Quanta fatica, ma alla fine la revisione totale della Legge federale sul CO2 vede finalmente la luce. È stato un parto podalico. Nata sotto una cattiva stella nel dicembre 2017, la revisione è stata gettata alle ortiche dal parlamento nella sessione invernale del 2018. C’è voluta l’ondata verde per raccogliere e rimettere insieme i cocci dell’ultima legislatura. Allora, a far naufragare il progetto presentato dal governo ci aveva pensato un’alleanza tra rosso-verdi e Unione democratica di centro. La sinistra, con la complicità dell’UDC, aveva silurato la revisione dopo che i borghesi l’avevano annacquata e svuotata di ogni contenuto.
E così, nel 2019 si è ritornati alla casella di partenza, ma con una nuova ministra dell’ambiente, la socialista Simonetta Sommaruga, e con equilibri mutati a Palazzo. Infatti, le elezioni federali dell’ottobre scorso ci hanno consegnato un parlamento più giovane, femminile e soprattutto più verde. Un’ondata, quella ecologista, che ha investito anche il PLR, partito che in parte ha sposato la causa di Greta Thunberg e della gioventù per il clima.
Ratificando l’Accordo di Parigi nell’ottobre 2017, la Svizzera si è assunta l’impegno di ridurre entro il 2030 le proprie emissioni di anidride carbonica del 50 per cento rispetto al 1990. Il governo elvetico ha inoltre comunicato di voler raggiungere in trent’anni la neutralità climatica, ossia l’intenzione di emettere tanto gas a effetto serra quanto riescono ad assorbire i serbatoi tecnici o naturali di CO2, per esempio le foreste o il suolo.
«Chi inquina paga» è questo, in estrema sintesi, il principio che sta alla base della nuova legge sul CO2 con cui il parlamento definisce la politica climatica svizzera per il periodo 2021-2030. In futuro, per esempio, chi acquisterà una macchina di grossa cilindrata sarà chiamato maggiormente alla cassa. Il settore dei trasporti è, infatti, la pecora nera per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica. Ne emette quasi un terzo del totale, una quota rimasta praticamente uguale dal 1990, nonostante le prescrizioni per ridurne l’impatto ambientale. Tali sforzi sono stati vanificati dall’aumento dei chilometri percorsi e dal crescente acquisto di veicoli più potenti. Una tendenza che Consiglio federale e parlamento vogliono ora invertire, per esempio fissando quote di compensazione delle emissioni di CO2 più alte, fino al 90 per cento. Ciò causerà un incremento del prezzo di benzina e diesel fino a un massimo di 10 centesimi, rispettivamente di 12 cts dal 2025. Finora il sovrapprezzo alla pompa di benzina non poteva superare i 5 centesimi. Questa tassa sul CO2 andrà ad alimentare il fondo per il clima, per un massimo di 450 milioni di franchi, e verrà restituita alla popolazione, ad esempio per ridurre i premi delle casse malati, e alle imprese, attraverso una compensazione AVS.
In futuro, anche chi viaggerà in aereo dovrà allargare maggiormente i cordoni della borsa. La tassa sui biglietti sarà di 30 franchi per i voli a corto raggio, misura volta a favorire il traffico ferroviario, e di 120 franchi per quelli a lunga distanza. Il Consiglio federale avrà inoltre la possibilità di tassare maggiormente i passeggeri di business o prima classe. Occupando più spazio sui velivoli, questi causano infatti più emissioni di gas a effetto serra. A pagare sarà soprattutto il 5 per cento degli svizzeri, con un reddito netto superiore ai 12 mila franchi, che volano spesso e sono responsabili di circa un terzo dell’inquinamento provocato dal traffico aereo. Ad approfittare saranno, in maniera particolare, le famiglie dei cantoni di montagna e rurali, così ha evidenziato uno studio dell’istituto di ricerca Sotomo.
