L’eredità di un anno pieno di sorprese

Nel 2017 dobbiamo attenderci risposte a questioni di importanza essenziale aperte nel 2016
/ 02.01.2017
di Alfredo Venturi

Prima di tutto occorre guardarsi dalle fantasie superstiziose, visto che il passaggio dal bisestile 2016 all’anno numero 17 potrebbe indurci a fare gli scongiuri di rito. Purtroppo i dodici mesi appena trascorsi sembrano confermare nei fatti la pessima nomea degli anni con un giorno in più. Il bilancio è tremendo: guerre, terrorismo, democrazie alla prova del fuoco. E come se tutto questo non bastasse, terremoti devastanti e disastri climatici. Ora auguriamoci che il neonato 2017 si scrolli di dosso lo stigma del numero marchiato fin dall’antichità da una solenne parola greca: eptacaidecafobia, paura del diciassette. Non sarà facile, perché l’anno parte gravato da una pesante eredità. Al di là delle divagazioni scaramantiche, il nostro orizzonte è realmente oscurato da molte nubi.

Il problema principale che il 2016 affida al 2017 ha tre facce: è un trittico costituito dalla pressione migratoria, dal terrorismo e dal rapporto che intercorre fra i due elementi. I flussi che dalle aree di crisi ci portano ondate di profughi sono inarrestabili: si tratta di un fenomeno epocale che ha i connotati oggettivi dell’evento fisico, è il principio dei vasi comunicanti applicato alla demografia planetaria rimescolata dalla ricerca di migliori condizioni di vita. Si tratta di organizzare quei movimenti, di gestirli con una duplice attenzione: ai valori e agli interessi. Finora non è accaduto, è prevalsa l’irrazionalità delle reazioni istintive, gli interessi interpretati in modo angusto hanno preso il sopravvento e quanto ai valori sono finiti in secondo piano.

L’Europa spesso risponde erigendo muri, l’America fa lo stesso lungo la frontiera messicana, e tanto più lo farà dopo l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca. Mentre gli egoismi nazionali rischiano di sgretolare l’Unione Europea, i Paesi mediterranei investiti dall’ondata dei profughi vengono lasciati soli, o quasi, di fronte alla pressione esercitata dall’Africa e dal Medio Oriente. La cancelliera Angela Merkel difende il principio di solidarietà, secondo il quale è doveroso accogliere chiunque sia minacciato nel luogo d’origine da guerre o persecuzioni: e questo immediatamente ridimensiona la sua popolarità. Perché i flussi dei migranti fanno paura, vengono etichettati come invasione, l’Occidente si sente minacciato.

Altro dominante fattore di emergenza, il terrorismo. Nell’anno appena concluso si è sanguinosamente manifestato a Bruxelles, a Nizza, a Monaco di Baviera, a Berlino. Per tacere degli attentati che hanno investito la Turchia, la Siria, l’Iraq, il Pakistan, il Bangladesh, le Filippine. Uno stillicidio di bombe, auto esplosive, kamikaze, e poi la tragica novità dei camion lanciati a falciare la folla. Il bilancio delle vittime è sconvolgente, e lo sarebbe ancor più se non si fossero fatti importanti passi avanti nel coordinamento internazionale delle attività di polizia. Infatti alle stragi che hanno occupato le prime pagine bisognerebbe accostare quelle che sono state scongiurate per tempo. Bombe disinnescate delle quali non si parla abbastanza.

Si parla molto invece di quello che siamo abituati a considerare il principale attore del dramma terroristico, lo Stato islamico o Isis, o Daesh. Sta subendo colpi nei suoi santuari territoriali in Iraq, Siria e Libia e proprio per questo, si dice, tenta di rifarsi attaccando in Europa, rimpatriando i miliziani stranieri sopravvissuti alla guerra e incaricandoli di scatenare l’inferno fra gli infedeli. Di fatto i più recenti attentati sono lontani dall’efficienza organizzativa di quelli, per esempio, che nel 2015 colpirono la Francia. Appaiono per lo più opera di cani sciolti, o lupi solitari che siano, iniziative individuali non coordinate, delle quali l’Isis rivendica la paternità visto che è lo stesso Isis a incitare alla lotta e a fornire in rete le istruzioni per l’uso. Siamo di fronte a un terrorismo diffuso, improvvisato, imprevedibile, che mette a durissima prova gli apparati di sicurezza.

Infine, a completare la triade, il rapporto fra migrazioni e terrorismo. Sono i profughi a portarci gli attentati? Dobbiamo sbarrar loro il passo e questo basterà per risolvere il problema? Sull’equazione migranti-terroristi giura chi è incline alla demagogia, attacca l’Unione Europea nel nome del «sovranismo» e accusa la Merkel per la sua politica delle porte semiaperte. È vero che molti attentatori hanno percorso le rotte dei migranti, ma c’è anche una forte componente di giovani cresciuti qui, spesso nati qui, mentre la massima parte dei profughi cerca solo sicurezza e lavoro. La controversa identificazione delle due realtà ha effetti assai concreti: si devono in parte a questo il successo degli isolazionisti britannici che hanno abbandonato l’Unione Europea e quello di Trump negli Stati Uniti.

Nel 2017 sono in programma alcuni cruciali appuntamenti politici e il tema delle migrazioni, del terrorismo e dell’intreccio fra i due fenomeni è destinato forse a decidere i risultati, certo a dominare le campagne elettorali. Come quella che culminerà nel voto olandese del 15 marzo, con il populista Geert Wilders che sulle ali dei sondaggi favorevoli potrebbe trionfare e quindi mettere in discussione la presenza dei Paesi Bassi nell’Unione Europea. Dopo la defezione britannica, l’uscita di uno dei sei fondatori della Comunità (accadde sessanta anni or sono, la ricorrenza sarà celebrata a Roma dieci giorni dopo le elezioni olandesi) potrebbe essere per l’Unione un colpo fatale.

Ancor più nevralgico il voto per la presidenza francese: due turni il 23 aprile e il 7 maggio. In un Paese fra i più tragicamente bersagliati dal terrorismo jihadista, una rabbiosa reazione popolare innescata dalla paura favorisce la visione oltranzista di Marine Le Pen: pugno di ferro con i migranti, recupero di una piena sovranità nazionale, al diavolo l’Unione Europea. Ultimamente l’ascesa lepenista appare un po’ frenata ma nei palazzi di Bruxelles è sempre allarme rosso. L’eptacaidecafobia poggia stavolta su basi piuttosto razionali.