Mentre da ogni dove si alzano appelli ad aiutare Ghouta, ultimo epicentro dell’inferno in Siria, le agenzie internazionali vengono travolte dall’ennesimo giro di scandali, quelli riguardanti gli abusi sessuali a cui le donne siriane sarebbero state sottoposte in cambio di aiuti, cibo, passaggi in auto. Non da parte delle stesse Ong ma dei partners locali a cui gli operatori umanitari sono costretti ad affidarsi per avere accesso a certe regioni. Una situazione così diffusa ed endemica, stando alle testimonianze raccolte dalla BBC, che chiunque abbia ottenuto aiuti viene tacitamente accusato di aver venduto il proprio corpo. Non sono passati neanche venti giorni dall’inizio dello scandalo di Oxfam e la vicenda non fa quasi più notizia, andando a colpire un settore che ci metterà anni per ripulire la propria immagine dagli scandali. E a cercare di difendere il proprio operato davanti ai tentativi di screditare tutto il lavoro fatto e, da ultimo, di tagliare quei finanziamenti che molti governi sognano di poter rivolgere altrove, tanto più in una fase di crescita delle destre e dei populismi.
La storia tirata fuori dal «Times» l’8 febbraio punta l’indice contro Oxfam, una delle più grandi charities britanniche, e prende slancio dal clima del #MeToo e della lotta alle molestie sessuali per denunciare una storia del 2011, ampiamente risaputa e insabbiata, riguardante alcuni festini che il responsabile per Haiti, il belga Roland van Hauwermeiren, organizzava nella sua villa con ragazze, anche minorenni, pagate in cambio di sesso. L’uomo era stato allontanato dall’organizzazione a suo tempo ma senza che la vicenda fosse resa pubblica per timore di danneggiare la raccolta fondi. Era finito a lavorare per un’altra Ong senza che nessuno avvisasse sui suoi comportamenti, che stando alle ricostruzioni erano comunque noti da tempo, visto che anche in Chad nel 2006 c’erano stati dei precedenti. «Non sono sorpresa, l’industria degli aiuti preferisce il silenzio», spiega Linda Polman, giornalista olandese e autrice di vari libri di denuncia sull’Onu e sul settore umanitario, tra cui L’industria della solidarietà, del 2009. «Ma anche il giornalismo internazionale ha le sue colpe, i report esistevano, nessuno ha detto niente», prosegue, osservando come «ora che è venuto tutto fuori sono nervosi, sia da destra che da sinistra».
Davanti alla gravità delle accuse, Oxfam ha accettato di rinunciare ai finanziamenti statali in attesa che vengano messe in atto misure di salvaguardia sufficienti ad impedire il ripetersi di situazioni come quella di Haiti, tenendo conto del fatto che nelle ultime settimane sono state moltissime le testimonianze di chi ha raccontato quanto il ricorso alla prostituzione sia diffuso da sempre tra i cooperanti. «Ma gli stati non smetteranno mai di finanziare le Ong, che seguono molto spesso un’agenda governativa: un tempo era anti-sovietica, poi anti-Isis, ora anti-immigrazione», per la Polman, che sottolinea come «siamo tutti vincolati dai nostri obblighi internazionali, che sono funzionali alla nostra agenda interna. È molto problematico da un punto di vista etico, ma non finirà. E non sono i 10 euro che versiamo noi a contare – prosegue la giornalista – ma i fondi statali, che non finiranno mai». Certo, l’opinione pubblica conta e ora il settore dovrà darsi una nuova immagine per evitare di perdere prestigio, «ma di questi tempi lo stanno facendo tutti, pure l’NRA dopo la strage in Florida ha dovuto fare degli sforzi».
