Finalmente qualcosa di nuovo sul fronte ucraino. L’incontro fra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelenskyi, mediato a Parigi da Emmanuel Macron e Angela Merkel, sembra avviare una stagione di graduale disgelo fra Mosca e Kiev dopo la crisi scoppiata nel 2014. Nulla di decisivo né di definito, salvo l’impegno di rivedersi fra quattro mesi a Berlino, ma la sensazione che la pacificazione dell’Ucraina, dove la guerra fra il governo centrale e i separatisti filorussi del Donbas ha provocato già più di 13 mila vittime, sia meno lontana di prima.
Il punto più caldo riguarda la possibilità di tenere elezioni nelle repubbliche ucraine ribelli di Lugansk e Donetsk. Gli ucraini vorrebbero che Mosca chiudesse prima i rubinetti che le consentono di alimentare la guerriglia anti-Kiev nei due territori del Donbass: in sostanza, dovrebbe sigillare il confine e consegnare le chiavi al governo dell’Ucraina. Poi si potrebbero tenere elezioni locali, che darebbero un qualche grado di autonomia alle regioni in rivolta. Per i russi il ragionamento va rovesciato: prima si vota, e una volta che il risultato sia validato dall’Osce, si chiude il confine.
Il risultato finale cui puntano i russi è un’Ucraina ridimensionata nelle sue ambizioni atlantiche, dotata di un sistema federale che doterebbe del potere di veto le sue entità regionali, da spendere contro un eventuale tentativo di Kiev di entrare nella Nato. In parole povere, ai ribelli filorussi, che resterebbero comunque in Ucraina, sarebbe permesso di impedire l’eventuale accesso di Kiev alla Nato. Per Zelenskyi questo è da escludere. Soprattutto, l’opinione filo-occidentale in Ucraina teme che il giovane presidente, che ha alle spalle una carriera da attore, possa essere manipolato dalla volpe Putin.
Gli Stati Uniti sostengono la posizione ucraina, ma si tengono a distanza dal negoziato diretto. La scena è stata così presa dal duo franco-tedesco, con Macron nelle vesti di padrone di casa – l’incontro si è svolto all’Eliseo – ma soprattutto di forza trainante, al cospetto di una cancelliera in declino e che si prepara a lasciare il suo incarico alla fine dell’attuale mandato. Il presidente francese ha ripetutamente marcato le distanze dagli americani – nel caso specifico, dagli ucraini – sostenendo che prima o poi la Russia dovrà essere riammessa nel cerchio ristretto delle potenze abilitate a partecipare a un sistema di pace e cooperazione su scala paneuropea, sulla base dell’equilibrio della potenza.
Sullo sfondo, la questione energetica. Le forniture di gas russo all’Europa via Ucraina sono state una costante dell’ultimo mezzo secolo e ora sono rimesse in discussione. Il contratto di forniture scade a fine anno. Nel frattempo, i russi stanno raddoppiando il gasdotto baltico Nord Stream, che collega i giacimenti siberiani al mercato tedesco scavalcando l’Ucraina e i paesi intermedi dell’ex impero sovietico. Così come il braccio meridionale, il Turkish Stream, surrogato del mai partito South Stream, contribuisce ad aggirare l’Ucraina. Per Kiev, oltre a trattenere parte delle forniture, si tratta di garantirsi invece entrate energetiche fondamentali via la commercializzazione del gas russo in Europa. Allo stesso tempo, Zelenskyi non vuole essere tenuto sotto costante ricatto energetico da Putin.
La tensione lungo la frontiera Nato-Russia, con Ucraina e Bielorussia in funzione di cuscinetto filo-occidentale la prima e filo-russa (fino a un certo punto) la seconda, resta alta. Il rischio della degenerazione del conflitto ucraino è palpabile. In tal caso, tutta la regione tra Baltico e Nero sarebbe incendiata.
Al recente vertice celebrativo dei settant’anni della Nato i paesi baltici, la Polonia e la Romania sono riusciti a ottenere la assicurazione americana e, molto più tiepidamente, degli altri alleati, che la pressione e quindi le sanzioni contro la Russia saranno mantenute. Ma lo schieramento euroatlantico è tutt’altro che unanime. Francesi e tedeschi, ma anche italiani, vorrebbero un approccio più morbido alla Russia, considerata comunque parte del sistema di pace e di equilibrio paneuropeo. Contro la Vecchia Europa, la Nuova (gli ex satelliti sovietici inquadrati nel Patto di Varsavia), appoggiata dagli Stati Uniti.
Se fra qualche anno un nuovo presidente degli Usa decidesse di riaprire alla Russia, non fosse che in funzione anti-cinese, tutti gli equilibri regionali verrebbero ricalibrati. Ad oggi, al massimo, si possono disinfettare e incerottare le ferite, in un clima di persistente diffidenza. Comunque meglio della deriva incontrollata verso l’allargamento del conflitto.