L’economia cresce, ma anche l’inflazione

Politica monetaria - Le banche centrali costrette a rivedere la propria strategia, ma con prudenza, mentre la Banca Nazionale Svizzera mantiene le sue posizioni e difende il franco contro una eccessiva rivalutazione
/ 27.12.2021
di Ignazio Bonoli

Gli ambienti economici e finanziari hanno seguito con particolare attenzione le comunicazioni di fine anno delle maggiori banche centrali. L’attesa era soprattutto quella di un cambio di politica monetaria, dovuto soprattutto alle spinte inflazionistiche che l’economia mondiale sta subendo. Era però prevedibile che un nuovo orientamento della politica monetaria avrebbe richiesto molta prudenza. E così è stato.

Perfino la Riserva federale americana, con un tasso di inflazione negli Stati Uniti vicino al 7%, si è mostrata prudente, annunciando comunque una serie di rialzi del tasso di sconto, tenendo conto di volta in volta dell’evoluzione del costo della vita. È però probabile che questo strumento principale della politica monetaria americana venga usato spesso e in modo pesante. Lo stesso nuovo presidente ha detto di trovarsi di fronte a una classica spirale prezzi-salari che potrebbe diventare difficile da controllare.

L’economia americana progredisce a un buon ritmo, ma si trova confrontata con un tasso di inflazione che non conosceva da quasi 40 anni a questa parte. Molte indagini constatano anche che i consumi della popolazione crescono pure a ritmo elevato. Grazie anche a un aumento dei salari che è ormai vicino al 5%. Alcuni economisti vedono avviarsi, in questa situazione, una classica spirale prezzi-salari, che le autorità monetarie faticano a contenere. C’è perciò chi teme nuove spinte al rialzo sui prezzi e se le autorità monetarie non si muovono per tempo, e con efficacia, rischiano di trovarsi in una situazione simile a quella degli anni Sessanta: prima un certo attendismo, e poi interventi pesanti. Anche allora, come oggi, si pensava che l’inflazione fosse temporanea e quindi si sarebbe ridotta sul medio-lungo periodo. Oggi si vedono due fattori che possono influire pesantemente sulla situazione. Da un lato la nuova ondata di epidemia da Covid, dall’altro le difficoltà del governo Biden a realizzare i suoi programmi di interventi statali importanti, con conseguente calo di consensi, proprio all’avvicinarsi delle elezioni politiche di medio termine. Si potrebbero così creare altre difficoltà al partito di maggioranza.

In Europa, la Gran Bretagna, che di solito segue da vicino la politica americana, ha già decretato un aumento del tasso di sconto dallo 0,10% allo 0,25%, di fronte a un tasso di inflazione che ha già superato il 5%, provocando un rialzo della sterlina sul dollaro.

L’attesa degli osservatori era però concentrata soprattutto sulla decisione della Banca centrale europea, che con Draghi si era lanciata in una politica molto decisa di acquisti di titoli pubblici e privati, a sostegno dell’economia. Anche nel 2021 tale politica ha realizzato acquisti per circa 90 miliardi di euro al mese. Ma anche in questo caso la nuova presidente Christine Lagarde ha dovuto mostrare molta prudenza nel cambiamento. La BCE manterrà molta flessibilità nei prossimi mesi, prolungando gli acquisti fino al 2024 e perfino aumentandoli in caso di bisogno. Non si prevedono attualmente aumenti dei tassi di interesse di base. La BCE ha però dovuto raddoppiare le previsioni sul tasso di inflazione, portandole al 2,6% quest’anno, al 3,2% il prossimo e all’1,8% soltanto nel 2024.

Due fattori contrastano in particolare con l’idea (o la speranza) che il tasso di rincaro rallenti da solo: oltre la pandemia, si tratta da un lato del rincaro dei prezzi dell’energia, dall’altro dei «colli di bottiglia» nelle forniture di materie prime e semi-lavorati, che causano aumenti di prezzi tanto al settore industriale quanto a quello dei consumi.

Riflessioni analoghe hanno dettato l’atteggiamento anche della Banca Nazionale Svizzera. Nel nostro paese si prevede una nuova crescita dell’economia (3,5% anche nel terzo trimestre) con un tasso di inflazione che si prevede all’1,4% nell’ultimo trimestre. Le previsioni per il rincaro annuo in Svizzera dovrebbero perciò restare ancora sotto l’1%. La BNS mantiene perciò la politica monetaria in atto, con un tasso di riferimento del –0,75%.

Anche secondo i dirigenti svizzeri l’inflazione dovrebbe essere di natura temporanea, così come le difficoltà di approvvigionamento. Per la BNS, la situazione mondiale è però determinante nella politica di difesa di una eccessiva rivalutazione del franco. Se diventa un bene rifugio costringerà la banca a forti acquisti di divise estere sul mercato (euro e dollari soprattutto). Particolare attenzione viene rivolta oggi anche al mercato immobiliare. L’attuale boom edilizio ha provocato una forte crescita dei debiti ipotecari, favoriti anche dai bassi tassi di interesse, ma con un forte aumento dei prezzi, nonostante l’offerta molto elevata. È probabile (ma la pandemia continuerà a richiedere particolari attenzioni) una politica più restrittiva nei prossimi tempi almeno in questo settore.