L’economia da affitto breve ai tempi di Airbnb

Dibattiti – O tempora, o mores!, diceva già Cicerone nel 70 a. C. Che sulla recente rivoluzione nel settore degli affitti ci sia molto da scrivere è, però, indiscutibile
/ 18.11.2019
di Edoardo Beretta

Alla stregua di Uber, che ha rivoluzionato il settore dei taxi, così Airbnb sta decisamente trasformando il concetto di hotellerie oltre che di «affitto breve». Meglio ancora: l’idea imprenditoriale sottostante passa, da un lato, dalla prestazione di modalità decisamente nuove di ospitalità – per certi aspetti, anche più «familiari» (e meno costose); dall’altro, il ricorso ad un pernottamento in camera o appartamento in affitto nasce anche quale logica conseguenza di un settore alberghiero spesso con prezzi elevati, a meno che non si «incappi» in bassa stagione o offerte particolarmente vantaggiose. Per dirla diversamente ancora: come Uber è conseguenza di taxi troppo cari e Flixbus lo è stato con riferimento a tratte ferroviarie dai prezzi monopolistici, così Airbnb scaturisce anche dalla volontà di offrire modalità di pernottamento a minor prezzo rispetto ai tradizionali alberghi.

Certamente, gli hotel in generale dovrebbero effettuare – lo scrivo da loro fruitore rimasto sempre «leale» – un’analisi di coscienza, domandandosi se certi rincari avvenuti negli ultimi tempi o lo scorporo di servizi fino a qualche anno fa inclusi di default nel prezzo di base (ad esempio, la prima colazione) non siano stati la proverbiale goccia che ha fatto traboccare l’altrettanto simbolico vaso. Del resto, dati alla mano, l’indice dei prezzi al consumo (IPC) con riferimento a ristoranti ed alberghi nell’Area Euro ha segnato – l’anno base, il 2015, segnava un valore di 100 – un incremento del 10,57% da quel momento ad agosto 20191. Ciò detto, Airbnb fa leva su un’idea indiscutibilmente geniale, cioè imperniata di fatto sulla mera fornitura di un servizio di intermediazione fra fruitori ed host (cioè il titolare dell’appartamento/della camera in affitto) senza però soggiacere a quelle spese fisse della gestione di una struttura ricettiva come un albergo.

Nel contempo, però, Airbnb insidia concretamente l’hotellerie tradizionale, che rischia – come, ormai, il management privato come pubblico ci ha trasversalmente abituato constatare – di dovere incrementare ulteriormente le proprie tariffe, contribuendo così (in)direttamente ancor più al successo di una modalità di soggiorno alternativa. Contemporaneamente, però, è necessario interrogarsi sugli effetti sociali, che tale nuovo servizio alberghiero a pagamento potrebbe comportare. Da un lato, infatti, è evidente che i possessori di immobili secondari e/o locali affittabili ne traggano vantaggio economico – ancor più, evidentemente, laddove ciò avvenga su base saltuaria senza che i relativi introiti siano (interamente o parzialmente) noti alle autorità tributarie. Non da ultimo, nella vicina Italia, fino a febbraio 2019 Airbnb si è opposta al ruolo di «sostituto d’imposta» nella riscossione della cedolare secca all’atto del pagamento pari al 21%. Dall’altro, però, essere locatari, ma ancor più proprietari immobiliari in località e complessi sempre più caratterizzati da affitti brevi espone tali soggetti a conseguenze non indifferenti in termini potenziali di riservatezza, sicurezza, manutenzione straordinaria dell’immobile così come dispersione di rapporti sociali durevoli. In altri termini, un condominio dagli appartamenti affittati a breve tempo perderà senz’altro di valore, sebbene il locatore tragga un guadagno da un’attività analoga di hotellerie. In sintesi: si privatizzano i profitti e si socializzano le spese. Non si può, dunque, essere d’accordo con alcuni recenti studi3 – per quanto preliminari possano essere tali analisi – secondo cui Airbnb genererebbe un incremento generalizzato delle pigioni: stando a tali osservazioni, infatti, i proprietari immobiliari tenderebbero a ridurre la quota di affitti a medio-lungo termine, orientandosi verso locazioni sempre più a breve termine (in quanto remunerative) con conseguente rincaro di quelle più stabili. Al contrario, invece, pare piuttosto il caso per cui – se, da un lato, le pigioni presentino in generale comunque una tendenza all’aumento a fronte di dinamiche sempre meno scomponibili nei loro elementi – tali studi dimentichino il costo sociale derivante da un’eventuale attività di hotellerie sempre più «a ciclo continuo» in spazi non originariamente previsti con tali funzioni. Ancora, una volta, i policymaker rincorrono i cambiamenti.

Note

1. https://fred.stlouisfed.org/series/CP1100EZ19M086NEST.
2. Elaborazione propria da http://ipropertymanagement.com/airbnb-statistics.
3. https://hbr.org/2019/04/research-when-airbnb-listings-in-a-city-increase-so-do-rent-prices.