L’Europa nella morsa di Mosca e Pechino

La Russia insegue l’antica grandezza imperiale e la Cina sfida l'Occidente sul piano dell’economia e della finanza
/ 24.01.2022
di Federico Rampini

Mentre Joe Biden lancia avvertimenti a Vladimir Putin per scongiurare un attacco russo all’Ucraina, è l’Europa che dovrebbe aprire gli occhi sulla manovra a tenaglia con cui gli imperialismi altrui minacciano i suoi interessi vitali. Il pericolo più immediato e visibile è quello russo; quello più insidioso nel lungo periodo viene dalla Cina. Mosca ha nostalgia della sfera d’influenza che ebbe all’epoca degli Zar e dell’Unione sovietica. «Gigante paranoico», da secoli la Russia è afflitta da una sindrome legata alla sua storia e geografia. Ha la superficie più vasta del pianeta. Non ha però barriere naturali, come lo sono per esempio i due oceani che proteggono l’America. La Russia è stata invasa da tutti: mongoli e svedesi, francesi e tedeschi. Ha reagito annettendo Paesi vicini, per allontanare le frontiere esterne da Mosca e San Pietroburgo. Oggi questa logica detta le due azioni più recenti di Putin: la minaccia d’invadere l’Ucraina; l’intervento «di ordine pubblico» in Kazakistan.

Sull’Ucraina Putin alterna due narrazioni, una nazionalpopolare e romantica sulla comune identità ancestrale russo-ucraina; l’altra vittimistica sul presunto tradimento delle promesse americane dopo la caduta del Muro di Berlino (la Nato non si sarebbe mai allargata ad est; in realtà l’esistenza di quell’impegno è controversa, comunque non fu mai sancito in modo formale). In Kazakistan le truppe russe sono intervenute a puntellare il regime contro le proteste popolari e riaffermare l’egemonia di Mosca sulle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.

La debolezza dell’Occidente è evidente. In Ucraina gli Stati uniti non hanno interessi vitali da difendere, tanto più da quando hanno l’autosufficienza energetica. Biden esclude un intervento militare per contrastare l’eventuale invasione russa. Prepara sanzioni economiche, che su Putin hanno un effetto minimo. L’Europa è la vittima predestinata. Si è messa in una debolezza estrema con la sua dipendenza dal gas russo. I tedeschi ci hanno aggiunto sordidi conflitti d’interessi da quando il loro ex cancelliere Gerhard Schroeder entrò nel consiglio d’amministrazione di un gigante energetico russo. Se cade l’Ucraina è l’Europa che vede avvicinarsi le truppe russe ai suoi confini. Le chiacchiere sulla nuova Difesa europea restano tali. Le bollette salgono; per lo shock energetico soffrono cittadini e imprese dell’Unione europea.

Il Vecchio continente deve fronteggiare almeno quattro sfide altrettanto insidiose da parte della Cina. La prima: per i suoi rapporti con Taiwan la piccola Lituania è incappata in durissime sanzioni economiche decise da Pechino. Ma l'Ue è un blocco commerciale unico, non può ammettere che un singolo membro sia separato e punito da solo. Difendere la Lituania varando contro-sanzioni sul made in China può costare caro agli altri Paesi, non difenderla significa cedere su un principio irrinunciabile. Secondo. L'Europarlamento ha lanciato un allarme per la penetrazione sempre più forte della Cina nei Balcani, di fatto una manovra parallela a quella russa in Ucraina; è con l’economia e la finanza che Xi Jinping indebolisce il fianco più scoperto dell'Ue.

Terzo. La crisi del gas ha una concausa cinese: l'America che è ricca di gas potrebbe aiutare gli europei a emanciparsi dall'eccessiva dipendenza dalla Russia (ogni presidente da Barack Obama in poi ha promesso di farlo); invece tante esportazioni di gas liquefatto americano sono dirottate verso la Cina che le strapaga. La Casa Bianca può fare poco, la logica di mercato riorienta le navi cisterna cariche di gas verso il cliente più redditizio. Quarto. Il problema più inquietante nel lungo periodo: per accelerare la transizione verso zero emissioni, e anche per ridurre la dipendenza dal gas russo, l'Europa rischia di finire nelle braccia della Cina che ha un semi-monopolio su materie prime e componentistica dei veicoli elettrici. Le cellule di litio necessarie per le batterie delle auto elettriche vengono prodotte per il 79% in Cina, solo per il 7% in Europa e altrettanto negli Stati uniti. Inoltre la Cina controlla l’80% dei prodotti chimici usati nelle batterie al litio.

Vista dagli Stati uniti, l’Europa non ha le risorse militari per dissuadere Putin in Ucraina. Non ha quelle economiche, energetiche, tecnologiche, né soprattutto la coesione politica, per divincolarsi dalla manovra a tenaglia russo-cinese. È anche un’Europa culturalmente impreparata di fronte al riemergere di antiche logiche imperiali. Una parte dell’opinione pubblica si è illusa di poter condurre la politica estera in base a principi morali e valori nobili; ha dimenticato che invece essa avviene sul terreno degli interessi nazionali e dei rapporti di forze, con un peso determinante per la componente militare.

Oggi c’è una scuola del «realismo politico» che preme per una revisione della strategia verso Mosca. A Berlino e in altre capitali europee l’argomento è questo: la Russia è un gigante di cui abbiamo bisogno sia come fornitore di energia (finché il gas sarà necessario, cioè a lungo) sia come sbocco per le nostre merci. L’escalation delle sanzioni ha inflitto forse più danni alle imprese dell’Europa occidentale che non allo stesso Putin. I regimi autoritari hanno una notevole capacità di resistenza alle sanzioni: basti vedere Cuba, la Corea del Nord, l’Iran. Infine la potenza militare russa impone delle concessioni, visto che le opinioni pubbliche dell’Europa occidentale sono pacifiste e restìe a forti aumenti di spese per la Difesa.

A questi argomenti del Vecchio continente si affianca un pensiero che viene dalla tradizione della realpolitik americana, quella che ispirò Richard Nixon ed Henry Kissinger a compiere la svolta strategica del 1971-72: l’apertura alla Cina di Mao. Quella mossa geniale consentì all’America di legarsi all’avversario allora più debole (Pechino) per indebolire quello che all’apice della guerra fredda era il nemico più forte (Mosca). Oggi alcuni fautori della realpolitik rimproverano a Washington di aver spinto Putin nelle braccia di Xi Jinping, rendendo ancora più forte una Cina che è l’unica vera minaccia per la sicurezza degli Stati uniti nel lungo periodo.

Il limite del realismo politico è che non fa i conti con gli obiettivi di Putin. Le richieste che avanza sono rivelatrici: vuole tornare allo status quo ante 1989, ricacciare la Nato entro i suoi confini della guerra fredda, ricostituire una sfera d’influenza russa che riproduca quella sovietica. In nome della sicurezza di Mosca, l’Occidente dovrebbe impegnarsi non solo a non allargare mai più la Nato, ma a ritirarne le forze effettive dai Paesi dell’est che ne sono già membri, abbandonando a un’insicurezza permanente gli alleati baltici o polacchi. Putin non ha nostalgie di comunismo – si circonda di oligarchi miliardari ed è alleato con la chiesa ortodossa – però la sua politica estera rivela una continuità geopolitica che va dagli Zar a Stalin: la coerenza ancestrale dell’imperialismo russo. 



Abbonamenti
Inserzioni pubblicitarie
Redazione
Migros Ticino
Migros
Scuola Club
Percento culturale Migros Ticino
ACTIV FITNESS Ticino
Impressum
UGC
Informazioni legali
Mappa del sito