Abusi e miseria

L'accordo di pace del 2016 tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) ha messo fine a un conflitto armato durato 5 decenni. Ma da allora la violenza ha assunto nuove forme, sottolinea l'ultimo rapporto di Human Rights Watch. Nel 2021 in molte aree del Paese sono aumentati gli abusi perpetrati dai gruppi armati (uccisioni e trasferimenti forzati compresi): Esercito di liberazione nazionale (Eln), dissidenti delle Farc e dei gruppi paramilitari. «Difensori dei diritti umani, giornalisti, leader indigeni e afro-colombiani e altri attivisti hanno subito minacce di morte e violenze dilaganti». La pandemia di Covid e le misure per controllarla – dice l’Ong – hanno avuto in Colombia un impatto devastante sulle disuguaglianze. «Quasi mezzo milione di persone è caduto in povertà nel 2020 e il numero di famiglie con bambini che non frequentano la scuola è aumentato di quasi il 14%». / Red.


L’inferno dei cercatori di smeraldi

A Muzo, in Colombia, si scava a mani nude per trovare le pietre preziose sfuggite ai controlli minuziosi delle compagnie minerarie
/ 11.04.2022
di Luigi Baldelli

Non c’è dubbio, la capitale mondiale degli smeraldi è Muzo, in Colombia, nel dipartimento di Boyacà. Qui ci sono le più grandi e prolifiche miniere legali di smeraldi delle grandi compagnie nazionali e internazionali. Però a Muzo gravita anche una moltitudine di cercatori di smeraldi illegali, persone che tentano la fortuna scavando a mani nude nella terra di riporto o nei fiumi che scendono dalle montagne. Altri ancora, invece, si addentrano nei cunicoli delle miniere abbandonate. Muzo per tutti loro è il luogo dove si tenta la sorte, un luogo che ti trattiene perché, come dice Oscar che vive qui da più di 5 anni: «Oggi non ho trovato nessuno smeraldo, ma non vado via perché domani o dopo la fortuna mi sorriderà e troverò la mia pietra verde». Le nuvole sono basse e avvolgono le case in mattoni e le capanne di legno con i tetti in lamiera abbarbicate sui fianchi delle montagne. La vegetazione è verde come il colore delle pietre. Nelle strade di terra e fango si muovono i «guaqueros», i cercatori illegali. Da soli o a piccoli gruppi si dirigono verso i piedi della collina dove ci sono le miniere legali.

«Quel posto per noi è come il miele per le api», osserva Miguel, un giovane «guaquero» allampanato e dal sorriso gentile, mentre si muove spedito dentro ai suoi stivali di gomma di qualche misura più grandi. È qui, in questo spiazzo di fango e terra scura ai piedi della collina, dove si radunano due volte al giorno centinaia di cercatori. Aspettano e guardano in alto, dove intanto vengono rovesciati i vagoni di terra estratti dalle viscere della montagna, terra già lavata e setacciata dalle miniere legali. Uomini, donne, adolescenti aspettano fiduciosi di trovare in quella terra il loro smeraldo, sfuggito ai controlli minuziosi delle compagnie minerarie, e intanto continuano a guardare in alto e a quei cento metri che li separano da quella terra nera che forse nasconde il loro piccolo tesoro.

«Lo so, non troverò lo smeraldo che mi farà diventare ricca, ma spero almeno di trovarne uno che mi permetta di continuare a sopravvivere qui a Muzo», dice con un filo di voce Isabella, una donna di circa 30 anni, mentre si sistema i capelli in una lunga coda. Accanto a lei il marito guarda fisso il crinale della collina senza parlare. Davanti a loro guardie private, armate di fucili, tengono tutti a distanza di sicurezza e impediscono che qualcuno corra verso il luogo dello scarico. «Può essere pericoloso, bisogna aspettare che prima sia finita tutta l’operazione», ammonisce quello che sembra essere il capo delle guardie. Sono tutti lì, pronti, come alla partenza di una maratona, in una mano tengono il sacco di iuta da riempire, i più fortunati nell’altra mano hanno una ciotola di metallo per scavare. Ma molti usano le mani. La terra nera li sta aspettando. C’è chi si è organizzato in gruppi con quelli che scavano e quelli che mettono la terra nei sacchi, così se ne possono accaparrare di più. Ma anche l’eventuale bottino sarà da dividere. E chi invece è un cane sciolto e fa tutto da solo. I più giovani e chi corre più veloce sono in prima fila. Sanno che manca poco al via. E se qualcuno durante la corsa in questa «pista» sterrata cade, rischia che gli altri gli passino sopra.

