Gli statistici cercano di dare una risposta a qualsiasi domanda e nella campagna elettorale americana hanno spesso provato ad andare oltre i limiti, a misurare il non misurabile, prendendo, soprattutto nella fase delle primarie, cantonate abbastanza grosse. Poi, dopo mesi di rincorse tra Hillary Clinton e Donald Trump, lei forte ma non fortissima, lui agguerrito e minaccioso con il suo vinciamo-noi vinciamo-noi ripetuto come un mantra, la questione fatidica si è posta molto chiara, pur se un po’ scortese: cosa accadrebbe se le donne non votassero? Che domanda trumpiana, si dirà: le donne votano, hanno pure combattuto parecchio per ottenerne il diritto, e studi su studi degli ultimi decenni hanno dimostrato che il voto femminile di fatto non esiste. Cioè, esiste, però è molto simile a quello maschile. Ma questa, come si è ripetuto fino allo sfinimento, non è una campagna elettorale qualsiasi, ne abbiamo viste di tutti i colori e soprattutto c’è una candidata donna per la prima volta nella storia americana, e così il voto delle donne ha iniziato a diventare rilevante, con tutte le sue sfumature spesso nemmeno troppo piacevoli per la candidata donna.
Da ultimo, da quando cioè è uscito il video del 2005 in cui Trump parlava del suo rapporto, per così dire, con le donne, da quando molte signore hanno deciso di denunciare i palpeggiamenti subiti e i baci rubati di Trump, la questione femminile è diventata prioritaria. A nulla è servita la difesa di Melania, moglie di Trump che pure dice di aver sofferto per queste rivelazione ma resta sicura che «mio marito è un’altra persona», e a poco è servita pure la battaglia quotidiana, in diretta tv, sul fronte sempre, di Kellyanne Conway, la campaign manager di Trump che era stata scelta ad agosto, in seguito a un ennesimo scossone nello staff del candidato repubblicano, anche per accreditare Trump presso il pubblico femminile, in particolare quello giovane che tendenzialmente non ama molto Hillary Clinton.
Kellyanne Conway, 49 anni, un marito e quattro figli in età scolare, è nata in New Jersey da mamma italiana e padre irlandese, i suoi genitori si sono separati quando lei era ancora all’asilo, è cresciuta in fretta e studiando molto, è diventata avvocato ma ha iniziato presto a lavorare con i numeri e i sondaggi e le rilevazioni, in tempi in cui i big data non esistevano e maneggiare le inclinazioni e i gusti del pubblico era un mestiere da pionieri. Conway ha lavorato per la società di sondaggi di Ronald Reagan, poi ha fondato un’azienda sua e si è messa al servizio di altri leader repubblicani, moltissimi e di molte aziende, mentre strada facendo si specializzava nello studio delle donne, dei loro consumi, dei loro bisogni, delle loro aspettative. WomanTrend, che è la divisione creata apposta per mettere in contatto le aziende e le consumatrici, è il gioiello di cui la Conway va più fiera, quello che le ha consentito di diventare un’esperta del settore al punto che Trump l’ha voluta come prima campaign manager donna della storia, ancorché la terza a ricoprire quel ruolo negli ultimi otto mesi.
Da quando è stata nominata, Conway combatte. Combatte contro i tanti critici del suo boss, combatte contro i media e le manipolazioni «della corrotta» Hillary, combatte soprattutto per convincere il mondo femminile che si era aggrappato alla speranza di Bernie Sanders a non fidarsi della candidata democratica, piuttosto di inseguire il cambiamento assieme a Trump. Che quel pubblico possa essere in qualche modo convinto dal candidato repubblicano sembra improbabile, ma è pur sempre stata una donna, molto famosa peraltro, a creare il link diretto: Susan Sarandon, grande sostenitrice di Sanders, disse di non essere sicura che tra Hillary e Trump fosse meglio Hillary.
