«Io, la valigia l’avevo già fatta. Me ne sarei andato da solo, prima che me lo avessero chiesto», ricorda Paolo Larizza. La voce roca, quasi afona, ci racconta della domenica di votazione di cinquant’anni fa. Era il 7 giugno 1970. Quella domenica, gli svizzeri avrebbero deciso il suo destino e quello di circa un milione di stranieri, in maggioranza italiani, richiamati in Svizzera da un’economia in forte espansione nel secondo Dopoguerra. E quella domenica di cinquant’anni fa, i votanti maschi, perché allora il diritto di voto era concesso solo agli uomini, respinsero di stretta misura l’iniziativa Schwarzenbach che voleva limitare al 10% la popolazione straniera nella Confederazione. «Per noi fu una festa», continua Paolo Larizza, presidente storico dell’Associazione pugliese di Lyss. «Da quel giorno tutto è cambiato. Eravamo fieri di aver vinto questa battaglia». «Però noi siamo rimasti i “Tschingg”», lo incalza Pietro, anche lui pugliese di Monopoli. «Non ci voleva nessuno. Ci mandavano sempre via, dalla stazione, dai bar perché troppo rumorosi, perché dicevano che fischiavamo alle donne».
Nel Dopoguerra, l’immigrazione italiana incontra i pugni chiusi di una società elvetica che da una parte apre le porte alla forza lavoro, alle braccia, per citare una celebre frase di Max Frisch, ma che dall’altra non è disposta ad accogliere questa giovane, a volte chiassosa generazione di lavoratori. A 25 anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale, l’economia svizzera ha il vento in poppa. Vengono costruite autostrade, complessi residenziali, aree industriali, tunnel e linee ferroviarie. Dal 1950 al 1970, la proporzione di stranieri nella Confederazione passa dal 6,1% al 17,2%. Sono più di un milione, di cui la quota di italiani è del 54%. La massiccia presenza di operai, provenienti soprattutto dal meridione, suscita il malcontento popolare.
«Negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, la tesi dell’inforestierimento ritorna in voga nel dibattito politico», spiega Damir Skenderovic, professore di storia contemporanea presso l’Università di Friburgo. Il desiderio di porre un freno all’immigrazione da parte della popolazione viene sfruttato soprattutto da movimenti e partiti nazionalisti e xenofobi. «Nel 1961 viene fondato il partito Azione nazionale, partito nazionalista, isolazionista e della destra radicale, a cui aderirà James Schwarzenbach», continua Skenderovic. «Questo partito alimenterà ulteriormente la diffidenza nei confronti degli stranieri, soprattutto degli immigrati italiani».
James Schwarzenbach, figlio di un industriale tessile dell’alta borghesia zurighese, sfrutta il momento. Dopo la sua elezione in Consiglio nazionale nel 1967, lancia l’iniziativa detta Schwarzenbach, che chiede di limitare al 10% il numero di stranieri per cantone, eccezion fatta per la Ginevra internazionale, dove la quota ammessa è del 25%. James Schwarzenbach è la star del momento. Abile oratore e comunicatore, tribuno del popolo, riempie le sale, dove con cravatta e pipa si trova spesso a lottare da solo contro l’élite politica ed economica del Paese, raccogliendo così ulteriori simpatie tra i presenti. «Non dobbiamo dimenticare che una parte del partito socialista e dei sindacati era favorevole a questa iniziativa perché temeva il dumping salariale e la concorrenza sul mercato del lavoro», spiega lo storico Skenderovic, ricordando inoltre che James Schwarzenbach fece da apripista ai movimenti populisti di destra in Europa. «È il primo ad essere a capo di un partito populista, anni prima di Jean-Marie Le Pen con il Fronte nazionale in Francia, di Umberto Bossi con la Lega Nord in Italia o di Jörg Haider con il Partito della libertà in Austria. All’epoca, la Svizzera era diventata l’avanguardia del populismo di destra».
Deposta il 20 maggio 1969, dopo una raccolta firme durata pochi mesi, l’iniziativa «contro l’inforestierimento» viene posta al vaglio del popolo il 7 giugno 1970. La campagna in vista del voto si svolge in un clima teso, di rara virulenza. Il risultato viene atteso con grande ansia, in special modo dal mondo economico che da un giorno all’altro avrebbe dovuto fare a meno di circa 350 mila operai stranieri, costretti a lasciare la Svizzera. Per il settore industriale, dove il 35% della manodopera proveniva dall’estero, sarebbe stato un colpo difficile da sopportare. Con una partecipazione particolarmente alta, il 74,1% degli aventi diritto di voto si reca alle urne, l’iniziativa Schwarzenbach viene respinta dal 54% della popolazione e da 13 cantoni.
Il 46% sostiene però la lotta contro l’inforestierimento di James Schwarzenbach. Un risultato che pende come una spada di Damocle sulla politica degli stranieri in Svizzera. «Già nel marzo 1970, con un decreto il Consiglio federale decide di limitare il numero di lavoratori stranieri in Svizzera, spuntando un po’ le armi di Schwarzenbach», ricorda Damir Skenderovic. «Alla luce del risultato, negli anni seguenti le autorità cercano di adottare misure volte a favorire l’integrazione della popolazione straniera e a frenare l’immigrazione, per esempio fissando dei contingenti a livello nazionale. Inoltre, i membri del partito Azione nazionale vengono coinvolti nei processi legislativi e in vari consessi, per esempio nella Commissione federale consultiva per i problemi degli stranieri, istituita proprio nel 1970».
Sulla scia della quasi vittoria, James Schwarzenbach lancia due anni più tardi l’iniziativa popolare contro l’«Inforestierimento e la sovrappopolazione della Svizzera», mentre il Movimento repubblicano ne prende il testimone con la «Quarta iniziativa contro l’inforestierimento». Ambedue vengono bocciate: la prima con il 65,8% di no nel 1974, la seconda con il 70,5% di voti contrari nel 1977. «La perdita di consensi tra la popolazione si può spiegare in parte con la mutata situazione economica», illustra il professore di storia contemporanea dell’Università di Friburgo. «Nel 1974 scoppia la crisi del petrolio che causa una recessione a livello mondiale. In quel periodo si stima che circa 200 mila lavoratori stranieri lasciarono la Svizzera, un numero leggermente inferiore a quello previsto dall’iniziativa Schwarzenbach. La Confederazione esporta così la sua disoccupazione, riducendo l’impatto della crisi sul mercato del lavoro indigeno».
Negli anni seguenti, l’inforestierimento continua a dominare il dibattito politico: tra il 1978 e il 2016 vengono lanciate 12 iniziative per limitare l’immigrazione, un cavallo di battaglia cavalcato dall’inizio degli anni Novanta dall’Unione democratica di centro, questione che ne favorisce l’ascesa a livello nazionale. Nel frattempo, la società elvetica è cambiata: è multietnica. Il 40% degli svizzeri ha un background migratorio. Oggi si mangia più Mozzarella che Emmentaler, l’atmosfera che di sera si respira in piazza a Lyss o a Burgdorf sa d’italianità. La xenofobia non è più rivolta contro l’operaio italiano, di seconda o terza generazione, ma contro chi è diverso, per esempio i minareti o il burka. È così oggi, a cinquant’anni di distanza dall’iniziativa Schwarzenbach, Paolo Larizza si sente finalmente a casa, in Svizzera. «Il mio cuore – ci confida – è rimasto però dove sono nato, a Monopoli, in Puglia».