Le pressioni sulla borsa svizzera

Svizzera-Unione Europea - È in pericolo la sopravvivenza della borsa, dopo il 2019, se la Svizzera non fa passi concreti in direzione dell’accordo con l’UE. Quali le misure di difesa?
/ 02.07.2018
di Ignazio Bonoli

Forse non è stata presa subito sul serio la specie di minaccia formulata verso la fine dello scorso anno dall’UE nei confronti della borsa svizzera. La Commissione UE aveva, infatti, comunicato di riconoscere il regolamento della borsa svizzera solo per un anno. Questo perché, nell’ambito delle trattative per l’accordo quadro, le autorità svizzere sembravano voler tirare le cose per le lunghe.

In realtà, una prima reazione a Berna c’è stata. L’allora presidente della Confederazione, durante una conferenza stampa indetta il 21 dicembre, aveva letto una dichiarazione del Consiglio federale, nella quale si diceva che il governo aveva incaricato il Dipartimento delle finanze di Ueli Maurer di presentare entro fine gennaio 2018 proposte al Consiglio federale, tendenti a rinforzare la borsa e la piazza finanziaria svizzera. Nella stessa dichiarazione si poneva in primo piano la soppressione della tassa di bollo.

Tema certamente impegnativo, ma formulato in modo piuttosto vago e con scarsa convinzione. Tant’è vero che una delle cose concrete da fare, cioè la soppressione della tassa di bollo, a metà dell’anno «di grazia» concesso dall’UE è ancora nei cassetti dell’Amministrazione federale. Del resto, questa operazione non sarebbe nemmeno di prima priorità, come dice un rapporto di esperti del gruppo «Futuro della piazza finanziaria», creato dal Consiglio federale e diretto dal professor Aymo Brunetti. La prima priorità consisterebbe invece in una completa riforma dell’imposta preventiva.

Confrontato con l’importanza della piazza finanziaria, il mercato svizzero dei capitali sarebbe «fortemente sottosviluppato» e l’ostacolo principale al suo sviluppo sarebbe proprio l’imposta preventiva. Le grandi imprese svizzere si servono spesso dei mercati esteri per emettere i loro prestiti ed evitare così il 35% di imposta preventiva, che all’estero, per emittenti esteri, è applicata solo in parte o perfino non prelevata. Si è calcolato che una diversa impostazione dell’imposta preventiva presso i grandi gruppi svizzeri potrebbe portare a un valore aggiunto tra i 300 e i 600 milioni di franchi, contribuendo così ad attirare o mantenere in Svizzera circa un migliaio di posti di lavoro, in campo finanziario, ben pagati.

Il gruppo di esperti Brunetti non chiede la soppressione dell’imposta preventiva, ma una diversa applicazione a livello di obbligazioni e titoli del mercato del denaro, che, esentando le emittenti estere, favorirebbe l’attrattività internazionale del mercato elvetico. Il Consiglio federale si era già avviato su questa strada, ma si è fermato in attesa dell’esito dell’iniziativa sul segreto bancario che creava certe incompatibilità sul piano fiscale. L’iniziativa è stata ritirata e, nonostante qualche difficoltà di procedure, in rapporto con il segreto bancario interno e il fisco, si potrebbe ora riformare l’imposta preventiva con impatto finanziario neutro.

Le altre priorità sarebbero ora la soppressione della tassa di bollo sulle emissioni di capitale proprio e la soppressione della tassa sul commercio di titoli. Viste le connessioni, il Consiglio federale punta, però, sulla riforma della tassazione delle imprese e prevede il voto su un eventuale referendum nel febbraio 2019. Seguirebbe anche un nuovo voto sulla tassazione delle famiglie (soppressione della penalizzazione delle coppie sposate) e poi la riforma dell’imposta preventiva.

Nel frattempo, il Consiglio federale ha trovato un’altra via d’uscita: chiedere alle borse delle piazze europee come Francoforte o Parigi, attraverso un’ordinanza, di riconoscere l’equivalenza della borsa svizzera anche dopo il 2019. L’ordinanza verrebbe emanata solo se questa equivalenza non fosse riconosciuta. In questo caso, alle borse europee verrebbe vietato di trattare titoli svizzeri. Maurer l’ha definita la «migliore delle soluzioni peggiori».

Effettivamente, senza protezioni, la borsa svizzera soffrirebbe. Circa la metà delle transazioni sui «Blue-Chips» provengono dall’area UE e la borsa svizzera potrebbe anche non sopravvivere a un tale salasso, oppure lasciare la piazza svizzera. Per il momento, la situazione non è ancora così tragica. Quello della borsa è un altro mezzo di pressione verso l’accordo quadro da trovare con la Svizzera, dopo di che il problema si risolverebbe da solo. In caso contrario, entro la fine dell’anno, resteranno il tentativo di chiedere un ulteriore prolungamento del termine all’UE e/o prevedere misure di difesa della piazza svizzera. Il Consiglio federale è pronto ad agire, ma non ha ancora detto con quali misure concrete. Una delle misure da adottare sarebbe la citata soppressione della tassa di bollo. Tutto dipenderà ancora una volta dai progressi che saranno stati fatti sull’accordo quadro. Accordo che nelle trattative con l’UE non è forse mai stato così vicino.