L’autunno di una dittatura

Venezuela: il fallito attacco contro Maduro durante una parata militare a Caracas ha scatenato una serie di arresti ma ha anche messo a nudo il nervosismo che serpeggia nelle cerchie del potere
/ 13.08.2018
di Angela Nocioni

Retate alla cieca e centinaia di arresti di oppositori al regime o presunti tali. La polizia politica irrompe a casa delle persone segnalate come sospette e si porta via loro e chi trova con loro. Sono giorni drammatici in Venezuela. L’esplosione di due droni telecomandati vicino al palco della centralissima avenida Bolivar da cui stava parlando sabato 4 agosto il presidente Nicolas Maduro, maldestro attentato fallito o tentativo di autogolpe riuscito che fosse, ha dato il via a una grande ondata di arresti. 

Dopo l’annuncio da parte del ministro degli interni Néstor Reverol dell’arresto di sei persone da lui definite «pericolosi terroristi» e la solita accusa alla vicina Colombia di essere la culla dei mandanti del tentato assassinio del presidente, sono stati arrestati anche il deputato Juan Requeses, del partito oppositore Primero Justicia, e sua sorella Rafaela Requesens, dirigente del movimento studentesco. Il deputato arrestato è il terzo parlamentare d’opposizione, teoricamente protetto dall’immunità prevista dalla Costituzione, attualmente in carcere in Venezuela, dove il parlamento è stato da tempo esautorato e al suo posto legifera una assemblea che è l’eco del regime.

Gli apparati di sicurezza sono inferociti ora dal timore che l’appoggio dei militari a Maduro si stia sfaldando, che grosse crepe si stiano aprendo nella lealtà delle forze armate. Nessuno si fida più di nessuno, molti sono pronti al salto della quaglia, ma sbagliare i tempi e i modi può essere un errore letale e quindi tra alti gradi militari, anche nella cerchia ristretta del presidente, ci si studia e si temporeggia. La tensione è alle stelle.

Tutto ciò avviene mentre l’esodo di gente comune verso i paesi vicini continua, al punto che il Brasile la settimana scorsa ha chiuso la frontiera con il Venezuela perché non vuole più emigrati disperati al confine.

Fedele a Maduro resta al momento solo la Guardia nazionale, da cui vengono gli addetti alla difesa del palazzo presidenziale. Si tratta del corpo più corrotto, quello al quale vanno i benefici economici maggiori delle tante ruberie del governo. Nervosissimi sembrano in queste ore anche i generali legati a Diosdado Cabello, il numero due del regime che sempre più potere ha accumulato dopo la morte dell’ex presidente Hugo Chàvez. Ai generalissimi di Cabello sono state sostanzialmente regalate le immense ricchezze dell’Arco dell’Orinoco, il sottosuolo più ricco di shale gas e petrolio d’America. Sempre più diserzioni e ritiri volontari si registrano invece tra ufficiali e nelle truppe. Molti soldati abbandonano per ragioni di pura miseria: non ci sono più i soldi per i rifornimenti di cibo, non hanno da mangiare e per questo se ne vanno. Maduro ha recitato baldanzoso a reti unificate il solito copione della sfilza di accuse alla Colombia, che ospita molti rifugiati politici dell’opposizione, ma appare sempre più solo, sprovvisto di quadri medi e bassi delle forze armate disposti a proteggerlo.

Alcune ore dopo l’esplosione dei droni che non sono riusciti nemmeno ad arrivare al palco presidenziale (la versione governativa è che i disturbatori di segnali della protezione presidenziale avrebbero fatto fallire l’attacco) è stata data notizia della rivendicazione di un misterioso «Movimento nazionale di soldati in camicia». In una dichiarazione recapitata alla giornalista venezuelana vicina all’opposizione Patricia Poleo, che vive negli Stati Uniti, si legge: «È contro l’onore militare tenere al governo coloro che non solo hanno dimenticato la Costituzione ma che hanno trasformato le cariche pubbliche in un osceno modo per arricchirsi».

Nel comunicato, letto da Patricia Poleo sul suo canale YouTube, Maduro viene accusato di impoverire il Venezuela: «Se lo scopo di un governo è raggiungere la maggior felicità possibile, non possiamo tollerare che la popolazione soffra la fame, che i malati non abbiano medicine, che la moneta non abbia valore, e che il sistema dell’istruzione non istruisca, ma solo indottrini al comunismo». La rivendicazione si conclude con un appello alla rivolta: «Popolo del Venezuela, per concludere con successo questa lotta di emancipazione dobbiamo scendere in piazza senza arretrare». 

Si tratterebbe di un gruppo «di patrioti militari e civili, leali al popolo venezuelano che cerca di salvare la democrazia in una nazione sotto dittatura».

Il ministro dell’Interno non fa parola delle retate in corso, ha detto solo di aver fatto arrestare sei persone e le ha definite «terroristi». «Sono state realizzate varie perquisizioni in hotel della capitale dove si sono potute raccogliere prove importantissime di rilevanza criminale» ha detto.

Il regime sta presentando l’esplosione dei droni come il secondo capitolo dell’assalto (fallito) al forte militare Paramacay, nello Stato di Carabobo avvenuto l’anno scorso. L’operazione, compiuta da una ventina di militari, aveva lo scopo di impadronirsi di un deposito pieno di armi.

Il regime reagì con una violenza inaudita allora, perché la notizia del tentato assalto al forte fu accompagnata dall’insurrezione di buona parte della città di Valencia. Il fatto che un gruppo di militari anti-Maduro avesse tentato di prendere il potere e fosse stato seguito da una sollevazione di civili fu letta dal regime come la prova della infedeltà delle Forze armate. A Maduro questo rischio è stato spiegato ed è per tale ragione che in strada a reprimere le manifestazioni contro di lui manda sempre la polizia militare, mai l’esercito di cui non si fida. Non a caso l’opposizione - che non ha una guida politica unitaria e nonostante sia formalmente raccolta in un unico tavolo resta un condominio litigioso in cui ogni dirigente parla per sé senza riuscire a rappresentare una maggioranza interna – ogni volta che riesce a stendere un comunicato, ogni volta che esorta alla resistenza, rivolge un appello alle forze armate, e non alla polizia militare, affinché si schierino apertamente contro il regime.