Per la Polman ci sono, ovviamente, delle differenze tra le varie Ong, e Medici senza frontiere è una di quelle da salvare. «Non accettano molti soldi dallo stato» e quando hanno avuto i loro problemi di molestie hanno agito senza aspettare che ci fosse uno scandalo. «Ma l’insieme dell’industria è troppo potente, creano repubbliche delle Ong, hanno la loro propria agenda. Sono colonialiste, arroganti e ricattano la gente con i loro soldi», prosegue la giornalista olandese, che cita il caso di Haiti, dove «l’industria degli aiuti ha minato le istituzioni pubbliche, sottraendo loro insegnanti, medici, personale qualificato grazie agli stipendi migliori e lasciando il paese in una condizione peggiore di quella in cui l’hanno trovato. Poi è il sesso a fare scandalo, ma i problemi sono tanti e ancora più radicati». La reporter cita l’audizione del capo di Save The Children, Kevin Watkins, che ha ammesso che il settore è come miele per gli uomini che cercano potere e che, ritrovandosi a decidere della vita e della morte delle persone, perdono ogni freno.
Anche Valentina Furlanetto, giornalista del «Sole 24 Ore», ha scritto un libro sul settore degli aiuti, sul mondo delle Ong e delle Onlus. Anche in questo caso la parola usata nel titolo è evocativa (quello della Polman in lingua originale suona più come «la carovana della crisi»): L’industria della carità del 2013. La cronista attacca soprattutto la scarsa cultura della trasparenza che esiste in Italia. Bilanci illeggibili, a condizione che siano disponibili, pratiche discutibili nascoste dietro l’aura di santità che il settore si porta dietro da sempre: alcune associazioni continuano a raccogliere fondi anche una volta che hanno raggiunto gli obiettivi e poi investono il surplus in titoli. «Non si può dire che le Nazioni Unite dopo il Ruanda e la Bosnia siano migliorate», osserva Furlanetto. E allora che fare? «Non mi tirerei indietro dal salvare i bambini, però starei molto attenta ai bilanci prima di fare donazioni», spiega.
Lo scandalo di Oxfam ha avuto l’effetto di travolgere molte altre charities. I risvolti della storia hanno toccato anche un’icona come Jo Cox, la deputata laburista uccisa alla vigilia del referendum sulla Brexit da un estremista di destra: il marito Brendan, rimasto solo ad occuparsi dei due figli piccoli, è stato costretto a dimettersi dalle associazioni create per portare avanti l’eredità morale della politica dopo che è emersa una serie di brutte, bruttissime storie sul suo comportamento passato a Save the Children. Non solo molestie piuttosto pesanti – ha afferrato una donna per la gola dicendole che voleva avere un rapporto con lei, le più anziane erano costrette a fare le ronde durante le feste aziendali per evitare che infastidisse stagiste e nuove leve – ma anche una serie di comportamenti arroganti da un punto di vista professionale che ne hanno segnato la repentina caduta dal piedistallo di semisantità in cui era salito quando, a poche ore dall’uccisione della moglie, aveva saputo trovare le parole giuste per placare l’odio di quelle giornate terribili alla vigilia del referendum sulla Brexit.
Erano anni che all’interno del partito conservatore gente come Priti Patel, ex ministro per gli Aiuti internazionali, cercava di tagliare i fondi alle Ong al di sotto di quello 0,7% del prodotto interno lordo a cui il Regno Unito si attiene. Ma in un Paese che per la prima volta fatica a guardare al di là dei propri confini, la retorica della chiusura che si è dimostrata vincente con la Brexit potrebbe esserlo per una seconda volta. Anche perché uno dei pilastri su cui si basa la cooperazione sta venendo meno, in termini di sensibilità: la cultura dell’uomo bianco che aiuta l’uomo nero bisognoso e incapace di badare a se stesso è difficile da giustificare, soprattutto dopo che certe tendenze sono state reiterate per anni nonostante le critiche e gli appelli. Tra queste spicca soprattutto l’utilizzo di foto di bambini smunti e smarriti – tutti citano le immancabili mosche intorno agli occhi per accrescere il sentimento di pena – per fare raccolta fondi: saranno efficaci, ma a che prezzo per la dignità loro e delle popolazioni locali?