L’Irlanda del nord e i suoi «troubles»

Lo scoppio delle violenze riporta alla mente i decenni bui terminati con gli Accordi del venerdì santo. In piazza la frustrazione alimentata dalla Brexit unita alla rabbia di giovani e giovanissimi senza prospettive
/ 19.04.2021
di Cristina Marconi

Quando nel giugno scorso Bobby Storey è morto, al suo funerale sono andate duemila persone. C’erano tutti, compresa la vice prima ministra nordirlandese Michelle O’Neill e l’ex leader dello Sinn Fein, Gerry Adams. Capita quando uno è stato militante e capo dell’intelligence dell’Ira, l’esercito repubblicano. Sono vecchie affiliazioni che pesano, ricordi di un tempo sopito ma mai del tutto passato. Però in un anno in cui pure per le esequie del duca d’Edimburgo bisogna rimanere rigorosamente al di sotto dei trenta invitati, il fatto che la polizia abbia chiuso un occhio sul grande assembramento repubblicano in onore di Storey ha acceso una miccia che piano piano si è fatta fiamma e che non accenna a spegnersi. Una fiamma che preoccupa perché passa troppo vicino alla profonda crepa che la Brexit ha aperto negli Accordi del venerdì santo – le fondamenta della pace sull’isola firmati nel 1998, dopo diversi decenni di guerra civile (« The troubles») – lasciando scoperta materia esplosiva, pericolosa. Nel mondo della pandemia e del post-Brexit basta poco, nuova noia e vecchi rancori, perché l’equilibrio che regge l’Irlanda del nord da 23 anni a questa parte salti per aria.

La Nazione è povera – l’inattività economica nell’età lavorativa è del 28 per cento, il Pil molto inferiore al resto del Paese – spaccata e trascurata da Londra e questa volta sono i lealisti che si sentono in minoranza. Per non dividere l’isola ed evitare il famigerato «hard border», confine fisico tra Irlanda del nord e Repubblica irlandese, il protocollo approvato dal premier Boris Johnson con il trattato sulla Brexit ha preferito il male apparentemente minore dei controlli per i beni provenienti e diretti in Gran Bretagna. Il premier aveva minimizzato come è suo solito fare – i controlli saranno invisibili, aveva detto – ma l’Ue ha sempre messo in chiaro che non avrebbe accettato di fare dell’Irlanda del nord il punto di arrivo di beni e prodotti fuori norma nel suo mercato. Di fatto l’Irlanda del nord è rimasta nell’orbita Ue per stare vicino all’Irlanda, la Gran Bretagna è uscita nel modo più netto possibile.

Nonostante i tentativi britannici di introdurre dei periodi di grazia per alcuni generi alimentari, scatenando un’azione legale da parte dell’Unione europea, nella pratica la burocrazia è stata inevitabile, le violazioni pure. Alcune guardie di frontiera hanno ricevuto minacce e poi, con un colpo di scena, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha proposto di usare l’articolo 16 del protocollo, quello che ne permette la sospensione in caso di emergenza, per bloccare una presunta fuoriuscita di vaccini dall’Ue. Si è subito scusata per l’avventatezza della proposta, ma che a delegittimare il protocollo sia stata proprio la parte europea ha lasciato una brutta impressione di volatilità, inusuale per l’Unione europea. Di fatto è come se il negoziato sulla Brexit non fosse mai finito in Irlanda: l’Ue chiede una sorta di allineamento dinamico su piante e benessere animale per ridurre i controlli. Londra ormai è allergica a tutto quello che strizza l’occhio alla Ue. Con un Paese chiuso in casa da un anno, il Regno unito non ha ancora avuto bisogno di fare i conti con la realtà pratica della Brexit.

Ma l’Irlanda del nord è come una cassa di risonanza, tutto viene ingigantito. Proprio giovedì 15 aprile l’ex negoziatore britannico, ora membro del Governo, David Frost, è andato a Bruxelles per parlare con Maroš Šefčović, sua controparte nella Commissione europea. Le posizioni restano distanti, il vuoto politico tangibile. Due settimane fa Londra ha mandato all’Ue un piano per l’attuazione del protocollo in cui definisce le aree in cui è possibile collaborare ma non include le date in cui le parti problematiche saranno attuate. E Johnson a Belfast ancora non si è fatto vedere.

Cinque anni fa, prima del referendum, nella capitale dell’Irlanda del nord si erano invece fatti vedere i due primi ministri che più hanno fatto per dare pace al Paese, ossia il conservatore John Major e il laburista Tony Blair: hanno messo in guardia a più riprese, insieme o separatamente, sui rischi che un’uscita dalla Ue avrebbe comportato, tanto più se accompagnata da un’uscita dal mercato unico, come di fatto è avvenuto. Ma la Brexit risponde a un istinto nazionalista inglese che di Scozia e Irlanda del nord non si preoccupa più di tanto e molti brexiteers, pur consapevoli del problema, avevano deciso di trascurarlo, facendo sentire abbandonati gli unionisti. Ora lo stesso ministro dell’Irlanda del nord del Governo Johnson, Brandon Lewis, ha ammesso che quello della regione è problema «complesso e sfaccettato» e che il protocollo ha avuto un ruolo nel portare ai gravi disordini di Belfast, ma anche di Derry e altre città, delle ultime settimane: poco meno di un centinaio di poliziotti feriti, una ventina di arresti e altrettante denunce.

Qui non sono fantasmi del passato ad agitarsi, ma anche spiragli di un futuro sinistro. All’origine dei disordini ci sono giovani, giovanissimi, addirittura dodicenni che della stagione dei «Troubles» che ha insanguinato il Paese – 3500 vittime almeno – non hanno memoria diretta, ma che hanno sentito i racconti dei genitori, dei nonni e che tra disoccupazione, mancanza di prospettive e rabbia per una situazione che li fa sentire impotenti hanno scelto la violenza. Sono i «figli del cessate il fuoco», cresciuti in un Paese diverso ma non ancora del tutto trasfigurato, in cui l’integrazione è rara e, cosa più grave, le figure politiche di raccordo sono poche. Certo, c’è la povertà e c’è la rappresentanza politica debole, irresponsabile: usano i lealisti, ma non li aiutano. Con i ragazzi di tutto il mondo annoiati e con le energie sprecate, era facile far saltare la polveriera.
E quindi, dopo anni in cui c’è stato solo qualche incidente isolato, la situazione ha preso ora una brutta piega. Gli unionisti sono scesi in strada, hanno chiesto la rimozione del capo della polizia che aveva permesso il funerale di Storey e, in una spirale fin troppo nota, hanno lanciato molotov e sassi, dato fuoco agli autobus, ferito poliziotti. In una Belfast tornata spettrale, i cannoni ad acqua sono stati usati per la prima volta da 6 anni a questa parte e le immagini raccontano una guerriglia che sembrava relegata all’album dei ricordi. Proprio mentre l’Irlanda del nord sta per compiere 100 anni.