L’Europa che puoi tenere in tasca

Vent’anni fa cominciava a circolare l’euro, la moneta unica dell’Ue che non ha sempre avuto vita facile. Ecco perché
/ 24.01.2022
di Alfredo Venturi

Sembrava di avere l’Europa in tasca. Sono passati ormai 20 anni e non ci si fa più caso, ma fu proprio questa la sensazione dei primi tempi di vita dell’euro, quando divenne possibile valicare tante frontiere senza ricorrere ai cambiavalute. La circolazione multinazionale della nuova moneta aveva rapidamente mescolato, a partire dal gennaio 2002, quei dischetti provenienti da Paesi diversi, e fino a quel momento gelosi custodi delle rispettive divise nazionali. Mentre i 7 tagli delle banconote erano e sono identici in ogni dettaglio, le 8 monete metalliche avevano e hanno una faccia comune, l’altra affidata all’estro dei singoli Stati. E così eravamo di fronte a richiami simbolici di varia natura come i volti dei regnanti per i Paesi monarchici, la Marianne francese, la Porta di Brandeburgo tedesca, il leonardesco uomo vitruviano per l’Italia, persino l’antica sacra civetta che la Grecia aveva riproposto ispirandosi al tetradramma ateniese di venticinque secoli prima.

Erano 12, allora, i Paesi che avevano deciso di rinunciare alle valute nazionali per dare una spinta decisiva al processo dell’integrazione europea. L’euro si era affacciato sui mercati finanziari tre anni prima di diventare effettiva moneta di scambio prendendo il posto di marchi, corone, lire, franchi, fiorini. Negli anni successivi l’Eurozona si è gradualmente allargata e altri simboli hanno cominciato a circolare, come la croce maltese a otto punte. Oggi sono 19 i Paesi dell’euro, nello spirito dei trattati dell’Ue l’adesione rimane aperta: basta rispettare certi parametri relativi al debito e al deficit di bilancio, impegnarsi dunque a una politica di rigoroso controllo dei conti pubblici. In realtà si è fatto un largo ricorso alle deroghe, altrimenti l’Eurozona sarebbe decisamente più ristretta.

Al di là della visione europeista, le motivazioni che hanno portato alla nascita dell’euro sono state piuttosto disparate. Mentre molti Paesi tradizionalmente afflitti da scompensi inflazionistici, come l’Italia o la Grecia, hanno individuato nella valuta comune un’ancora di stabilità, altri come gli Stati dell’Europa settentrionale hanno inseguito la finalità di una valuta continentale che affrontasse il mercato con una forte massa critica. Atipico il caso della Germania, dove l’innovazione valutaria innescò aspre polemiche. Il Governo federale aveva sacrificato la sua fortissima valuta, il marco, sull’altare dell’euro perché sentiva il bisogno, dopo la riunificazione nazionale e i serpeggianti timori determinati dalla nascita di uno Stato tedesco di ottanta milioni di abitanti che qualcuno già chiamava Quarto Reich, di rassicurare l’Europa e il mondo. Siamo economicamente potenti, questo il messaggio, ma come parte integrante di un Continente sempre più unito.

Del resto l’avventura dell’euro è stata accompagnata da proteste e polemiche in molti Stati. Per esempio i valori di scambio con le precedenti valute nazionali, decisi sulla base dei dati disponibili al momento, furono più volte contestati. Poi il dibattito prese di mira la mancata o insufficiente vigilanza sull’andamento dei prezzi che aveva portato a una strisciante inflazione di fatto. Più tardi, e fino ai nostri giorni, si è sviluppata in molti Paesi una forte corrente polemica da parte di euroscettici e sovranisti, nostalgici di quella autonomia monetaria che permetteva ai Governi di agire senza remore, per esempio stampando moneta in tempi di crisi senza dover dipendere da un organismo sovranazionale come la Banca centrale europea. Altre critiche hanno investito proprio la Bce, accusata per difetto di legittimità democratica.

Navigando fra tutti questi scogli la nuova moneta si è gradualmente affermata nel mondo, fino a insidiare il quasi solitario primato del dollaro e a diventare la seconda valuta di riserva, con una presenza media nei caveau delle banche centrali compresa fra un quinto e un quarto del totale. Oltre che nell’attuale Eurozona, un blocco di quasi 350 milioni di abitanti, la valuta unica circola anche in alcuni Stati, come Andorra, Monaco, San Marino o la Città del Vaticano, che già erano legati dal punto di vista valutario a membri della comunità monetaria come la Francia o l’Italia. Inoltre ci sono state adesioni unilaterali, come quelle del Kossovo e del Montenegro, dove la moneta circola senza che quei Paesi facciano parte dell’Eurogruppo. Di fatto, considerando i dipartimenti francesi d’oltremare come Martinica e Guadalupa, le regioni autonome spagnole e portoghesi come le Canarie, Ceuta, Melilla, le Azzorre e Madera, la valuta comune circola anche al di fuori del Continente europeo. E del resto è accettata quasi dappertutto come mezzo di pagamento.

L’euro non ha avuto sempre vita facile. Dieci anni dopo la sua introduzione come moneta circolante, in seguito alla crisi finanziaria internazionale che si trascinava ormai dal 2008 alcuni Paesi dell’eurozona, praticamente tutto il fianco sud più l’Irlanda, si trovarono in una situazione di gravissima difficoltà a causa di esorbitanti debiti pubblici. Chiesero dunque alla Bce di emettere nuova moneta, ma il parere delle «formiche del nord», i Paesi virtuosi cioè, Germania in testa, che avevano i conti in ordine, era diverso da quello delle «cicale del sud». La speculazione cercò di approfittarne, si profilava una rottura forse irreparabile che poteva segnare la fine della moneta comune. A questo punto il presidente della Bce Mario Draghi tenne un discorso a Londra in cui sostenne che in realtà l’euro era molto più forte di come poteva apparire. Lo paragonò a un bombo, quel grosso insetto che secondo le leggi della natura non potrebbe volare e invece se ne va tranquillo di fiore in fiore. In ogni caso, aggiunse, la Banca centrale farà tutto quello che serve (whatever it takes) per arginare la speculazione contro la moneta europea.

E così, grazie al massiccio intervento della Bce, la burrasca passò e l’euro riprese la sua navigazione fra le grandi valute internazionali, diffondendo con le sue banconote illustrate dagli archi e dai ponti della tradizione architettonica europea un messaggio di apertura, di comunicazione, di dialogo. Insomma il bombo vola, eccome se vola, nonostante gli assalti speculativi e i mugugni sovranisti.