Un negozietto nel centro storico di Brescia, uno dei tanti call center gestiti da immigrati, finisce per la seconda volta nel mirino della Polizia e delle agenzie di intelligence indiane. La prima volta, è stato nel 2008 all’indomani dell’attacco di Mumbai. Dal Medina Trading, di proprietà dei cittadini pakistani Mohammad Yaqub Janjua e Amir Yaqub, erano state trasferite consistenti somme di denaro ed erano stati forniti servizi Voip a persone coinvolte nella strage di cittadini indiani e stranieri. All’epoca i due proprietari erano stati arrestati per essere poi rilasciati quasi immediatamente dal Tribunale del Riesame, visto che la persona a cui i fondi erano stati trasferiti risultava estranea ai fatti. In seguito è stato provato che i soldi erano realmente andati a membri della Lashkar-i-Toiba che avevano adoperato l’identità di un ignaro cittadino, ma i due proprietari del Medina Center sono rimasti in libertà seppure ufficialmente «ricercati».
L’uso delle virgolette è d’obbligo perché in realtà i due signori hanno semplicemente chiuso la Medina Trading e riaperto con il nome di Help Services, continuando pacificamente la loro attività. L’Help Services è finito nel mirino dell’Enforcement Directorate indiano per il costante flusso di denaro inviato ai separatisti dell’Hurryat in Kashmir: si tratta di un partito politico e non di un’organizzazione terroristica ma, sempre secondo gli inquirenti, il denaro sarebbe stato adoperato per finanziare attività illegali. Lo stesso Enforcement Directorate ha emesso sei mandati di cattura internazionali nei confronti di cittadini pakistani residenti in Italia.
Il denaro, tracciato dagli inquirenti da Brescia fino al Kashmir indiano, sarebbe stato adoperato per realizzare l’attacco di Uri nello scorso settembre (foto): l’attacco a una postazione militare nel Kashmir indiano è costato la vita a diciotto soldati ed è stato definito «L’attacco più sanguinoso degli ultimi venti anni» ai militari in forza nella regione contesa. A compiere sia la strage di Mumbai che l’attacco di Uri è stato lo stesso gruppo, la Lashkar-i-Toiba: un’organizzazione poco nota in Italia e dintorni, e di cui si parla poco perché nella percezione corrente «opera soltanto in Kashmir». Niente di più sbagliato, e niente di più pericoloso.
La LiT è sulla lista dei gruppi terroristici delle Nazioni Unite e sulla testa del suo fondatore, Mohammed Hafiz Saeed, pende una cospicua taglia della Cia. L’organizzazione è stata fondata in Pakistan dal signore di cui sopra nel 1990, e pur essendo stata ufficialmente bandita in Pakistan mantiene uffici e sedi a Lahore e in altre città del paese mentre Hafiz Saeed è libero di tenere comizi e incitare all’odio settario e contro l’Occidente in ogni piazza del Pakistan. La LiT, ben lungi dall’essere confinata al Kashmir, possiede affiliati e cellule in una ventina di Nazioni. I suoi affiliati provengono da vari paesi islamici e non. L’organizzazione ha legami molto stretti con Al Qaeda, con Daesh e altri gruppi islamici che operano nelle Filippine e in Cecenia e possiede una rete che si estende da Pakistan, India e Bangladesh fino all’Arabia Saudita e alla Gran Bretagna. Cellule della Lashkar-i-Toiba sono presenti anche in Germania, in Spagna, negli Stati Uniti e ovviamente in India, dove ha costituito una vasta rete di cellule dormienti. È finanziata, addestrata e armata principalmente dall’Isi, i servizi segreti pakistani, e dall’Arabia Saudita. L’agenda dell’organizzazione teorizza la propagazione dell’Islam a livello globale e considera la jihad come il mezzo più adatto a raggiungere i suoi obiettivi. Che comprendono il «piantare la bandiera dell’Islam su Washington, Delhi e Tel Aviv».
In Italia, alcuni affiliati alla Lashkar-i-Toiba sono stati arrestati nel 2015 in una clamorosa tornata di arresti di cittadini in maggioranza pakistani effettuati dalla Polizia italiana per attività sovversive. Non solo: durante un paio di Conferenze internazionali organizzate dalla stessa Lashkar-i-Toiba erano presenti alcuni individui residenti in Italia e legati a organizzazioni integraliste religiose che operano sul territorio. Negli anni l’Italia è stata sede privilegiata di un certo numero di organizzazioni terroristiche che hanno operato allegramente e liberamente: una per tutte le Tamil Tigers, che raccoglievano fondi e organizzavano le loro attività dalla Sicilia.
Al momento i vari gruppi jihadi hanno vita facile: tutta l’attenzione è concentrata sull’Isis e su coloro che vanno a rimpolpare le fila del triste Califfato in Siria e dintorni. Gli altri, purché usino sigle diverse e mantengano un basso profilo, purché non operino direttamente in Occidente, vivono tranquilli e indisturbati. Daesh o Isis che dir si voglia rivendica ormai di tutto, ma molto spesso, indagando sui singoli esecutori, si scopre una connessione con il Pakistan. E i campi di addestramento pakistani, o almeno la maggior parte di essi, sono gestiti dalla Lashkar-i-Toiba.
Ostinarsi a credere che Hafiz Saeed e i suoi costituiscono un pericolo soltanto per l’India è quantomeno miope. L’agenda della LiT, è bene non dimenticarlo, è ambiziosa quanto quella di Daesh e dell’Isis: ma i suoi fondatori, e soprattutto i suoi burattinai occulti, non hanno alcuna intenzione di farne apertamente un brand internazionale e finire così nel mirino delle intelligence occidentali come l’Isis. Operare nell’ombra, per i «buoni» terroristi, è molto più conveniente e, soprattutto, garantisce un futuro prospero e luminoso.