Le mire cinesi sulle Svalbard

L’arcipelago norvegese è conteso in quanto punto cruciale per la conquista delle ricchezze dell’Artico. Anche i russi marcano presenza mentre Oslo cerca di resistere
/ 08.02.2021
di Irene Peroni

Le Svalbard sono un arcipelago nel Mare glaciale artico appartenente alla Norvegia. Per chi, visitandole, cercasse un segno tangibile della presenza cinese lo troverebbe soltanto negli inconfondibili leoni di pietra posti a guardia dell’ingresso di un edificio di legno ribattezzato «Base artica Fiume Giallo». Siamo a Ny Ålesund, una specie di villaggio internazionale della scienza: è lì che, tra le varie comunità scientifiche, da 18 anni è presente anche un team proveniente dalla Cina.

Negli ultimi mesi i media norvegesi parlano con crescente preoccupazione di possibili acquisizioni in zona da parte della Cina. Quest’ultima, che delle proprie ambizioni nell’Artico non fa mistero, sta cercando infatti di aggiudicarsi una licenza mineraria che l’attuale proprietaria, una compagnia privata norvegese, ha messo in vendita. Si tratta di un territorio che misura circa 200 chilometri quadrati e si trova non lontano dalla capitale Longyearbyen. Ma perché il gigante cinese dovrebbe voler sfruttare un bacino carbonifero in questo remoto arcipelago nel cuore dell’Artico? E perché vuole farlo proprio ora, mentre parte del mondo dichiara di lottare per ridurre le emissioni di gas serra e la stessa Norvegia mira a chiudere l’unica miniera che le è rimasta, sostituendo l’attuale centrale a carbone con un impianto più green?

«L’interesse cinese nei confronti dell’Artico è emerso soltanto negli ultimi anni», ci spiega il norvegese Per Arne Totland, autore di un libro e vari saggi sull’importanza strategica delle Svalbard. «La Cina ha ottenuto lo status di osservatore permanente presso il Consiglio artico nel 2013, poi si è autoproclamata uno “Stato quasi artico”, definizione a mio avviso priva di senso, pubblicando nel 2018 un documento sulla sua strategia per l’Artico». Per Pechino la posta in gioco è molto alta, afferma il nostro interlocutore: con lo scioglimento dei ghiacci, stanno affiorando le preziosissime materie prime finora protette della calotta glaciale.

Queste rappresentano il 20 per cento delle risorse naturali di tutto il pianeta. Basti pensare all’uranio e alle terre rare in Groenlandia (indispensabili per la produzione di batterie elettriche, telefoni cellulari e delle pale eoliche). Risorse su cui naturalmente ha messo gli occhi anche la Cina, che già ne detiene il monopolio assoluto. Inoltre la Rotta marittima del Nord sta per diventare una realtà e con essa si realizzerà il sogno di una vera e propria Via polare della seta. Questa permetterà ai cargo di viaggiare più agevolmente tra Cina ed Europa navigando lungo la costa settentrionale della Russia, senza dover passare per il Canale di Suez o circumnavigare il Continente africano.

La lontananza geografica della Cina dall’Artico rende ancora più appetibili le Svalbard, considerate per molti secoli terra di tutti e di nessuno. In base a un trattato internazionale firmato nel 1920, questo arcipelago, penultima tappa delle storiche spedizioni alla conquista del Polo Nord, è sotto la sovranità norvegese. Ciononostante individui e aziende di tutti i 44 Paesi firmatari del documento godono di pari diritti anche per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali e lo svolgimento di qualsiasi attività commerciale.

Ad essere sinceri, al di là del turismo, grandi opportunità di business alle Svalbard non ci sono. Le miniere di carbone (ad esempio quello di Barentsburg, un abitato russo con tanto di busto di Lenin in piazza) vengono principalmente sfruttate per generare l’energia elettrica necessaria ad approvvigionare la comunità locale, che consiste in gran parte di minatori. Si tratta dunque di attività non molto redditizie ma di enorme valore strategico. In primis per i russi che infatti sono presenti ormai da quasi 90 anni e non hanno alcuna intenzione di andarsene. Totland afferma che Mosca ha di recente rinnovato e potenziato il proprio insediamento e non vede di buon occhio le mire cinesi.

Con l’accresciuto interesse internazionale nei confronti dell’arcipelago, Oslo è sempre più sotto pressione per quanto riguarda l’esercizio della propria autorità. La situazione è complicata dal fatto che alle Svalbard gli stranieri stanno prendendo numericamente il sopravvento: sono aumentati del 60% rispetto a 10 anni fa mentre i norvegesi se ne stanno andando. Questo preoccupa Totland: «La presenza norvegese alle Svalbard dev’essere sufficientemente consistente e robusta da far sì che la Norvegia mantenga la propria credibilità».

Stefano Poli, imprenditore milanese nel campo del turismo che a Longyearyen vive da ben 27 anni, pensa che entro breve si assisterà a grandi cambiamenti che renderanno più difficile stabilirsi e gestire attività sulle isole. «Una delle poche aree del globo che possano ancora essere sfruttate è l’Artico», spiega. «La Norvegia si sente come una pecorella che custodisce un tesoro, circondata da lupi feroci che tentano di sottrarglielo. Lo Stato norvegese sta cercando comunque di riprendere il controllo politico e logistico sulle Svalbard ponendo dei limiti di vario genere: nei confronti degli investitori, di chi è autorizzato a gestire il turismo e perfino limitando l’accesso in motoslitta ad alcune zone». Per quanto riguarda la Cina, Poli non crede che la Norvegia le lascerà acquistare i diritti minerari di cui tanto si parla: «Li comprerà lo Stato norvegese. E se ciò non dovesse avvenire, esiste sempre la possibilità di cambiare le leggi in modo tale da creare ostacoli nei confronti di chi dovesse avere mire espansionistiche».