L’eccezione portoghese

Vittoria socialista – La riconferma del primo ministro António Costa nelle elezioni legislative rappresenta una controtendenza in Europa. C’è ancora una sinistra che trionfa, in un Paese senza grandi partiti populisti e anti-immigrazione
/ 14.10.2019
di Gabriele Lurati

«Il potere logora chi non ce l’ha», sosteneva Giulio Andreotti. Il celebre aforisma del defunto politico italiano sintetizza bene il risultato elettorale emerso dal voto del 6 ottobre scorso in Portogallo. Gli elettori lusitani hanno infatti premiato il primo ministro António Costa per la sua gestione negli ultimi quattro anni di governo che hanno rafforzato la sua leadership a discapito dei partiti dell’opposizione, uscita fortemente indebolita dalla tornata elettorale. Il partito socialista è risultato il più votato alle elezioni legislative con il 36,7% dei voti (in aumento del 5%), mentre il centro-destra del Partito social-democratico (PSD) ha ottenuto solamente il 27,9%, con un netto calo (–10%) rispetto a quattro anni fa, perdendo così lo status di partito di maggioranza relativa.

Per il premier Costa è stato un successo su tutta la linea. In barba a tutte le istituzioni internazionali (Ue e Fmi, in primis) che lo mettevano in guardia dall’applicare ricette ritenute troppo di sinistra e lontane dai dogmi dell’austerità economica, la «formula Costa» è riuscita in quattro anni a rimettere in carreggiata il Paese senza ricorrere a ulteriori tagli sociali come voleva la troika nel 2015. Spinto dagli investimenti internazionali, dal boom del turismo e del settore immobiliare, il Portogallo è uscito dalla crisi e ora viaggia a livelli di crescita del PIL (+2%) invidiati da molti Paesi europei, ha una bassa disoccupazione (scesa dal 12,6% al 6,2% in quattro anni) e un deficit sotto controllo. Insomma, nonostante il governo

Costa sia stato sostenuto in Parlamento per quattro anni da partiti della sinistra radicale come il Blocco di Sinistra (che si è confermato stabile con il 9,7% dei voti) e dalla Coalizione Democratica Unitaria (Cdu, formata dall’alleanza di Comunisti e Verdi, scesi dall’8,2 al 6,5%), l’esecutivo di Lisbona si è guadagnato il rispetto di tutti i Paesi europei una volta scettici, al punto che l’ex ministro lusitano delle Finanze Mario Centeno è diventato il presidente dell’Eurogruppo da più di un anno. La «ricetta Costa», che inizialmente era stata paragonata a una macchina vecchia e mal funzionante tanto da essere stata definita dall’opposizione con il termine spregiativo di geringonça (un’accozzaglia che teneva assieme in maniera raffazzonata le varie anime della sinistra), si è rivelata adesso un modello vincente e invidiato da tutte le sinistre europee.

Il successo elettorale della geringonça ha smentito tre luoghi comuni diffusi nella politica europea: il primo, che stare al governo a lungo finisce inevitabilmente per far perdere voti; il secondo, che la sinistra è in crisi e non più capace di vincere; il terzo: che l’estrema destra è in grande crescita in tutto il continente. Visto che niente di tutto questo si è realizzato in terra lusitana, si può fondatamentalmente parlare di «eccezione portoghese». Buona parte del merito del successo è dovuto all’abilità politica e dialettica del primo ministro.

Il 58enne António Costa è un politico navigato che già negli anni 90 fu più volte ministro nei governi di António Guterres, attuale Segretario generale dell’Onu. Successivamente fu sindaco di Lisbona per otto anni dal 2007 al 2015 per poi lanciarsi alla conquista del governo nazionale. Le esperienze passate gli hanno conferito grandi doti di equilibrismo politico che sono state utili negli ultimi quattro anni e che gli hanno permesso di portare avanti un esecutivo di minoranza mediante accordi puntuali con i due partiti della sinistra che hanno sostenuto il suo governo (Bloco de Esquerda e Cdu). 

Grazie a Costa, il Partito socialista è diventato il primo partito in Parlamento (con 106 deputati su un totale di 230) in un’Assemblea della Repubblica con molti elementi di novità rispetto al passato. Il primo è quello della frammentazione politica, dopo l’ingresso di un cospicuo numero di nuovi partiti (4 su un totale di 9). Tra questi spicca il PAN, un partito ecologista che, sulla spinta di una nuova sensibilità ambientale mondiale, ha ottenuto il 3,3% e un gruppo parlamentare proprio (4 seggi). Questo piccolo partito potrebbe essere di utilità al premier Costa in caso di bisogno di un pugno di voti per raggiungere la maggioranza parlamentare in determinati frangenti, senza dover dipendere dai voti del Bloco de Esquerda (19 seggi) o dei Comunisti (12), sui quali si appoggerà prevalentemente il premier per tutta la legislatura.

Un’altra grande novità è l’ingresso in Parlamento anche in Portogallo di un partito di estrema destra populista chiamato «Chega» (letteralmente significa «basta»). Questa recente formazione ha però ottenuto un insignificante 1,3% dei voti e un solo deputato. Per contro sono ben tre le nuove deputate «afrodiscendenti», in un Paese abituato da sempre a ricevere gli immigrati dalle sue ex-colonie e a integrarli bene nel contesto sociale lusitano, ma che non aveva mai avuto una rappresentanza di donne di razza nera nel massimo organo legislativo. Lo stesso premier António Costa, seppur nato a Lisbona, è figlio di un indo-portoghese originario della città indiana di Goa, ex colonia portoghese. 

I discorsi razzisti e anti-immigrazione finora non hanno preso piede in Portogallo anche perché il governo di Costa non ha mai fatto compromessi su questo fronte. Più che una minaccia, gli stranieri in Portogallo sono visti come portatori di opportunità economiche in un Paese sempre più vecchio demograficamente e bisognoso di giovani lavoratori che spesso provengono dalle sue ex colonie.

La vera minaccia per il Paese e per António Costa sono le incerte prospettive economiche. Dopo aver beneficiato di quattro anni di crescita costante, grazie anche alla politica di esenzione fiscale che ha generato gli arrivi di decine di migliaia di pensionati europei che hanno scelto il Portogallo come luogo di residenza, ora il premier dovrà fare i conti con il rallentamento economico del Vecchio continente. In un Paese di poco più di 10 milioni di abitanti che fonda buona parte delle sue fortune sugli investimenti dall’estero, sull’export e sul turismo, la guerra dei dazi iniziata da Trump e le incertezze create dalla Brexit possono in poco tempo far ripiombare il Paese nell’instabilità economica. 

Se a questo aggiungiamo che il tipo di impiego creato in Portogallo è molto precario (soprattutto quello legato al turismo), che i salari sono bassi e che l’alloggio sta diventando un problema per molti portoghesi (affitti cresciuti a dismisura nei centri urbani a causa della gentrificazione), per Costa l’euforia del successo sarà breve perché i problemi lo aspettano dietro l’angolo.