Già prima della votazione federale sulla riforma fiscale e sociale, alcuni esperti esprimevano il timore che i 2 miliardi di franchi destinati all’AVS a partire del 2020 avrebbero potuto rallentare i lavori di riforma indispensabile al primo pilastro delle nostre assicurazioni per la vecchiaia. Tuttavia non per molto tempo, poiché si poteva constatare che al massimo questi miliardi sarebbero serviti ad alleggerire il fondo AVS solo fino al 2022, anche se accompagnati da un aumento dei contributi a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro.
La situazione odierna è però tale da non suscitare entusiasmi anche dopo l’esito positivo della votazione popolare. Infatti, già nel 2018 l’AVS ha chiuso con un passivo di 2,2 miliardi di franchi e, in base ai dati più recenti, si prevede che l’assenza di disavanzi durerà al massimo fino al 2024, mentre nel 2025 tornerà a mancare circa mezzo miliardo a copertura delle spese previste. Di questo passo all’AVS, nel 2030, mancheranno circa 4,5 miliardi di franchi, se non si provvede per tempo al risanamento.
Il Consiglio federale ha comunque già pronto un piano di intervento che prevede un aumento dello 0,7 per cento dell’IVA che frutterebbe 2,5 miliardi di franchi nel 2030. Così pagherebbero un contributo anche gli attuali beneficiari di rendite, mentre resta pure fisso l’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, con un leggero aumento delle rendite dei primi 10 anni di pensionamento. Il progetto verrà presentato in agosto, ma non si sa quanto tempo servirà al Parlamento per approvarlo.
Nel frattempo, anche la previdenza professionale (secondo pilastro) non sta molto meglio. Nel sistema dei tre pilastri si basa essenzialmente su un capitale accumulato durante gli anni di lavoro, alimentato sia dal lavoratore, sia dal datore di lavoro. Il suo scopo è quello di garantire un livello di vita sulla base di una rendita che, assieme a quella dell’AVS, deve garantire circa il 60% del reddito ottenuto prima del pensionamento. La situazione è però evoluta in modo tale che il presupposto del capitale accumulato che garantisca la rendita di vecchiaia non può essere realizzato. Attualmente molte casse pensioni devono ricorrere alle loro riserve per garantire il pagamento delle pensioni, cioè soldi che non sono stati risparmiati da chi oggi li percepisce. In sostanza, avviene un travaso di fondi dagli assicurati attivi verso i pensionati. Si calcola che questo travaso abbia raggiunto, già nell’anno 2015, i 5,3 miliardi di franchi a livello globale. Anche il secondo pilastro, come l’AVS, soffre dell’invecchiamento della popolazione (quindi dell’aumento del numero di pensionati), ma soprattutto del lungo periodo di scarso rendimento dei capitali accumulati, a causa del persistere di un basso livello dei tassi di interesse.
Questa situazione fa sì che l’obiettivo del 60% del reddito precedente il pensionamento non venga raggiunto in molti casi. Da qui l’importanza crescente che va assumendo il terzo pilastro, cioè il risparmio individuale privato. Concepito per finanziare spese che possono eccedere il citato 60%, serve oggi sempre più per colmare importanti lacune previdenziali, provocate dai due primi pilastri. Sempre più spesso si sente perciò consigliare, a chi ne ha la possibilità, di incrementare questi risparmi, che possono tornare molto utili negli anni di pensionamento.
Anche lo Stato favorisce questo risparmio in due modi. Con il cosiddetto pilastro 3a si possono collocare a risparmio oggi 6’768 franchi all’anno, per lavoratore dipendente, che possono essere dedotti dal reddito imponibile per le imposte. Lavoratori indipendenti non affiliati a una cassa pensione possono dedurre 33’840 franchi. Al momento di riscuotere il capitale risparmiato, il fisco non assimila questo capitale al resto della tassazione, ma lo tassa a parte e, in alcuni casi, anche con un’aliquota favorevole. Per il pilastro 3b non ci sono limiti, ma non ci sono neppure trattamenti fiscali privilegiati. In questo caso, sia le banche, sia le assicurazioni offrono soluzioni adeguate ai singoli casi.
Un problema per queste forme di risparmio può nascere dal rischio che si può correre. Di regola gli investimenti avvengono a lunga scadenza, il che tende ad aumentare i rischi, ma anche a compensare momenti di difficoltà con altri più favorevoli.
Questo mercato si è molto allargato negli ultimi anni, soprattutto per il risparmio bancario, anche tramite il pilastro 3a. Non va però dimenticato che questo risparmio è soggetto a certi limiti. Il capitale può essere ritirato al massimo cinque anni prima del pensionamento, salvo nel caso dell’acquisizione della propria abitazione, del finanziamento di una propria attività, o il rimborso di debiti ipotecari, nonché in qualche caso particolare. Anche nel caso di un ritiro anticipato del capitale è bene pensare alle future necessità di completare le rendite dei due primi pilastri e, quindi, mantenere una certa quota di terzo pilastro.