L’esperimento di Vò

Pandemia – Il paese padovano, dove il 21 febbraio si è registrato il primo morto per Covid-19, è diventato il centro di un’estesa campagna di diagnostica molecolare, tracciamento e isolamento dei contagiati
/ 04.05.2020
di Luigi Baldelli

«Abbiamo fatto squadra con senso civico, condividendo i progetti». Esordisce così Giuliano Martini, sindaco di Vò, parlando della popolazione di questo piccolo paese dei Colli Euganei, 3300 abitanti, che ha conquistato le prime pagine per essere diventato la prima zona rossa insieme a Codogno e per aver avuto il primo morto di coronavirus in Italia. Ma Vò ha saputo anche riscattarsi, passando dall’immagine di untore a quella di «laboratorio contro la lotta del Covid-19».

Venerdì 21 febbraio, Adriano Trevisan, 78 anni, pensionato di Vò, muore di Covid 19 all’ospedale di Schiavonia. Due giorni dopo Vò viene dichiarata zona rossa. «Siamo stati subito considerati degli appestati – mi dice Katia, proprietaria della tabaccheria sulla piazza principale. Se andavamo in ospedale avevano paura di noi, i fornitori non venivano più in paese». Ma nella sfortuna, Vò ha saputo trovare il lato positivo della medaglia. Gli scienziati e studiosi dell’università di Padova, anche contro il parere dell’Oms, hanno capito che questo piccolo centro, conosciuto nel mondo dell’enologia perché produce il 40% del vino dei Colli Euganei, poteva diventare un caso quasi unico per lo studio del virus. Quindi viene fatto subito un primo tampone a tutti gli abitanti, isolati i circa 100 positivi (un numero altissimo se rapportato alla popolazione) e tutti quelli venuti in contatto con loro vengono messi in quarantena, si studiano le parentele e i sintomi.

Questo monitoraggio globale ha permesso alla comunità scientifica di capire come si era sviluppato e diffuso il virus. Un quadro chiaro e completo. Che porta alla luce un dato grave: il numero degli asintomatici in grado di passare il virus era del 43%. Sulla base di questa ricerca, l’Università di Padova dopo 10 giorni fa eseguire un secondo tampone e la popolazione di Vò risponde di nuovo in massa. Si trovano altri 8 positivi. I nuovi dati raccolti permettono agli studiosi di calcolare che chi non è infetto ma vive a contatto con persone infette ha l’84% di possibilità in più di ammalarsi rispetto a chi vive insieme a persone non contagiate. Chi ha avuto l’intuito di portare avanti l’esperimento e gli studi scientifici a Vò sono stati il virologo Andrea Crisanti e il professor Stefano Merigliano. Il primo ha detto che le misure attuate a Vò insieme alla grande collaborazione della gente, hanno permesso di ridurre R0 del 98% (R0 è il valore che misura la diffusione del virus, valutando il numero di persone che vengono contagiate da ogni persona infetta dal virus). «Noi non sappiamo come è arrivato il virus qui da noi – mi dice ancora il primo cittadino di Vò, forse portato da qualcuno di passaggio che ha dormito nella locanda-bar dove ci sono stati i primi otto contagi».

«Vò è un paese agricolo, un centro di passaggio – continua il sindaco, è pieno di agriturismi e aziende vinicole. Per noi esserci trovati nell’occhio del ciclone è stata dura. Il nostro centro operativo riceveva dalle 400 alle 500 telefonate al giorno». Essere un piccolo paese relativamente facile da gestire ma nello stesso tempo abbastanza grande da poter avere numeri consistenti utili a ricerche scientifiche, ed essere diventato immediatamente zona rossa: queste sono state le condizioni che hanno portato Vò ad essere il laboratorio vivente a cielo aperto dove studiare il Coronavirus ed avere una fotografia chiara della sua diffusione. Tutti, dal sindaco agli scienziati, riconoscono che tutto ciò è stato possibile anche grazie alla grande collaborazione di tutta la popolazione che si è sottoposta al tampone.

Ma la ricerca non si ferma qui. Da venerdì 1 a lunedì 4 maggio verrà fatta una nuova mappatura a tutti i cittadini, che permetterà di studiare il genoma. Un progetto che durerà sei mesi e che permetterà, come dice il professor Crisanti «di capire cosa succede quando il virus si trasmette da un individuo all’altro, sequenziare il genoma di chi è stato positivo, le catene di contagio e vedere se lascia tracce mutando dall’uno all’altro». Uno studio davvero ambizioso, unico al mondo e di grande importanza sociale. «Siamo orgogliosi per noi e per l’intera comunità – mi dice il benzinaio sulla piazza, mentre è intento a lavare un’automobile, abbiamo capito l’importanza di questo progetto. Noi siamo gente così, ci conosciamo tutti – continua mentre passa la pezza bagnata per pulire il cofano dell’automobile, abbiamo dei valori molto forti».

Qui, se non si fosse corsi subito ai ripari, ci sarebbe stata una strage. Stime dicono che i morti avrebbero potuto arrivare fino a 150. Invece sono stati solo tre. E non c’è stato un singolo caso di Coronavirus nelle ultime otto settimane. «Ora dobbiamo dimostrare che abbiamo preso in mano la situazione» dice il sindaco, mentre si allontana per partecipare ad una riunione per organizzare al meglio il prossimo test.