In tempi normali, la Conway avrebbe avuto vita molto difficile – è vero che si è confuso un po’ tutto, ma le appartenenze politiche contano ancora – ma almeno, come si dice, ci avrebbe provato, ma questi non sono tempi normali e la separazione maschio-femmina è diventata radicale. Anzi, per dirla meglio: Trump è diventato per la maggior parte delle donne invotabile e anche quando ripete, come nell’ultimo dibattito a Las Vegas, il terzo e ultimo, che non c’è nessuno che ama le donne quanto lui, è piuttosto difficile credergli. Tutti lo sanno, e anche Conway certamente, ma è l’unica a non poterlo ammettere ed è costretta, anche dopo il famigerato video «grab by the pussy», in cui Trump si vantava di prendere le donne «by the pussy», a continuare il lavoro per cui è stata assunta. Lo fa con la determinazione che tutti le riconoscono (e che è spesso fonte di irrisione: su Twitter c’è un account fake a suo nome che è stato spesso preso per vero e ha scatenato le ire di molte donne conservatrici), dice che questi ultimi episodi sono stati molto duri da gestire – i sondaggi sono a picco, i repubblicani sono scappati – ma che i protagonisti di queste elezione, per la prima volta, sono gli elettori, non Trump, e che loro ancora ci credono (lei invece prepara un viaggio in Italia, compie 50 anni il giorno dell’inaugurazione, il 20 gennaio 2017, spera di dover essere a Washington, ma forse non sarà così, e l’Italia è una gran bella alternativa a una sconfitta). E le donne?
Nelle ultime settimane molte mamme delle periferie, elettrìci al primo voto e donne dall’istruzione medio alta si sono riversate su Twitter – social principe del trumpismo – per spiegare perché votano per Trump. C’è chi vuole sicurezza per i propri figli e pensa che il candidato repubblicano sia la scelta migliore, c’è chi detesta l’establishment, chi non si sente rappresentata da Hillary per età o per formazione o perché la prima ad accettare comportamenti scorretti da parte degli uomini è stata lei. Il tentativo – e la regia della Conway è dappertutto – è quello di mostrare un volto normale, senza gli estremismi che generalmente vengono associati a Trump, e sottolineare ancora una volta che non si vota perché donne, si vota per altro.
Questo specifico tema – sono donna e voto una donna – ha spaccato il fronte hillariano fin dal primo giorno. Molte femministe si sono sottratte all’imperativo non-si-può-criticare-la-prima-candidata-donna, e hanno mostrato le loro resistenze. Le più giovani hanno manifestato fin da subito il loro distacco: bello avere una donna presidente, ma non quella donna, che non ci assomiglia, non ci rappresenta. Altre si sono compattate invece, criticando quel fare schizzinoso che a un certo punto ha colto un po’ tutti pur nel momento in cui l’alternativa Trump è diventata soffocante e impraticabile. Per quanto Hillary abbia fatto di tutto per giocare in modo positivo la carta femminile, come prospettiva e come opportunità non come una dimostrazione quasi necessaria di progressismo, a darle il consenso che andava cercando è stato il messaggio più negativo di tutti, quello di Trump palpeggiatore e molestatore. Non è che si vota una donna, nella corsa alla Casa Bianca 2016, semmai non si vota «quest’uomo».
Nate Silver, statistico enfant prodige che ha fatto previsioni perfette nel 2008 e nel 2012, ma che si è già ampiamente scusato per non aver previsto, compreso, misurato l’ascesa del trumpismo, ha fatto tutti i calcoli, ponendosi quella domanda che suona così sessista: cosa accadrebbe se le donne non votassero? Silver è partito da un sondaggio pubblicato dall’«Atlantic» secondo il quale Hillary Clinton ha un vantaggio di 33 punti percentuali sul voto femminile, dell’11 per cento sul voto maschile. Così ha preso tutte le rilevazioni a disposizione a ottobre con la distinzione dell’inclinazione di voto di uomini e donne, le ha lavorate e ha costruito due mappe: una, tutta rossa, rappresenta l’esito elettorale se a votare fossero soltanto gli uomini – Trump conquisterebbe 350 grandi elettori, lasciando Hillary a 188 (per vincere le elezioni è necessario raggiungere quota 270). La seconda mappa è blu, quasi tutta blu: rappresenta l’esito elettorale se a votare fossero soltanto le donne – Hillary conquisterebbe 450 grandi elettori, Trump 80, che è come dire cappotto. La conclusione è piuttosto semplice, dice Silver, e la questione femminile per ora sembra conclusa così: le donne faranno perdere Trump.