Come con la tassa sul CO2, parte del sovraprezzo sui biglietti d’aereo sarà ridistribuito all’economia e alla popolazione, mentre il 49 per cento confluirà nel fondo per il clima. Con queste entrate, stimate a circa un miliardo di franchi all’anno, si intende promuovere, per esempio, la riduzione delle emissioni di gas serra degli immobili, le innovazioni, come lo sviluppo di carburante più ecologico per gli aerei, la geotermia o il traffico ferroviario transfrontaliero, per esempio i treni notturni.
In Svizzera, circa un quarto delle emissioni di gas serra e il 40 per cento del consumo energetico sono imputabili al settore degli edifici. Un problema per l’ambiente che la Confederazione ha riconosciuto da tempo e che dal 2010 cerca di risolvere con il Programma edifici. Purtroppo, i risultati non sono ancora soddisfacenti: quasi due case su tre vengono ancora riscaldate con energie fossili. Così, governo e parlamento hanno deciso di aumentare l’imposta applicata ai combustibili (nafta) da 120 a un massimo di 210 franchi per tonnellata di CO2 emessa. L’obiettivo del Consiglio federale è di ridurre le emissioni degli edifici tra il 55 e il 60 per cento entro il 2030, di almeno l’80 per cento entro il 2050 rispetto al 1990.
Infine, diverse misure toccheranno l’industria, un settore che negli ultimi due decenni ha compiuto importanti progressi per ridurre il suo impatto sull’ambiente e che oggi genera circa un quinto delle emissioni in Svizzera. I provvedimenti volti a ridurre l’impronta ecologica dell’agricoltura, responsabile di quasi il 14 per cento dei gas a effetto serra, saranno invece definiti nel quadro della nuova politica agricola 2022.
In parlamento, l’Unione democratica di centro ha lottato da sola e invano contro «una legge che crea una società a due livelli, che accresce il divario tra popolazione urbana e rurale, che non cambierà nulla a livello di lotta al cambiamento climatico visto che Trump, Bolsonaro e Jinping, i maggiori inquinatori, non fanno nulla al riguardo», questo il tenore degli interventi dei deputati UDC Mike Egger, Pierre-André Page e Albert Rösti. Un dibattito che si sposterà prossimamente da Bernexpo alla piazza. Infatti, si prospetta un referendum popolare che l’UDC ha già detto di appoggiare.
Se l’Unione democratica di centro parla di salasso per il ceto medio, l’Alleanza per il clima, a cui fanno parte circa 90 organizzazioni della società civile, sostiene invece che le misure sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. «Piccoli passi verso una politica ambientale più incisiva dopo il 2020», si legge in una nota dell’alleanza che non vuole però tirare troppo la corda. Il rischio è infatti di vedere bocciare la legge dagli elettori, già provati dalla crisi causata dal nuovo coronavirus.
Ma possiamo rimandare alle calende greche l’adozione di una nuova legge sul CO2? La risposta è no. Il novembre scorso, un gruppo di esperti di Meteo Svizzera e del Politecnico federale di Zurigo ha illustrato alcuni possibili scenari climatici per la Svizzera. Se non si riuscirà a invertire la rotta, dobbiamo aspettarci da qui al 2060 estati più asciutte, forti piogge, periodi di canicola più frequenti, inverni poveri di neve. Uno scenario nemmeno tanto lontano, visto che alla fine di maggio, Meteo Svizzera ha comunicato di aver registrato per 12 mesi una temperatura media nazionale superiore alla norma 1981-2010 di 2 gradi Celsius, un riscaldamento climatico che ha subito un’accelerazione dall’inizio del XX secolo. E allora non possiamo più aspettare perché, parafrasando il senatore liberale lucernese Damian Müller «siamo la prima generazione a sentire gli effetti del riscaldamento climatico e siamo forse l’ultima a poter agire efficacemente contro le emissioni di gas serra».
Legge sul CO2: più verde, più cara
Lotta al cambiamento climatico - In futuro volare e guidare costeranno di più. Le Camere federali hanno fissato i paletti della futura politica climatica della Svizzera per perseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. L’ultima parola spetterà al popolo
/ 22.06.2020
di Luca Beti
di Luca Beti