L’inflazione scende ma le preoccupazioni restano

In Svizzera il tasso di rincaro è diminuito sotto la soglia del 2 per cento mentre i tassi di interesse sono cresciuti.La Riserva federale americana dovrebbe annunciare altri aumenti e le banche centrali temono il rallentamento delle economie
/ 28.08.2023
di Ignazio Bonoli

In Svizzera il tasso d’inflazione a fine luglio era sceso all’1,6%, dopo aver già toccato il livello dell’1,7% a fine giugno. Quindi, al momento, il tasso di rincaro è sceso sotto la soglia del 2% che alcune banche nazionali, in particolare la Banca centrale europea (BCE), si erano date come obiettivo della politica monetaria volta a ridurre la domanda di beni e servizi. Lo scopo è quello di far scendere il tasso d’inflazione, ma provocando nel contempo un’ondata di rialzo dei tassi di interesse. L’inflazione in Svizzera è generalmente inferiore a quella degli altri Paesi industrializzati. Questo perché il prezzo dei beni importati (che costituiscono circa il 50% del PIL), tradotto in franchi svizzeri, risulta inferiore a quello fissato in valuta estera nei singoli Paesi esportatori. E questo grazie alla forza del franco svizzero sui mercati valutari. Anche i dati del rincaro nel mese di luglio hanno beneficiato di questa situazione. L’Ufficio federale di statistica, pubblicando questi dati, fa notare che, sempre nel mese di luglio, mentre i prezzi di prodotti e servizi realizzati in Svizzera era ancora aumentato del 2,3%, i prezzi di prodotti e servizi importati dall’estero erano diminuiti dello 0,6%, rispetto a un anno prima.

Anche in Svizzera si cominciano però a sentire alcune tendenze al rallentamento della crescita economica. Alcune importanti ditte del ramo industriale hanno annunciato una diminuzione del personale, nonostante persista nel nostro Paese un’elevata mancanza di personale specializzato. Questo, tra altri fattori, è sicuramente un segno degli effetti provocati dal rialzo dei tassi di interesse. Tanto più che il rallentamento fa seguito a un eccezionale periodo di espansione, dovuto questa volta soprattutto al calo degli interessi da pagare su prestiti e anticipi. Qualche preoccupazione in più potrebbe derivare alla Svizzera dalla situazione in Germania. Per il momento, fra le grandi Nazioni europee, è l’unica che denuncia un tasso di crescita del PIL in termini negativi. Altri Paesi, in particolare Francia e Spagna, potrebbero seguire la tendenza. Questo anche perché la Germania sta perdendo la sua posizione di locomotiva dell’economia europea.

Tra i grandi Paesi europei fa eccezione l’Italia che annuncia ancora tassi di crescita positivi, con un’inflazione che rallenta. Ma proprio il caso italiano è significativo. L’Italia conta infatti molto sulla propria industria automobilistica e sta facendo sforzi, come altre, per convertirsi in tempo, abbandonando il motore a scoppio per passare a quello elettrico. Ma proprio in questo settore l’Italia ha sviluppato molto tutta la tecnica legata al tradizionale motore a scoppio, mentre è un po’ in ritardo sui motori elettrici. Ora proprio la Germania è uno dei maggiori clienti dell’Italia per le componenti automobilistiche legate ai motori tradizionali. Da qui un doppio pericolo dipendente dalla situazione della Germania e della sua industria automobilistica. Industria che sembra anche soffrire della dipendenza dalla Cina, per molta parte delle componenti, e sopporta le conseguenze del forte rallentamento dell’economia del gigante asiatico, mentre gli Stati Uniti investono molto per sostituirsi alla Cina in questo enorme mercato.

Tratteggiato per sommi capi il quadro mondiale, torniamo al nostro commento sull’inflazione. Inflazione, in termini semplici, significa aumento dei prezzi, soprattutto di quei prodotti e servizi che compongono il «paniere» della spesa. Ora per esempio in Italia si sente dire, o si può leggere, che l’inflazione cala ma i prezzi aumentano. Questo perché, in tempi recenti, il costo dei fattori energetici (petrolio, gas, energia elettrica) è aumentato sensibilmente, ma negli ultimi mesi è parecchio diminuito. Di contro il costo dei beni di prima necessità (quelli che compongono il paniere da noi e il «carrello della spesa» in Italia) è continuato ad aumentare. I dati italiani dicono che il tasso di inflazione è in diminuzione, ma pur sempre al 5,9%, mentre l’aumento del costo del «carrello della spesa» è pari al 10,2%. Ora è proprio a questa spesa che il consumatore guarda con molta attenzione. Anche in Svizzera, come detto sopra, l’inflazione scende all’1,6%, ma il paniere dei beni di prima necessità resta a un tasso più alto (2,3% se consideriamo il costo dei prodotti importati, ma buona parte dei quali è costituita da beni di prima necessità). La differenza, a nostro vantaggio, è dovuta alla forza del franco, che si riflette sulle importazioni.

Significative, in questa situazione, saranno le decisioni delle banche nazionali dei vari Paesi e, in particolare per noi, della Banca centrale europea. Le ultime scelte sono state ancora di aumentare i tassi direttori, perché l’obiettivo di un tasso di inflazione inferiore al 2% è ancora parecchio lontano. D’altro canto i rallentamenti di alcune economie importanti potrebbero sopportare male un conseguente aumento dei tassi di interesse. Si attendono quindi con impazienza le decisioni di inizio settembre. La Riserva federale americana (FED) dovrebbe annunciare un ulteriore aumento dei suoi tassi, magari inferiore a quelli precedenti. L’economia americana, grazie anche a un forte aumento degli investimenti pubblici, con relativo aumento del debito pubblico, sta meglio di quelle europee. La BCE seguirà l’esempio della FED? Probabilmente sì, ma con un ulteriore chiaro segnale a voler ridurre l’inflazione. La Svizzera di per sé potrebbe stare a vedere, ma la Banca nazionale teme non solo l’inflazione, ma anche l’aumento del valore del franco sui mercati valutari. Finora l’industria d’esportazione sembra aver sopportato bene il livello attuale, ma anche in Svizzera sono stati annunciati licenziamenti di personale proprio in questo settore e il momento è particolarmente delicato nei principali mercati dell’esportazione.