«I due leader si sono promessi di lavorare per migliorare lo stato delle relazioni bilaterali, che hanno riconosciuto attualmente essere negativo». Il comunicato stampa del Cremlino sulla prima telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump è moderatamente ottimista, ma nelle ore successive al colloquio l’accelerazione di cambiamenti politici sembra essersi impossessata di Mosca e non solo di Washington. Ad Aleppo e dintorni l’aviazione russa ha intensificato i raid aerei come non accadeva da giorni. Nella capitale russa è stato arrestato il ministro dello Sviluppo economico Alexey Uliukaev, e si dice che i magistrati tengano d’occhio anche altri esponenti liberali del governo. E due giorni dopo Putin ha annunciato che non aderirà allo Statuto del Tribunale penale internazionale dell’Aja.
Tutti eventi apparentemente senza alcun rapporto l’uno con l’altro. L’arresto di Uliukaev era in preparazione da mesi, apparentemente una cannonata clamorosa nel braccio di ferro tra falchi e liberali nell’establishment russo. La rottura con il Tpi era stata annunciata dal ministero degli Esteri russo a gennaio, dopo il via libera dei giudici dell’Aja a indagini su eventuali crimini di guerra commessi dai militari russi in Georgia durante la guerra per l’Ossezia del Sud nel 2008. Ad accelerare la decisione è stata, pochi giorni fa, la decisione del procuratore del Tpi di qualificare l’annessione della Crimea come «conflitto armato» tra Russia e Ucraina. Ma sembrano segni premonitori di una nuova stagione nell’ordine internazionale.
La telefonata con Putin, apparentemente piuttosto lunga e non di circostanza, si può considerare il primo gesto di politica estera del futuro presidente americano. Al punto che, rivela il «Washington Post», i rappresentanti dei ministeri della Difesa dei Paesi europei e della Nato hanno messo in guardia Trump: il dialogo è importante, ma «gli Usa non devono lasciarsi alle spalle gli alleati per scommettere su un miglioramento delle relazioni con Mosca». In attesa dell’arrivo di Barack Obama a Berlino per il vertice con i leader europei, un funzionario tedesco ha confessato alla Reuters: «Siamo in una situazione critica. Dobbiamo assolutamente evitare uno scenario nel quale l’Unione Europea proroga le sanzioni contro la Russia e il nuovo presidente americano poi le revoca».
Nelle agende di Washington e di Berlino c’erano nuove sanzioni contro Mosca, per la guerra senza frontiere in Siria. Ma anche il Medio Oriente sta cambiando dopo la telefonata nella quale Vladimir e Donald hanno sottolineato il comune impegno nella lotta «contro il terrorismo». Le forze armate russe hanno lanciato quella che il ministro della Difesa Sergey Shojgu ha definito una «vasta operazione militare in Siria», in appoggio alle truppe di Assad. E il presidente siriano ha dichiarato che Trump potrebbe «diventare un alleato naturale se combattesse il terrorismo». Una risposta all’apertura del presidente eletto, che nella prima intervista al «Wall Street Journal» ha detto di avere sulla Siria «un punto di vista diverso da quello di molti altri», e di non voler scontrarsi militarmente con Assad perché «finiremmo a combattere contro la Russia».
Finora gli Usa e la Russia, proclamando entrambi la lotta contro l’Isis, si sono di fatto scontrate sul terreno siriano in schieramenti opposti. Gli Usa che appoggiano, o almeno tollerano Assad, dando agli aerei di Putin il via libera è quello che vorrebbero i russi. Che sperano anche in un «condono» dell’annessione della Crimea, e infatti il governo di Kiev è seriamente preoccupato. Ma gli scettici, anche a Mosca, avvertono che il Trump presidente sarà vincolato dal Congresso (dove sono stati eletti molti falchi repubblicani ostili ai russi), dagli alleati, dal Pentagono e dalle agenzie di sicurezza, dalla Nato. E dalle sue stesse promesse. Uno dei primi propositi del 45simo presidente è infatti quello di potenziare la marina Usa, dotandola di 78 nuovi navi e 50 mila uomini in più, puntando su portaerei, sottomarini e incrociatori armati di missili, da dotare di un sistema di difesa antimissilistica. Un proposito che non potrà non suscitare le ire di Mosca, che osteggia i progetti di «scudi antimissile» americani ovunque, dall’Europa orientale al Sud-Est asiatico, vedendoli come una barriera alla sua deterrenza atomica.
Come i propositi di armare l’America fino ai denti possano coincidere con quelli di una distensione con la Russia è una delle tante contraddizioni che la nuova Casa Bianca dovrà sciogliere.
In attesa, la rivoluzione trumpiana è stata già presa come un segnale per avere le mani libere nella politica interna russa. L’arresto nella notte successiva alla telefonata Putin-Trump del ministro Uliukaev, per una tangente di 2 milioni di dollari che forse era una trappola tesa dagli agenti dell’Fsb nella sede della major petrolifera statale Rosneft (guidata dal conservatore Igor Sechin, ex segretario personale di Putin), è probabilmente una coincidenza. Ma il fatto che il premier Dmitry Medvedev definisca l’accaduto «qualcosa che va oltre la mia comprensione», che a Mosca girino voci di imminente incriminazione di altri liberali del governo, come il vicepremier Arkady Dvorkovich, che il giorno dopo sia stato arrestato il sindaco di Pereslavl-Zalessky, accusato di frode con i finanziamenti della corporazione Rosnano, presieduta da Anatoly Chubais, padre della privatizzazione, sembra sintomatico di un clima dove gli eterni rivali dei «siloviki» sanno che da Washington nessuno li sgriderà più, e che i ministri che piacciono alle istituzioni e agli investitori internazionali sono ormai inutili.