Come ad un segnale prestabilito, che si ripete tutti i giorni, le guardie si spostano e inizia la corsa. Bisogna avanzare veloci per arrivare primi. E come uno sciame di formiche impazzite i «guaqueros» si buttano sulla terra scaricata e freneticamente iniziano a scavare. Si spintonano, allungano le mani, gridano, imprecano. Veloci come saette iniziano a riempire i sacchi di iuta. In pochi metri quadrati più di trenta persone in ginocchio, il sacco di iuta tra le gambe, gli occhi fissi verso il basso, decine e decine di mani che scavano. E appena uno dei sacchi è pieno subito si passa a riempire l’altro. La stessa scena si ripete intorno, sugli altri cucuzzoli di terra scaricata. Una polvere nera come carbone si alza nell’aria e si attacca alla pelle. Dopo poco tempo sono tutti completamente neri, come spazzacamini ricoperti di fuliggine, e dai loro volti risaltano solamente gli occhi. I più anziani faticano a trovare il loro posto in prima fila.

«Sono molti anni che oramai vivo qui a Muzo», racconta Carlos, un vecchio con la barba bianca ispida e in testa un cappello di paglia, le mani piene di calli e pochi denti in bocca. «L’esperienza mi dice che anche se non arrivi primo, basta avere pazienza e fortuna perché anche nella terra che rimane si può trovare uno smeraldo». Ogni tanto si sentono urla concitate, sono le liti che scoppiano tra i «guaqueros» per accaparrarsi quello che sembra essere il posto migliore. Dopo circa un’ora la frenesia si attenua. Oramai la terra è stata spolpata. I cercatori di smeraldi, stanchi, si sdraiano a terra o sui sacchi pieni con i vestiti sporchi di fango, mentre gocce di sudore tracciano linee sui volti e sulle braccia annerite dalla polvere nera. Alcuni si scambiano pacche sulle spalle, altri si concedono una sigaretta sotto un albero ai margini della foresta intorno allo spiazzo di scarico. C’è chi ha lo sguardo scontento, sa già che il suo bottino sarà misero. Rivedo Isabella, i capelli sconvolti, il viso, le mani e i vestiti completamente sporchi. Guarda il suo risultato, tre sacchi pieni.

Ora bisogna organizzarsi per portare a spalla i sacchi che pesano fino a 50 chili giù a valle, ai fiumiciattoli che scendono dalla montagna e iniziare a lavare e setacciare la terra nella speranza di trovare qualche smeraldo. Intanto nella piccola piazza del villaggio si sono radunate le luccicanti e potenti jeep dei compratori di smeraldi. Aspettano come avvoltoi, seduti su panche di legno davanti a banchetti improvvisati. Sanno che i cercatori dovranno passare da loro se vorranno vendere le pietre verdi. E così, nel primo pomeriggio, quando l’umidità è così forte e il sudore fa attaccare le camicie alla pelle, ecco arrivare nella piazza del paese i primi cercatori ancora sporchi di terra nera. Tirano fuori dalle tasche piccoli pezzi di stoffa che srotolano delicatamente e iniziano a mostrare il risultato del loro faticoso lavoro: due o tre pietruzze, che all’apparenza sembrano vetro verde, ma che valgono molto di più. Sono smeraldi, magari non purissimi, ma sempre smeraldi.

Si cerca il miglior compratore, iniziano le trattative che alla fine porteranno ai «guaqueros» pochi pesos, ma sufficienti per continuare a vivere. Per i pochi che sono qui a vendere, molti sono ritornati nelle loro baracche, delusi da una infruttuosa mattinata di lavoro. Qualcuno si beve una birra. Tutti cercano di riposare per essere pronti a una nuova ricerca. Perché alle cinque del pomeriggio, come tutti i giorni, si tenterà di nuovo la fortuna, tornando a scavare nella terra scura come il carbone ai piedi della collina.