso.
Storie raccapriccianti, come quella di Margarita Gracheva, che aveva denunciato per maltrattamenti suo marito e per punizione è stata portata in una foresta dove l’uomo l’ha picchiata e le ha staccato le mani con un’ascia, nonostante fosse la madre dei suoi due figli. Oggi Margarita è un simbolo della lotta delle donne russe per i loro diritti. Ha avuto il coraggio di posare davanti alle telecamere con la sua mano bionica (la seconda si è conservata nella neve ed è stata riattaccata dai chirurghi), ha scritto un libro e partecipa a talk show, facendo sperare che anche nel Governo qualcuno sia sensibile all’argomento.
Intanto le donne continuano a scendere in piazza ma il movimento, dopo le decine di migliaia di arresti di manifestanti nel gennaio scorso e la promessa del ministro degli Esteri Sergey Lavrov di «rompere con l’Europa», subisce il contrattacco di un regime sempre più repressivo, che associa qualunque discorso di libertà e diritti alle «ingerenze occidentali». Il viceministro della Giustizia Mikhail Galperin ha reagito ai verdetti della Corte dei diritti umani a Strasburgo a favore delle donne russe maltrattate, denunciando la «discriminazione dei maschi». Intanto nelle prigioni russe le attiviste scese in piazza vengono umiliate e minacciate di stupro, e il fatto che nel movimento che fa capo a Navalny le leader sono molto numerose rende la lotta per i diritti delle donne parte del discorso anti-autoritario della protesta.
Lo Stato dei maschi attacca le donne
In Russia, mentre il Cremlino tenta di reprimere l’opposizione, c’è chi spinge verso il ritorno ai valori tradizionali. Così riemergono ideologie che contribuiscono all’incremento dei casi di violenza domestica
/ 08.03.2021
di Anna Zafesova
di Anna Zafesova