L’economia cresce, gli impieghi no

Le aziende svizzere offrono attualmente 200’000 posti di lavoro non occupati. Tuttavia la disoccupazione di lunga scadenza rimane alta. Si ampia un fossato nel mercato del lavoro tra specialisti e personale poco qualificato
/ 10.06.2019
di Ignazio Bonoli

Nonostante i segnali di rallentamento che alcune importanti economie mondiali stanno subendo, quella svizzera sembra marciare ancora a pieno regime. Lo dicono anche i dati del primo trimestre di quest’anno: il PIL elvetico è, infatti, cresciuto dello 0,6% e perfino dell’1,7% rispetto al trimestre precedente. E questo nonostante le incertezze che dominano a livello mondiale e la forte dipendenza dell’economia svizzera dalle esportazioni.

Questi dati – secondo la SECO – non devono però suscitare l’illusione che la crescita continuerà lungo il resto dell’anno e anche oltre. Nel primo trimestre si è trattato spesso di ricuperi di fasi precedenti di rallentamento, ma anche di forti sviluppi in settori particolari come quello della chimica e della farmaceutica. Non mancano nemmeno segnali negativi, come quello dato dall’indice degli acquisti, che per la prima volta da quattro anni è sceso sotto il ritmo di crescita normale. Anche le vendite in settori essenziali, come quello delle macchine, dell’elettronica e dei metalli, sono diminuite per la prima volta da tre anni. Cominciano a verificarsi lacune nell’utilizzazione delle capacità produttive e la fiducia dei consumatori sta peggiorando.

Queste evoluzioni non sembrano però avere conseguenze sui posti di lavoro, nonostante qualche annuncio di chiusura e licenziamenti. Il mercato svizzero del lavoro continua a essere caratterizzato da 200’000 posti di lavoro non occupati, e questo nonostante che la disoccupazione di lungo periodo rimanga a livelli elevati. In contrasto con i segni di rallentamento dell’economia, il numero di posti di lavoro non occupati è salito in un anno del 13%. Secondo i dati della Confederazione sull’occupazione, l’offerta di posti di lavoro è tornata ai livelli di prima della crisi finanziaria del 2008.

Il personale più ricercato è quello delle cure, per il quale sono disponibili oltre 6000 posti di lavoro. Solo cinque anni fa erano 3000. Sono pure molto richiesti montatori elettronici e sviluppatori di programmi informatici. Non sono chiesti solo studi accademici, ma anche professioni artigianali, in particolare nella falegnameria, nella polimeccanica, nella sanità e negli installatori di riscaldamenti. L’Università di Zurigo calcola non solo i posti di lavoro liberi, ma li mette anche in rapporto con il pool di chi cerca un posto di lavoro. Con questi dati viene poi calcolato il cosiddetto indice della mancanza di specialisti. I principali problemi si registrano presso i fiduciari, gli ingegneri, gli esperti di scienze naturali, nonché gli informatici. Si tratta di settori in cui la mano d’opera maschile è preponderante. Probabilmente non si è pensato qui a sfruttare meglio il potenziale di mano d’opera femminile.

La situazione non va di pari passo con il livello dei salari. Infatti, negli ultimi due anni i salari, epurati dell’inflazione, non sono aumentati, anzi sono perfino leggermente diminuiti. La mancanza di un rincaro significativo non favorisce un adeguamento generale dei salari, per cui le aziende procedono spesso ad aumenti individuali. Ma anche l’abbondanza di posti vacanti non è generalizzata. L’indice della mancanza di specialisti constata anche un eccesso di offerta di lavoro nei settori delle pulizie, della cura del corpo, della ristorazione, dell’aiuto domestico e anche nell’edilizia.

Il settore dei poco qualificati corre anche il pericolo della crescente informatizzazione, che si estende anche ai lavori d’ufficio e alle amministrazioni. Tendenza che provoca il crescere della disoccupazione di base, tipico dei momenti di crescita dell’economia, senza aumento dei posti di lavoro, sempre più riservati a specialisti. Da qui nasce un altro fenomeno: in Svizzera, benché il tasso di disoccupazione scenda, i disoccupati di lunga scadenza sono sempre più numerosi. I disoccupati alla ricerca di un posto di lavoro da più di un anno superano già i 90’000, con frequenze maggiori tra i lavoratori più anziani.

L’evoluzione demografica fa in modo che questa dissonanza fra domanda e offerta di lavoro continui nel tempo. Si calcola che nei prossimi dieci anni 700’000 lavoratori passino al beneficio della pensione, ma solo 500’000 nuovi arrivino sul mercato. I datori di lavoro si vedono così esposti a due pericoli: un intenso movimento di specialisti verso il pensionamento, mentre l’informatizzazione crescente riduce i posti di lavoro dei poco qualificati. Questo nell’ambito di una nuova tendenza: in passato bastava un corso di aggiornamento per conservare o ottenere un posto di lavoro. Oggi è spesso necessario un totale cambiamento di attività. Fenomeno al quale sarà necessario preparare le nuove generazioni.