Il Ministero americano del lavoro ha annunciato a metà luglio un aumento del 5,4% dei prezzi al consumo, rispetto al giugno dell’anno precedente. Si tratta del valore mensile più alto dal 2008 ed è superiore a quanto la banca centrale americana (FED) aveva previsto. Benché da più parti ci si attendesse un rilancio dell’inflazione, nessuno pensava, o temeva, di colpo un tasso così alto.
Di conseguenza, anche i mercati finanziari mondiali sono stati parecchio nervosi nelle ultime settimane. In pratica, tutte le maggiori banche centrali si attendevano un rilancio dell’inflazione, però non in termini così alti, ma prevedendo che in ogni caso non sarebbe durata a lungo. Tuttavia anche la Gran Bretagna ha annunciato un aumento dei prezzi al consumo del 2,5%, superiore alle aspettative, e anche altri paesi stanno constatando un aumento dei prezzi al consumo.
Le banche centrali non sembrano, però, preoccupate più di quel tanto, perché i due paesi interessati si attendono una rapida ripresa dell’economia, in particolare anche grazie all’esito positivo di una vasta campagna di vaccinazioni contro il Covid 19. D’altro canto si sa che una ripresa dell’economia comporta sempre alcune conseguenze, tra cui un rapido aumento dei prezzi, in questo caso anche rimasti a lungo compressi a causa del virus.
Intanto però l’aumento della domanda si scontra con un’offerta ridotta e che fatica a seguire l’evolversi del mercato. In sostanza, quello che la teoria economica considerava inevitabile, e cioè un’inflazione dovuta a un eccesso di domanda e a una carenza di offerta si sta realizzando. Le premesse per questa evoluzione erano comunque state create con l’enorme emissione di denaro sui mercati da parte delle maggiori banche centrali. Stranamente però finora non si era verificata una pressione sui prezzi al consumo. Va detto che proprio la crisi sanitaria ha provocato anche un rallentamento della domanda e un periodo più lungo del solito di bassi tassi di interesse.
Secondo il presidente della FED, questa impennata dei prezzi dovrebbe avere un effetto limitato nel tempo e legato per il momento alla ripresa dell’economia. L’obiettivo della banca centrale resta comunque quello di un tasso di inflazione, a media scadenza, del 2%. Non si giustificherebbe quindi un eventuale intervento di freno con una politica monetaria restrittiva.
Obiettivo condiviso anche dalla Banca centrale europea e da altre. Continua quindi l’immissione di liquidità nel mercato mediante l’acquisto di obbligazioni. Da parte della FED per 120 miliardi di dollari al mese, da parte della BCE con la prosecuzione del «Quantitative Easing» iniziato da Draghi.
Per la Svizzera, il problema si pone in termini diversi. Infatti, il tasso di inflazione, benché in leggero aumento, si situa ancora sotto l’1% e non richiede interventi particolari. Anche la nostra economia soffre però di un fenomeno che si spera temporaneo: quello di un’offerta carente rispetto alla domanda. Lo constatano molte aziende che non ricevono più le materie prime o i semilavorati necessari per la loro attività.
È proprio qui che si situa, nei paesi industrializzati, un forte potenziale inflazionistico, poiché i prezzi alla produzione si ribalteranno presto sui prezzi al consumo. Di fronte ai più recenti dati americani e inglesi, le previsioni formulate a metà anno potrebbero peccare di ottimismo: 1,9% in media annua per l’UE, il 2,7% per l’intera OCSE, lo 0,4% per la Svizzera.
Nessuno però è al riparo dai due pericoli che si prospettano: la rinascita di un tasso di inflazione di un certo rilievo e il forte indebitamento di Stati e banche centrali. I due fenomeni hanno sicuri collegamenti. Infatti, un alto tasso di inflazione ridurrebbe le conseguenze di un forte indebitamento, ma lo stesso indebitamento può essere fonte di inflazione. Contro un eventuale surriscaldamento delle economie di vari Stati si ergono già alcuni esperti, tra cui il professor Summer dell’Università di Harvard, che chiede un cambiamento di politica che ponga in primo piano la lotta contro l’inflazione. Si smentirebbe così la teoria largamente diffusa, secondo cui la ripresa dell’economia necessita di un certo tasso di inflazione.
Le banche centrali diventano prudenti
Se la crescita dei prezzi al consumo non sarà limitata nel tempo, si dovrà cercare di contenere il tasso di inflazione, nonostante l’enorme massa monetaria presente nel mercato
/ 26.07.2021
di Ignazio Bonoli
di Ignazio Bonoli